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Cittadinanzattiva: la Riforma? Ecco cosa va e cosa non va

La sintesi del documento presentato in audizione in Commissione Affari Sociali alla Camera. In allegato il documento integrale

di Redazione

Fra le organizzazioni che ieri sono state audite dalla Commissioni Affari Sociali della Camera dei deputati nell’ambito dell’iter per la legge delega di riforma del Terzo settore c’era anche Cittadinanzattiva. In allegato trovare il documento che  l’ente ha messo a divulgato.

Qui invece una breve sintesi per punti:.

 

Premessa
Cittadinanzattiva, fin dalla pubblicazione delle Linee-guida per una riforma del Terzo settore, ha espresso apprezzamento per la volontà di ri-organizzare in modo sistematico la legislazione inerente il cosiddetto Terzo settore e di procedere a un’ampia revisione degli strumenti normativi miranti a facilitare questo soggetto, di rilievo costituzionale quando realizza l’interesse generale, nella sua capacità di indirizzo e di iniziativa sulle politiche pubbliche. Resta inteso che per Cittadinanzattiva la semplificazione e il miglioramento delle leggi devono porsi il fine di accogliere e accompagnare più efficacemente le diverse attività civiche, assecondando l’autonomia dei soggetti sociali che operano nell’interesse generale, e non perseguire intenti prevalenti di omologazione, regolazione e controllo.

 

Aspetti positivi

  1.  Il primato delle attività sui soggetti, per come emerge in particolare all’articolo 1 comma 1 e all’articolo 2 comma 1, lettera (C). Riteniamo infatti che si debba porre l’accento non sulle organizzazioni come tali, e neanche sulle finalità astratte contenute negli Statuti di ciascuna, ma sulle attività concrete che le stesse organizzazioni, e anche i singoli cittadini, realizzano, distinguendo fra quelle promosse per l’interesse generale e in quanto tali meritevoli del favore e del sostegno delle istituzioni, e quelle che realizzano fini, semmai ugualmente legittimi, ma che nulla hanno a che fare con l’interesse generale.
  2. La trasparenza come cifra distintiva. Non si tratta qui di avere gli strumenti per “distinguere il grano dal loglio”, come recitavano le Linee-guida, perché non è di tipo etico l’approccio che deve essere utilizzato nell’affrontare questa materia, ma piuttosto di far emergere e valorizzare, anche attraverso le norme, un orientamento alla trasparenza totale che le organizzazioni di terzo settore devono avvertire come loro distintivo, esigendo da sé le stesse cose che sono spesso a richiedere ad altri.
  3. La valutazione delle attività svolte dall’ente. Terzo aspetto dell’attuale impianto che va nella giusta direzione, anche se necessita di alcune precisazioni, è quello relativo alla valutazione delle attività svolte. In più punti del testo, in particolare all’articolo 2 e all’articolo 6, si parla di valutazione, appunto, e si introduce il concetto di “impatto sociale” che tuttavia, a parere di Cittadinanzattiva, appare troppo generico e andrebbe meglio definito almeno attraverso due correttivi: il fatto che a una valutazione di impatto sociale si giunga sulla base di criteri oggettivi e predefiniti, piuttosto che, come avviene spesso, a posteriori e in maniera autoreferenziale (si richiama, a titolo esemplificativo, la proposta avanzata da Fondaca, www.fondaca.org, di un Codice delle attività di interesse generale, in grado di rendere ricca e oggettiva la valutazione delle attività); e il fatto che la valutazione, come anche la trasparenza, si realizzino in relazione ai beneficiari delle attività, e non soltanto ai donatori, spesso considerati gli unici rispetto ai quali corra l’obbligo di “render conto” (è formulata in questo senso, per esempio, a proposito di trasparenza, la lettera (I), al comma 1 dell’articolo 2).

