Cultura
Scuola e matematica: modello Finlandia
Se vuoi alzare il livello culturale di un Paese, il marketing non serve. Serve gente capace di leggere, parlare, comprendere i linguaggi della complessità. Ecco che la lezione finlandese torna di attualità e ci mostra come matematica e bellezza, numeri e umanesimo, siano un binomio indissolubile
di Marco Dotti
Quali competenze è necessario insegnare e apprendere per evitare il naufragio in quello che gli americani chiamano «unpredictably changing knowledge world» e Zygmunt Bauman, con formula forse inflazionata ma di certo più nota dalle nostre parti, ha definito «mondo liquido»?
L'America è di troppo
I cambiamenti tecnologici, gli scenari economici, la geografia umana e valoriale. Tutto si sussegue bruciando ricette e risorse, consumando formule e lasciando solo un senso di impotenza e di vuoto. Tutto cambia con una velocità impressionante e la risposta ricorrente, venata spesso da un sottile antiumanesimo, è che servano conoscenze scientifiche o tecniche che preparino alla competizione prossima ventura.
Solo che questa competizione non produce gli effetti sperati. I dibattiti sulla scuola declinata in termini di mera competizione, allora, si attorcigliano su se stessi e finiscono per rivelare qualcosa che rischia di sfuggire a sguardi disattenti.
Un caso su tutti: visti dalla testa del loro sistema educativo, gli Stati Uniti sono al vertice delle classifiche mondiali, per qualità e standard delle loro università. Per questa ragione, non c’è dibattito dove non vengano presi a modello. I difetti di questo sistema vengono quasi esclusivamente individuati nell’eccesso di disparità all’accesso: tasse troppo alte, selettività estrema e via discorrendo. Ma le cose, anche volendo tralasciare la questione economica, non è così semplice.
La tanto sbandierata eccellenza statunitense – oramai se ne sono accorti in molti, compreso il Presidente Barack Obama, che sta guardando al nord Europa per eventuali, ma forse improbabili riforme – cade miseramente quando si guarda la più astratta, eppure al tempo stesso la più concreta delle materie di studio. La più odiata – tanto che gli psicologi la annoverano tra le cause di una forma specifica di “panico” scolastico – eppure la più determinante: la matematica.
Pochi, non abbagliati dalle classifiche universitarie, osservano il problema scolastico statunitense là dove presenta le criticità più radicali: la sua base. Lì, infatti, negli studi pre-universitari le cose cambiano. E cambiano di molto.
Opinione comune è che la scuola, nel suo insieme, debba essere il luogo dove conoscenza (knowledge) e competenza (skill) si incontrano, e che cosa più della matematica potrebbe unire i due termini della questione? Eppure è lì che il sistema scricchiola, producendo competenze risibili e conoscenza quasi nulla.
La matematica è un bene comune
Tutti nella vita hanno bisogno di matematica: dall’usciere al cameriere, dal falegname al broker, dall’artista – sì, anche l’artista – all’avvocato, dal programmatore al ferroviere. Ma la popolazione adulta americana, simile in questo alla nostra, presenta bassissime competenze matematiche.
Ecco allora che, proprio su questo punto, la questione si rovescia. Si rovescia se le comparazioni che prendiamo a osservare non sono quelle basate sulla qualità degli atenei d’eccellenza, ma quelle legate al concreto, ossia agli studenti americani fino ai 15 anni. Gli studenti americani, a parità di test, soprattutto test matematici, se comparati a quelli di altri paesi in cima alle classifiche del sistema PISA (il sistema di valutazione internazionale degli studi), scendono ai livelli più bassi.
Negli ultimi 10 anni, il livello medio di uno studente americano è rimasto lo stesso, sostanzialmente basso. Mentre dal 1980 a oggi, il modello finlandese nel suo complesso – università inclusa, ma soprattutto la base dell’istruzione che, nel paese dei mille laghi– è cresciuto da standard di qualità considerati mediocri all’eccellenza globale.
