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Sami, portavoce Unhcr: No ai respingimenti, garantire diritto a chiedere asilo
Intervista alla referente per il Sud Europa dell'Agenzia Onu per i rifugiati: "Triton non sarà come Mare nostrum, i rischi di naufragi aumenteranno". Sull'uso della forza nel prendere le impronte: "Esiste l'obbligo per i profughi di lasciarle, ma bisogna trovare il modo migliore per farlo. E servono al più presto cambiamenti nell'analisi delle richieste d'asilo"
Rimarrà a pattugliare a 30 miglia dalla costa, ma potrebbe fare di più spingendosi in acque internazionali come faceva Mare nostrum. Bisogna mantenere una forte azione comune a livello europeo, anche perché lo scenario è quello di un ulteriore aumento delle partenze: si veda, oltre a Siria ed Eritrea, il nuovo dramma iracheno. Le persone continueranno a partire e se la Ue abbassa la guardia i rischi per chi viaggia saranno sempre maggiori. Di certo Marina e Guardia costiera continueranno a fare il loro egregio lavoro, ma c’è bisogno anche di altro, così come c’è da valorizzare l’importante ruolo che hanno le navi commerciali, in molti casi protagoniste di salvataggi.
Tutti devono avere la possibilità di richiedere asilo politico al momento dell’arrivo a terra, quindi non devono esserci situazioni del genere, e allo stesso modo non devono essere prese decisioni riguardanti i migranti a bordo delle navi di salvataggio. Ogni situazione va analizzata dai governi, eventualmente anche con il supporto dell’organismo comunitario predisposto, ovvero l’Easo, Ente europeo di supporto all’asilo, che ha sede a Malta. Noi comunque monitoriamo anche la situazione degli aeroporti. E richiediamo ai governi soluzioni che evitino i viaggi della disperazione in mare: in particolare, per quanto riguarda i siriani, è necessario fare di più per garantire un arrivo in Europa sicuro e legale.
L’identificazione è un obbligo legislativo, come spiega il regolamento europeo Dublino 3, ma bisogna trovare con urgenza un modo per arrivare alla migliore soluzione possibile. Il migrante è tenuto, sempre per legge, a collaborare, però la situazione attuale vede la gran parte di loro opporsi perché, una volta lasciate le impronte, devono per forza fare richiesta d’asilo in Italia e non altrove, dove magari hanno parenti o conoscenti che potrebbero accoglierli. È chiaro che il sistema d’accoglienza ha dei punti che devono essere modificati il prima possibile, per il bene di tutti. Nel frattempo noi teniamo monitorato quanto accade, luogo per luogo.
Chi viene forzato a lasciare le impronte parte comunque per il Nord Europa, salvo poi essere rimandato in Italia al primo controllo, come avviene sempre più spesso al confine con l’Austria. Secondo il suo punto di vista, come andrebbe cambiato il regolamento per richiedere protezione? Il sottosegretario agli Interni Domenico Manzione, nell’intervista a Vita, propone una commissione plurinazionale per valutare ciascuna domanda di asilo.
Le ipotesi al vaglio sono diverse, certo sarebbe interessante un esame congiunto delle richieste. Si tratterebbe di un’azione organica che aiuterebbe gli stessi paesi europei nella gestione dei flussi, proporzionata alle capacità di accoglienza e alle situazioni di ciascun paese. Nel frattempo a Ginevra a dicembre chiederemo alla comunità internazionale di aumentare le quote per i reinsediamenti e gli accessi umanitari per i rifugiati siriani.
Di recente la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha stabilito che una famiglia di afgani non dovesse essere espulsa dalla Svizzera verso l’Italia, primo luogo di approdo nel 2011, perché il sistema italiano di accoglienza ai rifugiati oggi non presenza adeguate garanzie per una vita dignitosa. Che ne pensa?
È una sentenza interessante, perché di fronte al rischio di grave povertà la Corte ha preferito rifiutare temporaneamente la richiesta svizzera. Le difficoltà nel livello della seconda accoglienza in Italia le conosciamo, e nonostante i tentativi fatti c’è ancora molto da migliorare, investendo in particolare nelle politiche di integrazione. Siamo sempre pronti a collaborare in tal senso, con il governo.
Sul tema delle persone apolidi, ovvero senza una cittadinanza, avete appena lanciato una campagna mondiale I belong. Con quale obiettivo?
Dare in 10 anni un’identità nazionale ai 10 milioni che ancora oggi sono apolidi. In questo senso molti Stati hanno promosso azioni meritevoli e i numeri sono in discesa, per questo lanciamo ora la campagna, con l’obiettivo di azzerare questa condizione assurda, che di fatto rende invisibili intere famiglie, in molti casi reduci dallo sfaldamento dell’ex Urss o dell’ex Jugoslavia, non facendole accedere ad alcun servizio sociale.
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