 

Aspetti critici

  1. Rappresentanza vs. rilevanza. Resta tuttora indefinito il ruolo di quella che la legge chiama un’apposita struttura di missione, per la promozione e la vigilanza sul terzo settore. E si paventa l’ipotesi che, per riordinare e “razionalizzare”, si faccia riferimento a criteri di rappresentanza, che nulla hanno a che fare con l’ambiente della cittadinanza attiva, e che sono in crisi profonda già in ambiti cui si attagliano maggiormente. Mentre è estremamente importante che le organizzazioni civiche migliorino nella libera capacità di lavorare in rete e usino l’abilità a fare “massa critica” nell’interesse generale, non avrebbe senso né legittimità costituzionale che fossero le istituzioni a scegliere alcuni soggetti come rappresentativi di e per tutti, se è così che vanno intesi “la previsione di strumenti che favoriscano i processi aggregativi degli enti” e “il riconoscimento e la valorizzazione delle reti associative di secondo livello”. Su che base, anche giuridica, poggerebbe questo tipo di rappresentanza, chi rappresenterebbe chi? Che ne sarebbe di una delle peculiarità delle organizzazioni civiche, quella di non aver bisogno di essere “grandi” o rappresentative per essere rilevanti, visto che la loro rilevanza è basata su cose come le competenze nei settori più diversi, i risultati ottenuti, la presenza e il radicamento territoriali, la tutela delle minoranze e dei diritti disattesi, ad esempio quelli dei migranti o delle persone affette da patologie rare?
     
  2. Il Servizio civile e il 5×1000, che già dall’atto della sua istituzione fa riferimento espresso all’articolo 118, u.c., sono senz’altro due strumenti per la sussidiarietà. Per questo, Cittadinanzattiva ha salutato con grande favore l’accento posto, fin dalle Linee- guida, sul consolidamento e il rilancio dei due istituti: si immaginava che per il 5×1000 si andasse nel senso della stabilizzazione e del superamento dell’inaccettabile tetto di spesa che ne ha contraddistinto l’attribuzione; nel caso del Servizio civile che si procedesse nella direzione del “diritto all’accesso” per tutti i giovani interessati, di un investimento economico significativo, ma che si innovassero, anche, il significato e la finalità stessi dell’istituto. Sull’una e sull’altra cosa l’attuale impianto normativo presenta, invece, confini ancora troppo prudenziali. Nel caso del 5×1000 resta previsto un tetto di spesa, condizionato alle risorse disponibili, ed è tutto da definire il processo che porterà alla razionalizzazione dei requisiti per candidarsi al beneficio, oggi concesso, ad esempio, anche a circoli ricreativi e sportivi utili solo per i soci, a fondazioni di impresa che potrebbero essere economicamente autosufficienti, a istituti di cura fiscalmente assimilati ai soggetti non profit ma del tutto sovrapponibili a istituti privati profit. Sul Servizio civile sarebbe questa l’occasione propizia per normarvi non più, o non più solo, in riferimento all’articolo 52 della Costituzione, che richiama la storia pregressa dell’obiezione di coscienza, ma in riferimento all’articolo 118, u.c. L’auspicio risulta rafforzato dal fatto che, per rilanciare il tema, si sia scelta come piattaforma di dibattito la riforma del terzo settore, appunto, e non altro, e tiene in conto quello che il Servizio è stato fin da subito: da parte dello Stato, una delle forme migliori con cui si è realizzato l’obbligo di sostenere l’iniziativa civica e da parte dei giovani una modalità concreta per sperimentare obiettivi di sviluppo civile. Sia nell’uno sia nell’altro caso si teme la perdita di questo respiro ampio, con l’irrigidimento “dall’alto” dei criteri, si può immaginare prevalentemente formali, che presiedono all’accreditamento dei soggetti: mentre, mai come in entrambi questi casi, a contare è il principio della libera scelta, da parte dei cittadini contribuenti che destinano il loro 5×1000, così come dei giovani che, per il loro Servizio civile, devono poter selezionare i progetti presentati in autonomia dalle organizzazioni, non più necessariamente quelle più grandi, ma quelle capaci di attività più rilevanti e attrattive, in una dinamica virtuosa di domanda e offerta.

 

 

 


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