Ora è proprio quello della piccola Finlandia (5 milioni e passa di abitanti, quasi quattro milioni di lettori che leggono 3 libri al mese, consumo culturale alle stelle) il sistema a cui si guarda ovunque, tanto che le “finnish lessons”, come le chiama Pasi Sahlberg, professore all’Università di Harvard, sono diventate un modello da studiare e imitare. Se si vuole più cultura e più bellezza si deve partire da qualcosa di diverso dal merchandising dei musei. Servono sì musei, ma anche una popolazione capace di vedere, leggere, interpretare e rapidamente mutare in base alle sollecitazioni del mondo e della realtà.
Lezioni, quelle della scuola finlandese, gratuita persino per quanto riguarda il sistema delle mense scolastiche, a cui stanno guardando in molti, soprattutto perché questo modello mischia equità e qualità, non insistendo sul binomio competizione-merito che, declinato senza equità e senza metodo, diventa foriero di pessimi risultati.
Ma che cosa c’entra la matematica in tutto questo? C’entra molto, moltissimo. Anzi, la matematica appare come una delle chiavi di volta di questo sistema, che non prevede per gli studenti elementi di stress eccessivi come continui esami, interrogazioni, valutazioni.
Anche l’orario scolastico, in una scuola fortemente orientata al bene comune – ricordiamo che, a fronte dei circa 60 euro l’anno che sono richiesti a uno studente che voglia iscriversi in un’università finlandese, gli viene chiesto una sorta di giuramento/impegno sul bene comune, visto che la comunità paga per lui – è flessibile e sono molte le scuole, nei tre ordini più o meno simili a quelli italiani, che le compongono che iniziano le lezioni alle 10 del mattino, terminandole alle 14.
Il modello educativo finlandese è improntato a quella che, altrove, chiameremmo creatività. Solo che questa creatività non è declinata là dove ci aspetteremmo, in ore dedicate all’arte, al cinema, alla musica o al teatro. Questa creatività è declinata proprio nel campo matematica. Come è possibile che l’altissimo tasso di alfabetizzazione matematica dei finlandesi si sia realizzato in un sistema che prevede libertà quasi assoluta di studio?
Scuola e principio di vita
La ragione fondamentale, quella che tocca la radice del problema, è già nella domanda con cui aprivamo il nostro articolo: in ogni momento della vita, in ogni istante di un mondo che rapidamente muta, ognuno ha e avrà sempre bisogno della matematica. Questo, osserva Pasi Sahlberg, è il punto. Quello che, con un po’ di approssimazione, potremmo chiamare un principio-vita. «La differenza è che, da noi, gli studenti iniziano a imparare la matematica giovanissimi.
Al primo anno di scuola, riescono a svolgere in completa e serena autonomia ciò che uno studente di 3, 4 talvolta 5 anni superiore ai loro in altri paesi non sa svolgere». Il principio di base del normale apprendimento è rovesciato: non si impara la matematica per risolvere problemi. Ma si incontrano problemi che ci inducono a fare esperienza della matematica. Come nella vita reale. Elemento determinante, in una scuola che esalta elementi di cooperazione tra insegnanti e tra alunni, ma si poggia su un cardine di mutua auto responsabilizzazione, è legato a una parola chiave: immaginazione.
Gli studenti, soprattutto di 5-6 anni, vengono istruiti lavorando su un contesto di conoscenza che sviluppi le loro capacità. Si trovano in situazioni reali e lì devono mettere a frutto quella conoscenza che, in una dinamica non di competizione e valutazione, esperiscono come vitale e persino piacevole.
Giocare davvero, imparare davvero
Se il gioco è ciò che ci fa fare esperienza, senza che ci si accorga di fare esperienza, esso diventa allora una chiave di volta determinante e importante che permette di legare divertimento e apprendimento.
Questo si vede nei libri di testo e negli ebook, che non sono mere riproduzioni non cartacee del libro di testo, ma libri aperti, mondi aperti alla partecipazione cooperante tra chi sa (l’insegnante) e chi non sa, ma ha sempre più desiderio di sapere.
A volte basta poco, basta rovesciare una prospettiva e anche la matematica si mostra e si svela per quello che è sempre stata e mai avremmo – noi, ex studenti di una scuola tutta banchi e compiti in classe – sospettato che fosse: una porta spalancata sui cambiamenti del mondo, sui suoi mutamenti e sulla sua indomabile, ma trasmissibile bellezza.
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