Economia

Le imprese sociali migliorano la vita? In Kenya ho visto come

"In Kenya abbiamo investito su tre imprese sociali, tra cui Copia, una realtà aziendale dal cuore femminile, con prospettive solide di espansione e un impatto visibile". Intervista a Elena Casolari, amministratore delegato di Acra-Ccs, a Nairobi per promuovere il Social Enterprise World Forum 2015

di Ottavia Spaggiari

“Qui in Kenya le imprese sociali possono colmare il gap lasciato dai governi e dagli aiuti umanitari, arrivando ad erogare i servizi di base in modo più efficace di chiunque altro.” Elena Casolari è amministratore delegato di Acra-Ccs, l’organizzazione promotrice del Social Entreprise World Forum, l’evento internazionale che si terrà a Milano dal 1 al 3 luglio 2015 e che riunirà oltre mille imprenditori sociali provenienti da tutto il mondo. L’abbiamo intervistata per capire se le imprese sociali possono davvero essere il motore di crescita più potente nei Paesi in via di sviluppo.

Quali sono gli obiettivi del vostro viaggio a Nairobi?

Prima di tutto per promuovere il Forum di luglio e incontrare altre realtà che potrebbero partecipare. Abbiamo conosciuto moltissime imprese sociali che si occupano di lotta alla povertà e che svolgono un ruolo fondamentale nel riempire il divario tra domanda e offerta di servizi che né i governi locali, né gli aiuti riescono a colmare. In realtà complesse come queste, spesso le soluzioni che vengono adottate non rispondono ai bisogni reali, in questo senso, spesso le risposte più adeguate arrivano dal mercato privato. Abbiamo visto molte imprese sociali che erogano servizi di base in modo più efficace del pubblico e degli aiuti internazionali.

Acra è anche tra i promotori di Opes, fondazione che si occupa di Impact Investing. Quali sono le difficoltà più grosse per lo sviluppo delle imprese sociali in un Paese come il Kenya?

Le difficoltà maggiori si incontrano soprattutto per quanto riguarda le realtà early stage. La sfida più importante è la necessità di rimuovere le barriere allo sviluppo di un ecosistema, in grado di sostenere davvero la crescita di un mercato. In realtà una sfida simile la troviamo anche in Italia. 
Con Opes abbiamo investito in sei imprese sociali, due si trovano in India, una in Uganda e tre qui a Nairobi, dove gli investimenti sono solitamente di piccola entità, in media 50 mila euro. Si tratta di piccole e media imprese, la più grande, in Uganda ha 100 dipendenti e un fatturato di 600 mila euro. Con tutte applichiamo il modello equity.

Un esempio di impresa sociale kenyota in cui avete investito?

Copia global, la prima impresa sociale in cui Opes ha investito nell’agosto del 2013. Si tratta di un un canale di distribuzione per raggiungere i consumatori della Base della Piramide. Al di fuori dei centri delle grandi città, in Africa, infatti non esistono ancora catene di distribuzione collaudate, questo rende l’accesso ai prodotti di consumo più necessari, molto oneroso, sia in termini di prezzo che di tempo necessario per recarsi a un punto vendita. Chi più risente di questa situazione sono le fasce più povere della popolazione, coloro che vivono in aree remote. Copia ha introdotto un sistema di vendita al dettaglio basato su cataloghi, offrendo ampio assortimento e prezzi certi anche nelle zone meno centrali. I consumatori possono consultare il catalogo Copia ed effettuare gli ordini presso piccoli negozi gestiti da donne della stessa comunità, le quali agiscono come punto di consegna. Opes ha investito quando Copia era poco più di un concetto, certo con un pilota testato, un flusso di vendite strutturato che prometteva una crescita, ma era sostanzialmente un modello tutto da sperimentare. Oggi e’ una realtà imprenditoriale che ha un cuore femminile, prospettive solide di espansione ( 1700 sales agents entro il 2017) e un  impatto visibile.

Avete investito anche in imprese sociali che erogano servizi di base?

L’ultimo progetto a cui stiamo lavorando si concentra proprio su questo, a Naivasha, una spledida cittadina di 180 mila abitanti, a cento chilometri da Nairobi, che però ha un acqua pericolosa: un concentrato eccessivo di fluoro. Un’assunzione continuativa porta alla floruosi, una patologia invalidante che provoca effetti deleteri sul sistema nervoso. L’unica soluzione è depurare l’acqua ricorrendo alla tecnologia dell’osmosi inversa. Pure Fresh, l’impresa sociale con cui abbiamo iniziato a lavorare, fa proprio questo. Anthony, il suo fondatore, un uomo con una grande stoffa da imprenditore ha lasciato il suo solido lavoro di agronomo, nel 2011 per aprire primo negozio in cui vende a prezzi accessibili acqua che lui depura personalmente. Accanto a lui, Jambi, sua moglie anche lei brillante agronoma. E’ una scelta condivisa: lasciare la sicurezza, un futuro solido per trovare una soluzione a quel problema a cui nessuno sembra dare attenzione: ne’ il governo, né i privati, ne’ la grande macchina degli aiuti internazionali. Tra l’altro abbiamo visto i chioschi realizzati da potenti agenzie di sviluppo e organizzazioni internazionali, che forniscono sì, acqua a prezzi bassissimi ed estremamente accessibili, ma si tratta di  acqua non pura, non trattata con osmosi inversa. Anthony vuole fare ciò che gli altri sembrano ignorare, o non vedere. Oggi Pure Fresh ha 4 negozi, 10 dipendenti, di cui 9 donne e, di queste, 7 madri sole con tanti bambini. 10 mila persone ogni settimana comprano l’acqua buona di Anthony. Ora insieme testeremo una nuova modalità di distribuzione, con vending machines e franchising. L’obiettivo è l’intera popolazione di Naivasha, e poi Nakuru. Abbassare il prezzo in modo che anche chi può contare su un reddito di meno di 2 dollari al giorno possa accedere all’acqua di Anthony, per permettere di  sottrarsi al ricatto della fluorite.

Un obiettivo ambizioso…

Sì, ma il nostro capitale è paziente; paziente e ambizioso.

In questi giorni a Nairobi si sta tenendo anche il Sankalp Forum, uno dei più importanti eventi sull’impact investing a livello internazionale. Quali sono le tendenze che stanno emergendo?

Una delle domande più frequenti è quella relativa agli incubatori, ne sono nati moltissimi, negli ultimi anni, da una parte è indice di un grande entusiasmo ma dall’altra sottolinea il fatto che non esista però una struttura in grado di sostenere le imprese dopo la fase di incubazione. Inoltre è emersa la necessità di investitori che vogliano assumersi il rischio e siano pazienti, di una fiscalità agevolata e di policy adeguate. Qui al Sankalp, il governo è praticamente assente, si tratta più che altro di un marketplace ma non c’è nessun endorsement politico. Il World Social Enterprise Forum sarà diverso. Parteciperanno rappresentanti delle istituzioni e, anche se la lingua principale sarà l’inglese, renderemo disponibile la traduzione in italiano, perché la posta in gioco è altissima, si tratta di far crescere un nuovo mercato e questo dev’essere reso accessibile a tutti.

 

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