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Il proibizionismo delle parole: ecco l’accordo di don Zappolini

Che cosa prevede il Protocollo siglato da Mettiamoci in Gioco e Confindustria Gioco? Il punto più importante e sconcertante è nella premessa, dove Mettiamoci in gioco accetta di farsi dettare le parole da Confindustria e declinare l'espressione "azzardo" solo agli illeciti. Una resa antropologica e linguistica su tutti i fronti.

di Marco Dotti

Commentando la firma al “protocollo d'intesa” messa nero su bianco da don Armando Zappolini, portavoce della Campagna Mettiamoci in Gioco, il presidente di Confindustria Sistema Gioco, Massimo Passamonti, ha dichiarato:

«Il protocollo, nel veder riconosciuti i reciproci ruoli, parte da una considerazione comune, tutto quello che può essere fatto in termini di sicurezza e tutela dei giocatori deve essere fatto. Sin dalla nascita di Sistema Gioco Italia noi ci siamo impegnati perché questo avvenisse con il dialogo e la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti. Siamo contenti che questo impegno venga oggi riconosciuto da chi, solo sulla carta avrebbe dovuto essere lontano da noi, mentre ci vede impegnati fianco a fianco, con le stesse energie e priorità nel contrasto del gioco illegale e nella lotta al gioco d’azzardo patologico»,

Don Armando  Zappolini, da parte sua, come un novello Vjačeslav Michajlovič Molotov o un novello Ribbentrop (fate voi) ha parlato di una storica intesa. Le parole sono importanti, lo diceva anche Nanni Moretti. 



Se le parole sono pietre e come pietre non cadono  a caso, credo sia interessante osservare l'espressione – del tutto legittima da parte sua – di Passamonti: «chi, solo sulla carta, avrebbe dovuto essere lontano da noi».

Ora sappiamo che, non solo sulla carta, ma anche nella pratica – è scritto nero su bianco sul protocollo che abbiamo chiesto all'Ufficio Stampa di Confindustria Gioco per poter verificare i nostri dubbi – questi due mondi non saranno più lontani.  

Interessante, nel protocollo, notare due cose: la prima è legata ancora alle parole. In sostanza, i firmatari di Mettiamoci in Gioco si fanno dettare da Confindustria le modalità di impiego del termine azzardo. Fino a prova contraria, come elencato alla nota 1 nel protocollo, risultano esserci tra i soggetti impegnati da don Zappolini le seguenti realtà (anche se a Vita.it arrivano le prime smentite e i silenzi imbarazzatissimi):

Acli, Ada, Adoc, Adusbef, Alea, Anci, Anteas, Arci, Associazione Orthos, Auser, Aupi, Avviso Pubblico, Azione Cattolica Italiana, Cgil, Cisl, Cnca, Conagga, Ctg, Federconsumatori, FeDerSerD, Fict, Fitel, Fondazione Pime, Fp Cgil, Gruppo Abele, InterCear, Ital Uil, Lega Consumatori, Libera, Scuola delle Buone Pratiche/Legautonomie-Terre di mezzo, Shaker-pensieri senza dimora, Uil, Uil Pensionati, Uisp.

Alea (vedi qui) ha già detto di non saperne nulla e si è dissociata per voce di Daniela Capitanucci.

Quindi, da quanto leggiamo nero su bianco dal documento firmato dal portavoce della Campagna Mettiamoci in Gioco, si tenterà di confinare l'espressione "gioco d'azzardo" solo nell'ambito dell'illegalità e dell'illecito penale. Questo spiega, a mio avviso, anche l'enfasi posta sulll'antinomia "legalità/illegalità"

Sappiamo dalle ricerche del neurolinguista George Lakoff, dell’Università di Berkeley, che le metafore svolgono un ruolo fondamentale nella comunicazione umana. Se dico “gioco” il mio cervello visualizza una sensazione positiva, ancora prima ancora che io possa elaborare tutto in termini riflessivi e dunque critici. Se, al contrario, dico “azzardo”, subito si percepisce una realtà quanto meno in chiaroscuro. Se dico "mercato legale dell'alea" cosa percepirò? 

Questo procedimento di slittamento semantico è stato perseguito dall'industria statunitense dell'azzardo a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando riuscì a imporre a suon di protocolli d'intesa il passaggio dall'uso di gambling a gaming.

Lo stesso avviene da noi dove termini quali “legalità”, “lecito” e, appunto, “gioco” ci parlano di una realtà neutra o a polarità che riteniamo positiva, anche quando non lo è. Parliamo di gioco ma al tempo stesso ci troviamo costretti a dire che “non è un gioco”. Parliamo di azzardo, ma al tempo stesso specifichiamo che non lo è. Allora, di che cosa parliamo? Questa cortocircuito  è alla base di un procedimento ben conosciuto da tutti coloro, specialmente consulenti aziendali e politici, che intendono orientare la disposizione emotiva del pubblico in una direzione, piuttosto che in un’altra. Nulla è lasciato al caso, quando si tratta di affari e gioco d’azzardo, nemmeno l’uso delle metafore o delle parole. Questo, forse, don Armando Zappolini non lo sa. Certo è che il suo è il primo tentativo – su scala globale non ne registro altri – di introdurre una forma davvero biasimevole di proibizionismo linguistico

Un secondo punto interessante è la clausola di riservatezza posta al termine dell'accordo. Legittima per carità, ma in base a questa formula di riservatezza, nessuno saprà – nemmeno gli enti pubblici dove Mettiamoci in Gioco fa accreditare i suoi eventi – quando e di che cosa discuteranno con la "controparte", anzi con il nuovo alleato.

Testualmente nel protocollo si legge: «Confindustria Sistema Gioco Italia (SGI) e “Mettiamoci in Gioco” si impegnano reciprocamente a non diffondere informazioni relative ai lavori del gruppo, se non attraverso strumenti di comunicazione preventivamente definiti e con contenuti condivisi».

Preambolo e conclusione definiscono la gabbia. Poi, dentro, metteteci quello che vi pare: l'illegalità. la mafia, le scimmiette o le noccioline. Metteteci quello che volete, ciò che conta è la gabbia.

 

@oilforbook

 

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