Politica

Bertinotti: «Al Colle serve un barbaro»

Entra nel vivo l'elezione del Presidente della Repubblica. L'ex presidente della Camera e leader di Rifondazione Comunista non ha dubbi: «si cerca una figura che garantisca governabilità. Invece servirebbe un uomo esterno all’arena politica, che abbia vissuto con e per gli ultimi, che ricomponga la frattura tra il popolo e le élite. Un barbaro ma senza barbarie»

di Lorenzo Maria Alvaro

In queste ore la partita per il Colle entra nel vivo. Le strategia e le alleanze per portare il candidato giusto alla presidenza della Repubblica si fanno sempre più intense. Saranno ore frenetiche. Ma c’è chi, guardando ai nomi e ai criteri che circola in queste ore, è convinto si stia sbagliando nella scelta. È Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera e leader di Rifondazione Comunista che spiega a Vita.it perché non debba essere la governabilità il faro di queste elezioni.
 

La figura che si sta cercando per il Colle sembra l'antitesi di quello che era Giorgio Napolitano. Si cerca infatti qualcuno che non abbia un'appartenenza politica marcata e che faccia da arbitro limitando l'interventismo. È così?
Senza dubbio. Non sono criteri politicamente significativi. L'interesse è volto, in modo neo doroteo, al trovare esclusivamente una soluzione.

Lei non è d'accordo con questo identikit?
Ho un'idea radicalmente diversa. Siamo nel tempo della crisi del rapporto tra il popolo e le élite, tra cittadini e istituzioni, che corrode a fondo la democrazia. Anche le riforme che si stanno facendo puntano esclusivamente alla governabilità contraendo la partecipazione democratica. Oggi infatti si può sì votare un governo ma non si possono sceglierne le politiche, che sono già predefinite. Non mi sfugge per questo che dal punto di vista della politica interna si tratti di una scelta, quella del presidente della Repubblica, affatto indifferente.

Quali sono per lei i criteri politicamente significativi con cui operare questa scelta?
La riconciliazione. Scegliere qualcuno che sani questa frattura. Ma per farlo deve essere una figura che stia fuori dall'arena politica. Viviamo una società che vede una crescita smisurata delle disuguaglianze, della povertà e del disagio. Quindi il candidato non basta che venga dalla semplice società civile. Deve anche essere qualcuno che abbia speso la propria vita nel lavoro in questi ambiti, nel combattere la povertà, la disoccupazione, l'emarginazione e nell'aiuto ai più deboli. In qualche modo quello che la Chiesa ha fatto scegliendo un Papa, Francesco, venuto dalla fine del Mondo. Solo allora si darebbe un segno di riconoscimento delle ragioni della crisi politica. Serve insomma un barbaro, nel senso di venuto da fuori, senza barbarie.

Recentemente Tsipras ha vinto le elezioni in Grecia. Pensa che possa essere un punto di riferimento per la minoranza Pd e Sel, che sono anche andati a partecipare del successo di Syriza?
L'interlocutore a mio avviso è ottimo. Ma la lezione andrebbe ascoltata. Syriza, come Podemos in Spagna, dimostrano che una sinistra non nasce dalla costola di un partito esistente. Ma dall'interpretazione delle difficoltà della gente.

È anche importante, Lei lo ricorda spesso, il dialogo con l'altra grande cultura politica sconfitta, quella cattolica…
Certo, purché sia un dialogare lontano dal “heri dicebamus”, dal dove eravamo rimasti, ma che parta dalla realtà di oggi. Perché il Papa è così ascoltato? Proprio perché è autentico e interpreta il cuore degli uomini.  

Sarò un po' impertinente: perché l'apertura ad un dialogo proficuo arriva sempre dopo, da saggi comunisti e vecchi cattolici, raramente prima?
Non è così. Questo Paese è stato fondato e costruito su questo dialogo…

Mi riferivo più che altro agli ultimi 20 anni…
Negli ultimi 25 anni il dialogo è stato sequestrato nella sfera della governabilità. È un dialogo che ha vissuto tre fasi. La prima è quella della promessa, che ha tradotto l'antifascismo nella costituzione repubblicana. Il secondo periodo è quello post-conciliare, del 68' e degli anni 70, che vide la presenza dei grandi movimenti. Infine gli ultimi anni, quelli del rovescio, in cui si sono costruiti i centro sinistra europei, non per il cambiamento ma per il governo delle esistenze. 


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