Cultura

«Sarò Iena, ma con tanta speranza in più»

Alessandro Sortino, nuovo direttore creativo della televisione dei vescovi: «È stata per me una sorpresa ricevere questa chiamata, ancor di più l’averla accettata. Ho una sola certezza, oggi denunciare non basta più»

di Lorenzo Alvaro

L’emittente della Conferenza episcopale italiana, TV2000, quest’anno scende in campo profondamente rinnovata, schierando anche una squadra di direttori che promette tante sorprese. Punta di diamante di questo rinnovamento è il direttore creativo Alessandro Sortino, volto noto del giornalismo televisivo, ex Iena che esordì la propria carriera proprio a Vita. «È stata per me una sorpresa ricevere questa chiamata, ancor di più l’averla accettata», ha spiegato durante la presentazione del nuovo palinsesto. Ma come si fa a passare dal giornalismo di denuncia delle Iene alla televisione della Chiesa Cattolica che nella messa domenicale e nel rosario da Lourdes i suoi punti di forza? Lo abbiamo chiesto al diretto interessato
 

  
Alessandro Sortino  

Il nuovo claim di TV2000 è “La verità è sempre una sorpresa”, cosa significa?
Lo spiego con un esempio. Parlando di religione una volta ho dialogato con un Imam che mi diceva quanto Cristo fosse accettato nell’Islam in quanto profeta, ma come allo stesso tempo la crocifissione fosse inaccettabile. Per lui e per i musulmani infatti è uno scandalo che Dio si incarni, diventi cioè uomo e conosca la corruzione della morte.

Scusa, ma cosa c’entra?
Questa della passione è una grande sorpresa se la dici realmente. Che la nostra religione e quindi tutta la nostra cultura si fondino su un Dio che si fa uomo e muore è una sorpresa incredibile. È una notizia.

Una notizia, come la “buona novella” insomma?
No, nel senso di notizia giornalistica. Perché se Dio è diventato uno sfigato che è finito in croce significa che lo sfigato è importante, diventa centrale. Diventa una sorpresa e una notizia. Ecco perché «la verità è sempre una sorpresa».

Tu sei diventato celebre in video con Le Iene. Come si concilia quel modo di fare inchiesta con questo tuo nuovo ruolo, nella tv dei vescovi?
Quello che io salvo de Le Iene è che sono la scuola del parlare chiaro. Il linguaggio televisivo è un linguaggio in cui le parole devono essere concrete e visibili. E quel programma ha sempre portato questa caratteristica alla estreme conseguenze. Solo che questo oggi non basta più…    

Perché?
Quando uno fa un'inchiesta racconta qualcosa che non va, che non funziona. E spesso la scopre. A me è capitato spesso di scoprire cose che la gente non sapeva e, da quel giorno, le ha sapute, ne è stata informata. È una cosa che spero di continuare a fare anche oggi perché è importante. Però non cambia niente. Sono talmente tante le cose che vanno male che la semplice aggiunta dell’ennesimo caso non fa altro che confermare nelle persone l'idea che non c'è più speranza. Bisogna cominciare ad avere la responsabilità di scoprire, per ogni volta che qualcosa non va, qualcosa d'altro che invece funziona, che va bene. Ognuno di noi deve capire che la responsabilità è di ciascuno, personalmente

In che senso?
Bisogna capire che se c'è, ad esempio, un politico che ruba, c'è anche chi l'ha votato. Quindi siamo noi i responsabili di quel politico. Siamo, anzi, noi quel politico. Ma siamo sempre noi che possiamo cambiare le cose.

Tu hai iniziato a Vita il tuo percorso. Ti ha lasciato qualcosa quell’esperienza nel tuo modo di intendere il giornalismo?
Bè si, per due ragioni diverse

Cominciamo dalla prima…
È una questione personale. Vita è il primo media che mi ha pagato uno stipendio fisso. Sempre da precario sia chiaro. Ma di questo gliene sarò grato per sempre. Mi è stata data fiducia, e la fiducia è la benzina dell'uomo. Senza non succede nulla. È quello che conta veramente.

La seconda?
Possiamo dire che a Vita siano stati profetici. Perché sono vent'anni che sostengono come tra lo Stato e il mercato ci sia un terza cosa, che è più importante delle altre. Una terza via. E oggi che i due giganti, Stato e mercato, stanno implodendo, scopriamo che questa terza via, che sembrava così piccola, è l'unica chance che ci rimane. Soldi non ce ne sono più, le industrie se ne vanno e cosa rimane? Le persone, le relazioni e la condivisione. Quindi Vita in questo lavoro continuo e infinito di mettere insieme le realtà che fanno queste cose e raccontarne l'impegno è stato profetico. Questo non vuol dire fare lo sconto, e non raccontare le cose che non vanno bene, perché “tanto c'è il volontario buono che fa al posto nostro”, come è successo a Genova. Ma vuol dire che c’è ancora una possibilità.

Quindi l'indignazione serve ma bisogna andare oltre…
Sì, come mi ha detto Mons. Galantino quando mi ha incontrato la prima volta: «devi essere Iena, ma con la speranza». Dopo l'indignazione serve la speranza. Guardiamo ai fatti di Genova. La notizia non era, o almeno non era solo, la questione dei problemi non risolti. È stata soprattutto la storia dei volontari che aiutavano.


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