Mondo
Terrorismo e sequestri, il cardinale Montenegro: Non cedere alla paura di noi stessi
Intervista all'arcivescovo di Agrigento, fresco di nomina cardinalizia da parte di papa Francesco. "Le salme di chi perde la vita in mare portano segni di atti di fede. Vi sembrano delinquenti? Dobbiamo accogliere, ma in modo serio, per evitare tensioni sociali". Sulle polemiche per le due ragazze liberate: "I volontari ci fanno conoscere quelli che per noi erano 'diversi', mettendoci in discussione"
“Lo sa che molti migranti annegati nel Mediterraneo sono stati ritrovati con in bocca crocifissi o medagliette, oppure con le mani congiunte? E c’è ancora chi pensa che coloro che arrivano dal mare siano tutti delinquenti…”. Parola di neocardinale: Francesco Montenegro, 68 anni, arcivescovo di Agrigento e presidente di Fondazione Migrantes, verrà ordinato cardinale il 14 febbraio 2015 da papa Francesco. Nel suo impegno su vari fronti, l’accoglienza dei migranti ha sempre rappresentato un punto fermo, “in un territorio fra gli ultimi d’Europa, dove la povertà di buona parte della popolazione si incontra con la disperazione degli immigrati che arrivano”. Vita.it ha raccolto il punto di vista del religioso, in un momento difficile sia per la gestione dei flussi migratori che per il rapporto con i paesi in guerra (vedi le accese polemiche che ruotano attorno al rilascio delle due giovani volontarie Greta Ramelli e Vanessa Marzullo dopo cinque mesi prigionia in Siria).
Cardinale, il dibattito acceso e carico di rabbia, persino volgare attorno alla liberazione delle due volontarie italiane lascia sgomenti. Quali considerazioni si sente di fare in merito?
È un tema che ci tocca in profondità. E fa uscire quella che io chiamo la paura di noi stessi. Mi spiego: chi va a fare volontariato nei luoghi di sofferenza, o aiuta persone in difficoltà come i profughi in fuga dalla guerra, oscura la visuale che uno può avere del “diverso”, ovvero quello di cui si sente parlare ma che non si conosce direttamente. È a questo punto che nasce la paura legata al confronto, perché vedo che c’è ingiustizia, mi guardo dentro ma non riesco a venirne a capo, e ho paura di questo mio aspetto.
Come uscirne?
Facendo prevalere il coraggio e l’uso della testa. Stare accanto all’altro in difficoltà è la strada già tracciata, perché i flussi in atto oggi non si fermeranno, e chi porta avanti l’idea che la società non possa essere multietnica è un perdente, perché lo è già oggi. Non c’è nessun invasore, anzi a ben vedere potremmo essere considerati noi europei degli invasori, se pensiamo alle azioni portate avanti in Africa, per esempio, dove sfruttiamo terre ricche trattandole come povere. Dobbiamo quindi ragionare in modo concreto, senza ipocrisie: trasferiamo in tutto il mondo i soldi, le merci, ma non gli uomini? Il regolamento Dublino III dell’Unione europea (che sancisce, tra l’altro, l’obbligo di rimanere nel paese di approdo per richiedere l’asilo, anche se si hanno parenti altrove, ndr), per esempio, deve cambiare. Lo spostamento di persone che scappano da guerre e persecuzioni è destinato a continuare.
Qual è il problema più urgente da risolvere in tema immigrazione?
Manca una vera e propria politica sull’accoglienza. Non basta il lavoro egregio di salvare vite in mare, bisogna poi aiutare queste persone a vivere, inserendole nella società in modo adeguato per sconfiggere la sindrome della paura che, unita alla perdita di lucidità, porta molte persone a pensare che chi viene da fuori sia un terrorista, un delinquente. In questo senso, i mezzi di comunicazione non stanno offrendo un grande servizio, potrebbero fare molto meglio.
Come?
Mettendo il più possibile l’accento sul fatto che siamo un popolo di emigranti. Molti di noi sono partiti nel recente passato, e come qualcuno ha ricordato si stima che all’Italia manchino almeno cinque milioni di persone che sono andate altrove: è un buco enorme nella popolazione, che può essere colmato con cinque milioni di immigrati. Onesti cittadini, non delinquenti, e spesso persone di fede: lo ribadisco, le salme dei migranti morti in mare sono state ritrovate con le mani giunti, in preghiera, con simboli religiosi in bocca. S’immagina se dovessi giudicare come delinquente chiunque entra nella mia chiesa solo perché non lo conosco e magari ha un colore della pelle diverso dal mio?
Nella preoccupante situazione attuale, tra le guerre in corso, i fatti di Parigi, i massacri di Boko Haram in Nigeria, le persecuzioni religiose verso le minoranze in Africa e Medio Oriente, quali azioni sarebbero auspicabili per provare a migliorare le cose?
La violenza e le armi non cambiano mai la realtà in meglio, anzi. Occorre percorrere la via del dialogo, anche se può sembrare la più lunga. E' importante che si imposti il rapporto tra le nazioni sul rispetto della giustizia e del riconoscimento della dignità di ogni uomo. Questo lo devono fare quanti decidono le sorti del mondo. Questo dobbiamo farlo anche noi nelle relazioni quotidiane.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.