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I volontari siriani che rischiano la vita per salvare l’arte dall’Isis

Il gruppo di attivisti siriani che sta rischiando la vita per salvare quello che resta dell’enorme patrimonio archeologico del Paese, dalla distruzione e dai saccheggi dell’Isis, perché, “quando la guerra sarà finita sarà la cultura che permetterà di guarire le ferite”

di Ottavia Spaggiari

Hanno fatto rabbrividire le immagini del video pubblicato dall’Isis, in cui un gruppo di guerriglieri distruggevano statue e manufatti assiri, nel museo centrale di Mosul in Iraq. Pochi giorni dopo è stata la volta del sito archeologico di Nimrud, dove una colonna di bulldozer ha raso al suolo un vero e proprio tesoro archeologico. E mentre è ancora impossibile quantificare le perdite in modo esatto, la distruzione dell’Isis rimane una ferita nella storia di tutto il genere umano che l’ONU ha dichiarato crimine di guerra. Eppure, davanti a tanto orrore, c’è qualcuno che rischia la propria vita per salvare l’arte dalle atrocità della guerra e dell’estremismo.

Ahmed Salem è siriano, ha 28 anni, una laurea in archeologia e la dose di coraggio, passione e incoscienza necessarie per passare alla storia come eroe. Poco dopo i fatti di Mosul, Salem, il cui nome è stato cambiato per ragioni di sicurezza, ha raggiunto i territori siriani controllati dall’Isis, per documentare i crimini commessi nei confronti del patrimonio culturale del Paese e chiedere l’aiuto della comunità internazionale. Uniche armi: telefono, blocco per gli appunti e macchina fotografica, oggetti che, se scoperti dall’Isis potrebbero letteralmente costargli la vita.

Una mappatura di ciò che è stato distrutto, per cercare di limitare i danni e salvare quello che ancora rimane, è questo l’obiettivo di Salem che, in questa serie di folli azioni segrete non è solo. Sono diversi i siriani che impegnati, proprio come lui, nella difficilissima difesa di quello che forse rappresenta il più vasto patrimonio archeologico al mondo. Fa parte di questa rete di attivisti anche Amr Al-Azm, ex responsabile della Ricerca Archeologica al Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Damasco e oggi professore di archeologia alla Shawnee State University dell’Ohio. E’ a lui che volontari come Salem inviano il materiale raccolto su tutto ciò che è stato portato via dal loro Paese.

Dalla sua casa negli Stati Uniti Al-Azm aiuta gli attivisti siriani nel loro lavoro di protezione del patrimonio, raccogliendo quante più prove, fotografie e testimonianze possibili per sensibilizzare la comunità internazionale ad adottare politiche in grado di scoraggiare i saccheggi. “Dobbiamo stare davvero molto attenti, specialmente con l’Isis,” ha raccontato Al-Azm al magazine americano Mother Jones, spiegando che il pericolo per i beni culturali non è rappresentato solo dalla distruzione, ma soprattutto dai saccheggi e dalla rivendita sul mercato nero. “Si tratta di moltissimi soldi, un vero e proprio mondo criminale sommerso”. Lo scorso giugno, una fonte dell’intelligence irachena aveva dichiarato al Guardian che la vendita di reperti provenienti da al-Nabuk, a nord di Damasco, avrebbe fatto fruttare all’Isis circa 36 milioni di dollari. Dopo la presa di Mosul, un gruppo di archeologi provenienti da Stati Uniti, Siria ed Europa hanno esaminato le immagini satellitare di Mari, un sito archeologico risalente all’Età del Bronzo, un tempo intatto, trovando il territorio ricoperto di buche e segni di deturpazioni.

L’Isis non è l’unica minaccia per l’enorme patrimonio culturale della Siria, dove la guerra ha fatto danni incommensurabili. Al-Azm e la sua rete di attivisti hanno iniziato la loro attività nel 2012, sotto l’assedio di Maraat, stretta dalle bombe del regime e dai colpi di fucile dei ribelli. Vicino al centro della città, l’antico museo, in cui Al-Azm aveva lavorato alla catalogazione delle opere esposte. E’ stato qui che è iniziata la sua opera di salvataggio, insieme ad un gruppo di altri attivisti, Al-Azm, ha nascosto sotto sacchi di sabbia alcuni dei beni più preziosi, sottraendoli dalle mani dei saccheggiatori, usando una tecnica utilizzata già da altri volontari, in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale. Alcuni mesi dopo 18 mosaici erano stati depredati, ma le opere nascoste da Al-Azm si erano salvate.

L’Isis però ha messo nuovi difficilissimi ostacoli alla protezione del patrimonio culturale in una zona di conflitto così dilaniata come è la Siria di oggi. Lo scorso settembre Al-Azm ha scritto una lettera aperta al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per chiedere il divieto di commercio dei materiali usciti dalla Siria. Firmata da 250 professori, la lettera dichiarava che il saccheggio ha trasformato il patrimonio del Paese in “armi da guerra che alimentano il conflitto”. 

Secondo France Desmarais del Consiglio Internazionale dei Musei, la distruzione del patrimonio in Siria è la peggiore mai vista, ma questo tipo di divieti, se utilizzati insieme alla black-list internazionale dei musei possono dimostrarsi efficaci.

I rischi, per gli attivisti, rimangono altissimi ma il lavoro che fanno è fondamentale, per la storia della Siria e la storia del mondo.

“Se si distrugge il patrimonio culturale”, ha dichiarato Al-Azm, “si distrugge la sola cosa rimasta che può aiutare a guarire le ferite di questo Paese, quando la guerra sarà finita”.

DANIEL LEAL-OLIVAS/AFP/Getty Images

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