Mondo
Ahmed di Nizza
Dalla vicenda francese di Ahmed, bambino di otto anni, segnalato alla polizia dal direttore della sua scuola di Nizza, con l’accusa di apologia del terrorismo, alla notizia secondo cui il Grand Mufti di Gerusalemme avrebbe denunciato la decisione di Israele di arrestare e sottoporre ad interrogatorio alcuni bambini palestinesi: un clima di dilagante paranoia sembra pervadere l’inconscio collettivo occidentale
“… Un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, al bocca aperta, le ali distese…” Cosa deve aver provato il direttore della scuola di Nizza di fronte ad Ahmed, di otto anni, per arrivare denunciarlo con accusa di apologia di terrorismo, in quanto il bambino – all’indomani della vicenda parigina di Charlie Hebdo – si sarebbe opposto all’insegnante che, con la domanda “Êtes-vous Charlie?”, voleva indurre gli alunni alla recita del mantra collettivo di quei giorni.
“No, non sono Charlie" – gli avrebbe risposto il bambino- perché sono contro quelli che fanno le caricature del profeta". Cosa deve aver provato il Ministro francese dell’Educazione che ha appoggiato il direttore della scuola, nella scelta che ha costretto ad una “audition libre” (ossia senza la presenza di un avvocato) un bambino di terza elementare.
Forse che il preside di Nizza e lo stesso Ministro, di fronte ad Ahmed, abbiano provato lo stesso sgomento di Walter Benjamin di fronte all’Angelus Novus di Paul Klee.
“Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, al bocca aperta, le ali distese.” scrisse Benjamin nelle sue Tesi di Filosofia della Storia .
“L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.” Forse che questi adulti abbiano sperimentato, nello sguardo frontale e lucido di Ahmed, uno stato di orrore, in quanto manifestazione dell’angoscia di morte, da cui a tutti i costi ci si sforza di distogliersi. Come se il viso del piccolo Ahmed abbia sortito in loro, e nei tanti occidentali affetti dalla nevrosi del terrorismo, il medesimo incantesimo della faccia di Medusa, a causa del quale si viene strappati da se stessi, privati del proprio sguardo distanziante, per esser invasi dall’Altro da sé.
L’alterità radicale che ha invaso la vita degli occidentali, a partire dall’attentato alle Twin Towers, quando si è definitivamente infranta la percezione difensiva che avevano riconquistato del mondo, dopo il tentativo di superare (e rimuovere), con il processo di Norimberga, i ricordi della tragedia nazifascista. Ma le immagini dell’undici settembre hanno aperto uno squarcio nello sguardo occidentale, saturandolo progressivamente di immagini sempre più angoscianti: le guerre in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003), la strage di Beslan (2004), gli attentati di Madrid (2004) e Londra (2005), fino alle vicende più recenti, dagli atti terroristici alla maratona di Boston (2013), all’irruzione armata nel Parlamento ad Ottawa e al sequestro di venti persone in un caffè di Sidney (2014). Il terrore invade l’esistenza degli occidentali, ne contagia la vita quotidiana con l’idea di un nemico invisibile, o dal volto anonimo (perché potrebbe avere il volto di chiunque), pronto a fare irruzione, brandendo un kalashnikov o un semplice coltello.
In quest’epoca dell’ansia, si è facilmente preda di quello che Wilfred Bion chiamava “terrore senza nome” che non si riesce a riconoscere, ad identificare, né tanto meno ad elaborare e che, alla lunga, danneggia il funzionamento psichico, inibendo funzioni cerebrali evolutivamente recenti – quali la capacità di capire l’altro – a vantaggio di funzioni arcaiche che rendono gli individui più facilmente preda di stati paranoici primordiali.
Fino al punto di rimanere paralizzati di fronte ad un bambino di otto anni, temendo che possa essere la causa di nuovi attentati, o di nuove catastrofi, quando l’unica catastrofe è ostinarsi a non guardare la catena causale di eventi, con cui il mondo ha dichiarato guerra alla coscienza. Una coscienza collettiva e individuale che è divenuta incapace di fare esperienza e di conservarne un ricordo vivente.
Una condizione difensiva di de-sensibilizzazione che rende molti esseri umani incapaci di commisurarsi con ciò che è diverso, estraneo e, inevitabilmente, con ciò che rappresenta l’alterità radicale, ovvero l’idea della morte.
Il dirigente della scuola di Nizza potrebbe aver visto tale spaventosa alterità, nel piccolo e consapevole Ahmed, potrebbe aver visto in lui come un angelo della storia giunto ad annunciargli l’impossibilità di sottrarsi alla visione del reale. La visione dell’odierna biocapitalistica, in cui immersi nei monitors, permeati da rappresentazioni propagate e alienanti degli spazi, dominati da un tempo circolare, ripetitivo e senza senso, gli individui sono costretti a scappare, per ritrovarsi sulla soglia del vuoto primordiale.
Una fuga verso un’aporia, da cui sembra difficile liberarsi, avvelenati dall’idea che qualsiasi altro da sé sia il nemico. Un’aporia che gli antichi Greci devono aver sperimentato e da cui si sono salvati, attraverso l’elaborazione psichica collettiva con cui hanno superato la dimensione più selvaggia e sanguinaria dell’ànexon e dell’àmikton, il non ospitale, il rifiuto della mescolanza dell’altro, riconoscendo “l’altro come componente dell’identico, come condizione dell’identità a sé”. Allora forse, basterebbe smettere di ripetere mantra, basterebbe smettere di auto-anestetizzarsi e reggere lo sguardo di fronte agli occhi spalancati dell’Angelo della Storia, senza farsene pietrificare.
Basterebbe fermarsi, guardarsi intorno con la lucidità di Ahmed, bambino di otto anni, riconoscersi essere umano tra altri esseri umani e impegnarsi a piangere i morti, a prestare soccorsi ai feriti, a stare accanto ai vinti. Perché nessun Messia, nessuna Rivoluzione, nessuna Strategia di sicurezza nazionale potrà salvare l’uomo dalla morte, ma solo uomini potranno liberare altri uomini, solo gli uomini potranno salvare la storia da loro stessi.
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