Volontariato

Il sud sfida i padroni del commercio

Le novità del vertice di Doha

di Carlotta Jesi

Due anni e migliaia di chilometri separano Seattle da Doha. Ma al Wto-World trade organization non sono bastati per risolvere i problemi che nel 1999 fecero fallire il suo vertice. Anzi la situazione è peggiorata.
Dietro i dati sbandierati dall?organizzazione (crescita del 12,5per cento del commercio mondiale nell?anno 2000) si cela infatti una realtà meno esaltante per il Sud del mondo. Quello che il Wto non dice infatti è che 14 Paesi africani, lo scorso anno, hanno esportato meno che nei dieci anni precedenti. O che, se si toglie dal mazzo il Sudafrica e se non si considerano i dati relativi al petrolio, le esportazioni del continente sono cresciute di un misero 1 per cento. Tanto che lo stesso Wto ammette: «Il problema della povertà in questi anni non ha fatto passi verso un miglioramento». Ma se le statistiche offrono una realtà cruda, il dato politico di questo vertice sembrerebbe essere un altro. Quello di un vasto movimento di Paesi in via di sviluppo, capitanati da India, Brasile ed Egitto, che ormai ?pesano? per il 30 per cento negli scambi internazionali; ne sono consapevoli e appaiono determinati a far valere i loro interessi, prima che i loro diritti.
Un ruolo, il loro, che non è sfuggito a Sergio Marelli, presidente dell?Associazione delle ong italiane. «Doha non fallirà se i Paesi industrializzati che fanno parte del Wto sapranno dare ascolto alle proposte avanzate da quelli poveri. L?asso nella manica di questo vertice sono le nazioni in via di sviluppo: hanno compreso che bloccare i negoziati è un fallimento per tutti e hanno fatto proposte concrete per migliorare le leggi che regolano i commerci. Gli attentati dell?11 settembre hanno mostrato che non si può più fare a meno di dialogare anche con i Paesi che valgono meno in termini commerciali. Quante altre tragedie ci vorranno per capire che lo squilibrio Nord -Sud è insostenibile?». Ai 40 Paesi meno avanzati membri del Wto, nessuna. Quattordici milioni di persone che muoiono ogni anno per mancanza di medicine e dazi giganteschi sui prodotti importati dal Sud del mondo sono sufficienti. A Seattle, i governi del Sud si limitarono a non convalidare le scelte del Nord. Quest?anno sono passati all?attacco per evitare che a Doha venga lanciata una nuova serie di negoziati sulla liberalizzazione del commercio prima che siano risolti i problemi nati con l?Uruguay round.
Primo fra tutti, quello dei brevetti sui farmaci salvavita che sacrificano la salute al profitto delle multinazionali farmaceutiche. Il 19 settembre, 52 Paesi poveri e in via di sviluppo, capeggiati da India e Brasile, hanno presentato ai Paesi membri della World trade organization un documento in cui si oppongono a un?interpretazione dei brevetti sui farmaci che vieta ai governi di garantire la salute dei cittadini e col quale invitano i ministri, che si riuniscono a Doha dal 9 al 13 novembre, a confermare questo principio con una risoluzione vincolante. Possibilità di successo? Usa, Canada, Svizzera, Giappone, Gran Bretagna e Germania si sono opposti alla risoluzione ancora prima dell?inizio del vertice. Ma a Doha potrebbero pagare cara questa presa di posizione. Il rischio è un nuovo blocco totale dei negoziati. Lo hanno minacciato i 40 Paesi poveri membri che, dal 24 al 25 luglio di quest?anno, si sono riuniti a Zanzibar per chiarire la loro posizione sul commercio globale: no a un nuovo round di negoziati se non vengono tenute in conto le loro proposte per migliorare gli effetti disastrosi che i primi accordi del Wto hanno avuto sulle loro economie. A cominciare dai tassi imposti dai Paesi industrializzati sui prodotti agricoli provenienti dal Sud: il 20 per cento, circa cinque volte più alti di quelli applicati agli altri prodotti. Una politica che, secondo l?Onu, finora è costata circa 20 miliardi di dollari l?anno. Per uscire da questa situazione disastrosa, lo scorso marzo l?Egitto, a nome di una lunga schiera di Paesi africani, ha proposto la creazione di un fondo internazionale di 1.200 milioni di dollari per pagare parte del divario alimentare fra ricchi e poveri.
L?idea, ovviamente, non è piaciuta ai cento Paesi industrializzati del Wto, contrari a trasformare l?organizzazione in una banca. Ma la proposta ha fatto discutere i 18 maggiori Paesi esportatori di prodotti agricoli che, dal 3 al 5 settembre, si sono riuniti a Punta del Est, in Uruguay, per una riunione preparatoria al vertice. In quell?occasione è stata stilata una risoluzione che invita l?organizzazione a ridurre il protezionismo agricolo e a garantire trattamenti speciali ai Paesi in via di sviluppo.
I fronti su cui le nazioni meno sviluppate hanno deciso di dare battaglia al quarto vertice dell?Organizzazione mondiale del commercio non finiscono qui. Sono passate al contrattacco anche sul delicato tema dell?accesso ai mercati occidentali per i prodotti tessili del Sud del mondo. Un accesso che oggi è ostacolato da tasse sull?importazione pari all?11 per cento, per tutti i Paesi in via di sviluppo tranne il Pakistan, prezioso alleato degli Usa nella lotta al terrorismo. Un?eccezione che, per India e Nigeria, crea un prezioso precedente da far valere a Doha.
Quali sono le possibilità di successo dei Paesi in via di sviluppo in Qatar? La bozza della dichiarazione che i ministri del Wto dovrebbero adottare a Doha, resa pubblica il 26 settembre, non lascia ben sperare. L?ambasciatore tanzaniano Ali Mchumo, a nome dei 40 Paesi poveri membri del Wto, ha comunicato tutta la sua delusione ai vertici dell?rganizzazione il 2 ottobre. Questa la motivazione: «Anche se molti Paesi occidentali negli ultimi mesi avevano insistito sul fatto che il nuovo round avrebbe avuto un carattere favorevole alla crescita delle nazioni in via di sviluppo, nel testo non si parla dello squilibrio fra i benefici finora ottenuti dai diversi Paesi membri».
Comunque finirà il vertice, una cosa è certa: i Paesi in via di sviluppo non sono più una minoranza silenziosa del Wto.

www.wtowatch.org Portale non profit dedicato al Wto

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