Cultura

L’Asia come priorità. La sorpresa di Francesco

Terzo viaggio di papa Bergoglio nel più grande continente del pianeta. Che è anche quello in cui i cattolici sono meno. Ma in cui hanno dimostrato di essere un’identità “ponte” con tutti

di Giuseppe Frangi

Il Papa torna in Asia per la terza volta nell’arco di pochi mesi: dopo Corea, Israele e Palestina è la volta di Sri Lanka e Filippine. Torna nel continente in cui i cattolici sono quasi ovunque un minoranza, a volte anche piccolissima. Il papa che viene dalla fine del mondo, va alla fine del mondo, ma ad opposta latitudine. Cosa lo spinge a privilegiare l’Asia anche rispetto a continenti molto cattolici come la sua America Latina?

Il primo motivo l’aveva reso noto lo stesso Bergoglio, conversando con i giornalisti di ritorno dalla Giornata della Gioventù di Rio de Janeiro: l’Asia è l’unico continente che papa Ratzinger, pur desiderandolo non era riuscito a visitare nei suo otto anni di pontificato. Ci sono poi altre ragioni intrinseche che sono rivelatrici dello stile e della visione di papa Francesco. Naturalmente c’entra la storia e la “natura” di questo immenso continente che è culla di tutte le grandi religioni. Come ha spiegato il segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, Bergoglio è convinto che il dialogo interreligioso sia «fondamentale per la pace oggi nel mondo e quindi diventa un dovere per tutte le religioni».

E l’Asia è è il palcoscenico più importante a livello globale sul quale promuovere e consolidare sempre di più la conoscenza e l’accettazione reciproca. In questo continente “mosiaico”, la Chiesa può avere un ruolo chiave, proprio perché i suoi numeri sono marginali e perché ha mostrato una capacità di parlare e dialogare con tutti. Simbolo di questa “chiesa ponte” è il santuario mariano di Madhu, in terra Tamil, dove il papa si recherà il 14 gennaio.

Il santuario è riconosciuto come luogo d’incontro e centro di preghiera, frequentato anche da membri di altre religioni: lo Sri Lanka per il 70% è buddista, per il 10% musulmano e solo per l’8% cristiano. Eppure la chiesa ha svolto un ruolo chiave nel processo di riconciliazione tra la maggioranza singalese e la minoranza tamil.

Tanto è vero che nel pieno della guerra civile papa Benedetto aveva chiesto espressamente all’allora presidente di salvaguardare il santuario di Madhu, che si trovava sulla linea del fronte fra i due gruppi che si combattevano ed era un possibile luogo d’incontro e di dialogo, oltre che rifugio per molti sfollati dei due schieramenti. La tappa al santuario, tra le altre cose, conferma quindi che il pontificato di Francesco si pone in continuità con quello di Benedetto, dimostrando uguale sensibilità e attenzione verso tutto ciò che favorisce la convivenza tra uomini e popoli.

I cattolici in Asia sono praticamente ovunque presenza numericamente marginale: solo nelle Filippine e a Timor Est sono maggioranza. Ma questo è un altro aspetto che interessa a papa Bergoglio. Il fatto di essere un “piccolo gregge” stimola infatti modalità di presenza, soprattutto sul piano caritativo ed educativo che sono apprezzate dai governi e dalle popolazioni dei vari Paesi. È una presenza vivace, che il papa ha avuto modo di verificare direttamente in Corea, una chiesa nata non a caso per iniziativa di laici che avevano avuto eco della predicazione di Matteo Ricci in Cina.

Papa Francesco non misura la chiesa a “numeri”: se così fosse non avrebrbe nominato ben tre cardinali asiatici su un totale di 14 nuove propore in vista del prossimo Concistoro di metà febbraio. Evidentemente a lui non interessa una chiesa “egemone” ma una chiesa capace di stare in periferia, di incontrare e di essere proposta di vita buona per tutti. Per questo la chiesa asiatica è un modello. Piccola, minoritaria senza prospettive di uscire da questa condizione. Ma una chiesa viva.

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