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Manzione: Mare nostrum deve continuare
Prima parte dell'intervista al sottosegretario agli Interni sul tema dell'accoglienza dei migranti e delle possibili soluzioni alle morti in mare. Tanti i temi affrontati: «L'operazione di polizia europea Mos Maiorum non sarà una caccia all'uomo», mentre sull'emergenza impronte obbligatorie «bisogna creare subito commissioni miste tra Stati che scelgano il luogo più adatto per l'asilo caso per caso»
Il futuro di Mare nostrum. Le impronte digitali forzate a chi sbarca in Italia. La temuta operazione di Polizia europea Mos maiorum. La lentezza della Ue nel rispondere alle richieste del nostro governo a riformulare le leggi comunitarie sull’asilo politico. Il dramma dei morti e dispersi in mare e l’efferatezza dei trafficanti. La difficile situazione del modello d’accoglienza italiano, alle prese con la crisi economica, con chi vuole farne un business e con le resistenze di parte dell’opinione pubblica. La proposta di aprire la stessa accoglienza alle famiglie disponibili, la situazione dei minori non accompagnati. Questi i temi che Vita.it ha toccato in una intervista esclusiva con Domenico Manzione, sottosegretario agli Interni del governo Renzi, ovvero la persona che in questo momento è più titolata ad offrire una visione d’insieme su tutte le questioni aperte legati ai migranti. “Ogni aspetto è importante e va trattato come tale. Non esistono singole priorità ma l’individuazione di un meccanismo che rilevi difetti e virtù per funzionare sempre meglio”, anticipa Manzione prima di entrare nel dettaglio. Di seguito la prima parte dell’intervista, dedicata soprattutto alle questioni legate ai viaggi della disperazione nel Mar Mediterraneo e alla politica europea. Una successiva seconda parte sarà invece più incentrata sul modello di accoglienza.
Partiamo dall’operazione Mare nostrum: che fine farà? Sarà sostituita, oppure continuerà sotto altre forme? Negli ultimi tempi si susseguono dichiarazioni e cambiamenti che non chiariscono la situazione…
La responsabilità di Mare nostrum rimane interamente del Governo italiano. Allo stato attuale delle cose, continua fino a nuovo avviso, anche perché è un’operazione umanitaria necessaria, che non può diventare alcun surrogato di altre operazioni come Frontex, Frontex plus o Triton, per intenderci. Queste ultime sono azioni in atto o pronte a entrare in vigore che rispettano i confini di Schengen, ovvero si spingono fino a non più di 12 miglia marine, mentre Mare nostrum arriva molto più in là in acque internazionali, cosa che le ha permesso di salvare migliaia di vite umane. La soluzione sta nel fatto che l’Europa si attivi a lanciare un’operazione che abbia un mandato più simile a Mare nostrum, è questo il punto attorno al quale verrà stabilito il futuro del programma italiano, che per ora non si tocca.
Chi critica Mare nostrum parla di aumento degli arrivi a causa della presenza delle navi militari italiane pronte a salvare i profughi, è un ragionamento realistico?
Non escludo che in parte abbia inciso: quando vedo arrivare carrette del mare guidate da ragazzini mi viene da pensare che i trafficanti di uomini li hanno fatti partire allo sbaraglio in questo senso. Ma è una percentuale davvero minima. Il vero motivo del boom degli arrivi lo dicono i numeri globali: sono le bombe, le guerre e le persecuzioni. Basti pensare che delle 144.880 persone arrivate a oggi, ben 67 mila arrivano da Siria ed Eritrea, due luoghi estremamente pericolosi, per il lungo conflitto armato da una parte e le costrizioni del regime eritreo dall’altra. Comunque il vero problema in questo senso, nonostante il gran lavoro di Mare nostrum, riguarda l’alto numero di decessi, dispersi compresi: almeno 2600. Questo fa capire come la battaglia in mare sia già compromessa, in fondo.
In che senso?
Che bisogna trovare al più presto la soluzione a terra, nei paesi di transito, prima che le persone arrivino alle coste e quindi in balia di trafficanti e scafisti.
Vi siete attivati in tale direzione?
