Welfare

Quante idee sbagliate sul recupero dei minori

La lettera di Vincenzo Andraus dal carcere di Pavia

di Riccardo Bonacina

Attento, potresti passare dei guai: c?è il carcere per i minori che commettono reati, ora fai il duro, ma poi piangerai». Così mi diceva un vecchio maresciallo dei Carabinieri, mille secoli addietro. Me lo diceva dentro la sua divisa che rendeva altera e severa la sua voce: io con le mani in tasca, sfioravo il freddo della lama che avevo imparato a portare con me. Nella mia mente nessun accenno al dubbio, nessun timore, solamente una grande ansia di poter diventare protagonista di quella profezia, che per me rappresentava la via maestra per apparire, per essere, per avere, la scorciatoia per uscire da un anonimato invadente. Avevo quattordici anni dopo due giorni da quel mio primo arresto: la famiglia, la scuola, il quartiere, erano scomparsi di fronte alle porte del carcere. Sì, avevo quattordici anni e l?immaturità di un adolescente; più entravo e uscivo da un carcere per minorenni, da una caserma, da una cella di isolamento, più mi sentivo a mio agio, ma dallo scippo, alla rapina, al sangue, il tragitto è breve: quanto lo spazio di uno sparo.
In questi giorni leggo sui quotidiani alcune proposte sulla devianza minorile: l?imputabilità abbassata a dodici anni, il carcere obbligatorio?Ho l?impressione che si continui a preferire la fuga in avanti, piuttosto che il fare, il pensare, l?investire, senza i quali ogni idea resta un fallimento annunciato, forse persino voluto. Progettare una politica fattiva, mirata, significa investire davvero in materiale umano specializzato, in strutture appropriate, in cultura. è sciocco criticare una proposta attraverso un pregiudizio, o peggio ideologizzando un percorso, ma forse sarebbe bene riflettere su quanto accade nei paesi tecnologicamente avanzati e con una democrazia ben consolidata, dove appunto a dodici anni sei imputabile, quindi vai in carcere, ma aumenta l?urto e il fastidio per interi quartieri suddivisi in gangs di giovani guerrieri, un piccolo esercito di adolescenti divenuti carne da macello, e di fatto esclusi e ghettizzati. A dodici anni non puoi comprendere neppure di essere al mondo, spesso maledici chi t?ha messo al mondo.
Ma anche ammettendo che a dodici anni sei consapevole delle scelte e delle responsabilità, come un adulto formato dalle esperienze, occorrerà domandarsi in quale struttura penitenziaria fare scontare la condanna o la custodia cautelare a un minore. Sì, perché, a tutt?oggi il carcere non lo si riesce a piegare a nessuna utilità sociale, anzi rimane il maggior riproduttore di sub-cultura: entrano uomini ed escono bambini, entrano bambini ed escono pacchi bomba senza?fissa dimora. Quando, talvolta, dal carcere escono persone che hanno saputo ritrovare un senso, una dignità e autostima, ciò non è dovuto alla durezza di un sistema, bensì è la vita che cambia gli uomini: con i suoi incontri importanti, e non per l?imposizione di una sofferenza fine a se stessa. Con la realtà attuale del carcere, occorre chiedersi quale sia lo scopo di imprigionare dei dodicenni: se per recuperarli, o più semplicemente per levarceli dai piedi. Sembra che non esistano strutture alternative al carcere per i minori, erroneamente ho sentito parlare di inesistenti binari rieducativi, quando invece, a mio parere, non c?è nulla da rieducare in chi non ha mai avuto un vero accompagnamento educativo.
Svolgo attività di tutor nella Casa del giovane di Pavia, seguo tanti minori nei laboratori, adolescenti, giovanissimi a rischio, di nazionalità ed estrazioni diverse, con problematiche diverse, ma tutti alla ricerca della propria identità nel riconoscimento dei ruoli all?intorno. Sono convinto che in una comunità come questa, dove l?investimento forte è per la promozione umana, esiste per i ragazzi la possibilità di instaurare una rete di rapporti con persone valide, che sappiano trasmettere non solo nozioni e conoscenze, ma vicinanza ai valori più profondi e condivisibili. «Liberando la libertà», come ci ha lasciato detto il fondatore di questa grande casa, don Enzo Boschetti.

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