Formazione

Vedere e ascoltare chi né vede né sente

La Lega del filo d’oro è l’associazione che difende i diritti delle persone sordocieche: circa 11mila in Italia. Intervista a Rossano Bartoli

di Benedetta Verrini

I-o-m-i-c-h-i-a-m-o-R-o-s-s-a-n-o. Vedi? è semplicissimo». Con le dita della mano destra che sfiorano rapidissime il palmo della sinistra, Rossano Bartoli, segretario generale della Lega del filo d?oro, dimostra che parlare a una persona sordocieca non è una cosa difficile. Eppure la comunicazione, la mobilità, l?accesso alle informazioni sono ancora frontiere lontane. I sordociechi in Italia (da 3mila a 11mila, secondo le ultime stime), attualmente non sono nemmeno riconosciuti, a livello legislativo, come affetti da una disabilità specifica. Allora, è forse troppo chiedere pari opportunità? Per chi lavora con loro da quasi trent?anni, come Bartoli, certamente no. Vita gli ha chiesto di parlare della sua esperienza nella Lega del filo d?oro, e delle prospettive che si aprono in occasione della terza Conferenza nazionale delle persone sordocieche . Vita: Bartoli, chi sono le persone sordocieche oggi in Italia? Rossano Bartoli: Sono adulti e bambini che devono affrontare, assieme alle loro famiglie, problemi molto gravi. Ci sono, naturalmente, situazioni diverse a seconda che una persona nasca sordocieca o lo diventi in un?età successiva. In questo secondo caso, ha avuto la possibilità di acquisire molte conoscenze e abilità prima di perdere progressivamente la vista e l?udito. Si tratta di persone che avevano un lavoro, una famiglia, una vita di relazione autonoma, che improvvisamente si trovano a fare i conti con l?accettazione e l?apprendimento di un nuovo stile di vita. Per loro, l?attenzione e il riconoscimento sociale sono molto importanti. Per i bambini che nascono sordociechi, il problema è ancora più complesso: una famiglia si trova prima nella difficoltà di ottenere una diagnosi, e poi di essere supportata dai servizi locali, in molti casi impreparati di fronte a questo tipo di disabilità. Per questo a Osimo abbiamo realizzato un centro diagnostico che mette insieme professionalità diverse, in campo sanitario, psicologico e pedagogico, in grado di formulare nell?arco di una settimana una diagnosi precisa e stabilire un programma riabilitativo personalizzato. Vita: La Lega del filo d?oro è ormai diventata una grande realtà di riferimento, in cui lei ha moltissime responsabilità, dalla gestione fino alla comunicazione?ma quando è iniziata questa avventura? Bartoli: Bisogna andare un po? indietro nel tempo? più o meno al ?68, quando avevo 18 anni. Ho conosciuto la Lega del filo d?oro andando a fare il volontario in un soggiorno estivo per persone sordocieche, invitato dal sacerdote del mio gruppo parrocchiale. Fu un?esperienza molto forte, al punto che diventò per me abbastanza naturale rifarla negli anni successivi e, soprattutto, impegnarmi per raccogliere fondi. Per alcuni anni sono andato avanti così, da volontario, fino a quando, finita l?università, ho accettato la proposta di lavorare lì a tempo pieno. E a 25 anni mi sono trovato, con una laurea in chimica industriale, a fare il direttore amministrativo della Lega. Vita: Un?esperienza che le ha dato soddisfazioni? Bartoli: Tantissime. Sono 26 anni, un mese e qualche giorno che lavoro in questa realtà. Da un lato è molto bello sentire la gratitudine delle famiglie che si rivolgono al nostro centro, dall?altro è a dir poco emozionante condividere con tutti gli altri operatori e i volontari la crescita e la realizzazione di nuovi servizi. L?emozione più grande, forse, è stata la visita di Scalfaro, nel 1994, per i trent?anni dell?associazione. Il presidente ha poi citato la Lega del filo d?oro durante il messaggio di Capodanno, segno che il nostro impegno e il nostro lavoro l?avevano colpito. Vita: Ma quanto è difficile comunicare all?esterno la mission della Lega del filo d?oro? Bartoli: Purtroppo sono tantissime le persone che, ancora oggi, non pensano che possano esistere i sordociechi. E questo è un problema. Poi, quando si parla di persone pluriminorate, di handicap psicosensoriali, si usano termini che non sono immediatamente comprensibili e complicano le esigenze di brevità e immediatezza che una campagna di comunicazione deve avere. Però, anno dopo anno, un certo tipo di attenzione è cresciuta: c?è chi ci associa ad Arbore, che è nostro testimonial dal 1989; c?è chi è venuto a conoscerci approfittando delle visite guidate che abbiamo organizzato al centro di Osimo. In un anno riceviamo quasi duemila visitatori che vengono da ogni parte d?Italia, pedagogisti, psicologi, medici, assistenti sociali, persino sostenitori che vorrebbero fare donazioni o lasciti testamentari e che vengono a vedere da vicino la nostra attività. Perché la gente ci aiuta? Forse perché ci riconosce una concretezza e una capacità di realizzare progetti che stanno dando frutti. Come i nuovi centri di riabilitazione, che aumenteranno i servizi per ora garantiti solo nella sede di Osimo: il grande centro di Lesmo in Lombardia e quello di Modena, dove abbiamo posato la prima pietra la settimana scorsa.


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