Sì. Come governo italiano abbiamo aperto un canale con l’Egitto, per ora non ci sono risultati concreti ma la strada da perseguire e questa e non torneremo indietro, perché trovare una soluzione direttamente in un paese di transito farebbe implodere il sistema ramificato dei trafficanti che, soprattutto in Libia, riguarda persone provenienti da tanti altri stati oltre a Siria ed Eritrea, come Afghanistan, Mali, Nigeria, Gambia, Somalia, Bangladesh.
Ma non è l’Unione europea che dovrebbe farsi carico di questo, più che il governo?
Sì, ma non solo. Noi ne siamo parte e stiamo facendo di tutto per avere l’appoggio della Ue, soprattutto con il nuovo commissario greco referente sul tema. Ritengo però che la gestione complessiva vada affidata a un sistema interforze di più organismi internazionali, che da una parte spingono per far cessare i conflitti, dall’altra per far valere i diritti dei profughi in fuga. Devo dire che si sta muovendo qualcosa, avendo capito che ci sono buone disponibilità sul tema, ma per ora nessuno di azzarda a portarlo al centro dell’attenzione, mi auguro che ciò avvenga presto.
Negli ultimi tempi al centro dell’attenzione di persone ed enti coinvolti nell’accoglienza c’è una doppia preoccupazione: da una parte il rinnovo dell’obbligo del fingerprinting, dall’altra l’operazione poliziesca europea Mos Maiorum, che dal 13 al 26 ottobre a prima vista viene vista come una retata delle persone irregolari. Come stanno le cose?
Parto da Mos Maiorum: ammetto che quando mi è giunta la voce mi sono preoccupato anch’io, così ho cercato subito spiegazioni, trovandole. Si tratta di un’operazione decisa a luglio tra forze europee il cui obiettivo è di intelligence, ovvero raccogliere dati utili per capire come avviene il flusso delle persone. Non ci sarà nessuna espulsione, gli unici a essere arrestati saranno coloro che verranno trovati colpevoli di essere trafficanti. È importante diffondere questa informazione perché è utile a sdrammatizzare il tutto.
E la questione impronte digitali?
È una situazione complessa. Innanzitutto tengo a sottolineare che finora non è stata messa in atto un’azione ‘all’italiana’ nel non prendere le impronte: la ragione è da una parte l’elevato numero degli arrivi e l’impossibilità di garantire il fingerprinting, anche per un problema di ordine pubblico, per evitare rivolte di centinaia di migranti nello stesso momento, sulle navi o nei porti di approdo. Dall’altra il fatto che le pratiche per la concessione dell’asilo erano troppo lente e causavano disagi alle famiglie. Ora è cambiato lo scenario: da venerdì scorso con l’approvazione del Decreto legge 119, le commissioni territoriali che giudicano la domanda di asilo sono salite a 40, mentre prima erano 10, con un conseguente accorciamento dei tempi.
Ma, a causa del regolamento Dublino III, rimane poi l’impossibilità per queste persone di trovare rifugio altrove, dove per esempio ci sono parenti, come succede in molti casi. E vengono segnalati negli ultimi giorni prelievi forzosi di impronte (vedi l'articolo sul blog La città nuova di Corriere.it su quanto accaduto il 7 ottobre a Milano, secondo testimonianze oltre il limite del rispetto dei diritti umani. Come superare il problema?
Mi rendo conto che la situazione è delicata. Con l’ottenimento dello status, una volta ottenuto l’asilo in Italia una persona potrebbe sì recarsi altrove, ma con un visto di tre mesi. La soluzione è politica e ci sarebbe già, va implementata: ci vuole una commissione mista, dobbiamo convincere gli Stati europei a esaminare insieme le pratiche dei rifugiati, così da stabilire dove è meglio che venga concesso loro l’asilo. Questa soluzione darebbe un doppio risultato, perché riuscirebbe a superare Dublino III senza doverlo toccare. E se praticata in un paese di transito, sarebbe la perfezione. Questa è l’unica strada, spero proprio la si percorra presto. In tal senso, sono al corrente che il Comitato economico e sociale della Ue ha già dato un parere positivo sul tema specifico, ed è pronta una proposta da parte di un gruppo di europarlamentari italiani che vuole spingere per una risoluzione del Parlamento europeo. I tempi dovrebbe essere brevi: è un sasso nello stagno, importante perché utile a smuovere le cose.
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