Economia
MakeSense sbarca in Italia
Ne parla a Vita Alberto Campora, business developer di MakeSense in Italia: «Il movimento si sta già sviluppando in modo organico sul territorio. L’obiettivo è trovare dei partner italiani per poter portare in Italia sia i programmi di mobilitazione che facciamo all’interno delle università e nelle imprese, che il nostro programma di accelerazione».
Alberto Campora è responsabile delle strategie di espansione in Italia di MakeSense, un movimento globale open source di volontari ma soprattutto di persone appassionate di impresa sociale e innovazione sociale che dedicano il loro tempo e le loro competenze per risolvere sfide concrete di imprenditori sociali in tutto il mondo. Alberto Campora, 31 anni, vive a Londra, dove è stato anche uno degli iniziatori della community locale di MakeSense. Ora, da Londra, il movimento si sta espandendo in Gran Bretagna.
– Per quanto riguarda l’Italia, come si sta sviluppando la community di MakeSense sul territorio?
La community sta crescendo in modo organico: quindi, anche se vogliamo dare un impulso per fare crescere la comunità, sono gli stessi membri della comunità che si devono organizzare per sviluppare il movimento, con una leadership orizzontale. Per quanto riguarda l’Italia la nostra priorità sono i social business di MakeSense: vogliamo trovare dei partner italiani, per poter portare in Italia i nostri social business: sia i programmi di mobilitazione sulle sfide delgi imprenditori sociali che facciamo nelle università e nelle imprese, sia il nostro programma di accelerazione di start up innovative a forte impatto sociale, SenseCube: per svilupparlo abbiamo iniziato a confrontarci con l’Impact Hub di Trieste. Nell’ambito del progetto “This Works! Idee e soluzioni per l’occupazione e la ripresa in Europa Meridionale”, lanciato da Ashoka nel 2014, La Link Campus University di Roma opera in una prima fase come advisor di Christian Vanizette, co-fondatore di MakeSense, seguendolo e supportandolo nel progetto di replica in Italia.Un lavoro importante per la mobilitazione della community italiana l'ha fatto Patrizia Baffioni, partnership manager presso MakeSense, che negli ultimi 6 mesi ha reso la comunità italiana molto più attiva. L'ha sviluppata a Milano, Bologna, Torino e Roma, trovando nuovi membri e aumentando la consapevolezza dell'esistenza di MakeSense.
– Com’è nata l’idea di espandere il movimento in Gran Bretagna?
Tutto è partito da Londra, dove in 4 anni, dal 2011, abbiamo creato innovazione per la community locale e abbiamo quindi deciso di espandere la nostra conoscenza in altre città britanniche per diventare il centro nevralgico di una comunità nazionale. Dopo Parigi, prima community di MakeSense, nata nel 2010, Londra, assieme a Berlino, è la comunità che si è sviluppata di più e che ha coinvolto il maggior numero di persone (più di 1000).Stiamo per lanciare il movimento in altre 12 città in Gran Bretagna, oltre a Londra. Per questo abbiamo assunto un project manager, Elodie Draperi, che sta viaggiando in tutto il Paese per fare il lancio della community in queste città.Il ruolo del project manager è dare una “spinta” iniziale per lasciare che poi sia la comunità stessa a svilupparsi. Questa spinta consiste nel fare sentire le persone che vengono coinvolte da MakeSense parte di un network globale e interattivo: questo dà loro più motivazione. Il project manager organizza in Gran Bretagna i nostri principali eventi, come gli hold-up, workshop creativi che mobilitano i partecipanti per risolvere le sfide degli imprenditori sociali (come nella foto di apertura).
– Qual è la differenza tra il sistema dell'impresa sociale in Gran Bretagna e in Italia?
Penso che in Italia si cerchi troppo di definire l'impresa sociale, mentre la Gran Bretagna sta provando ad avere un impatto sistemico, con il coinvolgimento di diversi attori- dall'impresa pubblica, al governo, al corporate- per risolvere un problema sociale in modo innovativo piuttosto che guardare solo ad un business model, come l'impresa sociale, per tentare di risolverlo. A mio avviso il punto è trovare un modo innovativo per risolvere un problema sociale. Non è importante che sia un business sostenibile. Quello che conta è che diversi attori lavorino assieme cercando di risolvere quel problema.
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