Mondo
Le donne sono le nostre inviate in prima linea nelle aree rurali
Nell’ambito del progetto WE – Women for Expo, Afronline ha intervistato Kudzai Makombe, coordinatrice di area di IPS (Inter Press Service) per l’Africa, la quale afferma che le donne in ogni angolo del continente rappresentano “stelle nascenti” tanto in campo agricolo quanto nel settore mediatico
«Le donne hanno uno spirito profondamente creativo e sempre pronto al cambiamento. Mai, e dico mai, sottovalutarci». A dirlo è Kudzai Makombe, coordinatrice di area di IPS (Inter Press Service) per l’Africa, che è convinta di come le donne, in ogni angolo del continente rappresentano “stelle nascenti” tanto in campo agricolo quanto nel settore mediatico. Per questo, nell’ambito del progetto WE – Women for Expo. Afronline l'ha intervistata.
La sicurezza alimentare e la verifica della genuinità e sanità degli alimenti sono tematiche ricorrenti all’interno della copertura stampa che IPS svolge sul suolo africano. Quanto sforzo richiede un’appropriata ricerca su questi argomenti? Come scegliete di riportarli? E qual è la vostra principale linea editoriale?
Dedichiamo un’attenzione maniacale alla ricerca delle nostre storie e alla verifica della loro veridicità e accuratezza. IPS è un’agenzia stampa internazionale specializzata nei processi legati allo sviluppo economico, sociale e politico; alla base della nostra missione, c’è la volontà di costruire le nostre indagini dall’inizio alla fine, per poi riferirle dalla prospettiva di coloro che ne sono direttamente interessati. Ciò implica che i nostri giornalisti devono essere fisicamente presenti sul campo per interrogare i membri della comunità su una problematica specifica, che sarà approfondita in un secondo momento attingendo alle opinioni degli esperti in materia e ai responsi ufficiali. Collaboriamo con oltre sessanta giornalisti locali distribuiti nella maggioranza dei Paesi dell’Africa subsahariana, e tutti loro vantano una profonda conoscenza e consapevolezza dello scenario sociale, politico ed economico all’interno del quale operano, nonché una posizione privilegiata per raccontare le storie della gente.
Quanto spazio viene dedicato da IPS Africa alle problematiche femminili e alla questione della disparità di genere?
Larga parte della nostra copertura stampa è focalizzata sui temi dello sviluppo, oltre che mirata a dare maggiore visibilità ai più emarginati, nelle cui fila figurano senz’altro le donne. Va da sé che le nostre storie sono spesso specchio di una prospettiva prettamente femminile. Difatti, posso affermare che le donne compongono la maggioranza dei portavoce della comunità cui ci rivolgiamo, diversamente dai pareri ufficiali e professionali, che provengono invece da entrambi i sessi. Inoltre, tendiamo a monitorare le nostre indagini allo scopo di studiarne le dinamiche di genere, a partire dal sesso di appartenenza del nostro reporter, così da capire dove apportare gli adeguati cambiamenti. Per esempio, dal momento che la stragrande maggioranza dei nostri giornalisti sono uomini a causa di una serie di variabili strettamente legate al genere, quali la capacità di spostamento e la disponibilità di risorse, noi ci adoperiamo affinché i nostri corsi di formazione abbiano un target più equilibrato, incoraggiando le giornaliste donne a scrivere per IPS Africa.
Quali network o associazioni africane vi hanno maggiormente colpito per il loro impegno nel promuovere il ruolo delle donne nel settore agricolo?
Ammiro in modo particolare La Via Campesina, essendo un’organizzazione guidata direttamente dai gruppi sociali protagonisti delle problematiche di cui trattiamo: loro si definiscono un movimento internazionale di contadini. Le donne rappresentano le maggiori vittime di deprivazione dei diritti sulla terra, siano questi compromessi da atti di appropriazione indebita dei terreni, oppure dalla mancanza di diritti sull’eredità o delle risorse di base necessarie alla coltivazione. Il fatto che La Via Campesina dia voce alle donne e ai loro interessi, invocando un cambiamento nel loro stato attuale, è degno di ogni considerazione.
Lungo la tua carriera, sembri esserti avvicinata alle tematiche di genere da diverse prospettive. Dal tuo punto di vista, come ritieni che essere una donna condizioni lo svolgersi della vita quotidiana nelle aree rurali dell’Africa Meridionale? Hai avuto modo di assistere a un’evoluzione dello status e del ruolo sociale femminili in questo contesto? Se sì, in che modo?
In buona parte delle aree rurali dell’Africa Meridionale, la struttura famigliare tradizionale ha subito cambiamenti incisivi, perlopiù a causa dei flussi migratori dei braccianti verso le principali città e miniere. Ciò spiega perché circa il 60 per cento della popolazione rurale sia composto da donne – fenomeno andato esasperandosi negli ultimi anni a causa del parallelo abbandono delle stesse regioni da parte dei più giovani. E così restano solo le donne a dover sopportare il fardello maggiore del lavoro nei campi, senza dimenticare quello fra le pareti domestiche, dove sono tenute a prendersi cura dei bambini e degli anziani. Eppure, tutto ciò non ha necessariamente un risvolto negativo. In alcuni casi, la carenza di uomini ha procurato alle donne un maggiore controllo sulle colture e sui profitti, rendendole le stelle nascenti del settore. Mia cugina è una lavoratrice instancabile, trae ottimi guadagni dalle sue coltivazioni di arachidi e riesce a provvedere senza difficoltà a se stessa e ai suoi quattro figli, uno dei quali frequenta l’università. Le donne hanno uno spirito profondamente creativo e sempre pronto al cambiamento. Mai, e dico mai, sottovalutarci.
C’è un particolare articolo di cronaca o caso di studio realizzato da IPS che possa simboleggiare le sfide e gli interrogativi delle donne africane operanti nel campo dell’agricoltura, del cibo e della nutrizione?
Diversi anni fa, mentre collaboravo al progetto MDG3 a cura di IPS nei panni di editor responsabile per il continente africano, uno dei nostri giornalisti propose un articolo su come i migranti originari dello Zimbabwe rimpiangessero talmente tanto la loro cucina tradizionale da chiedere ad amici e parenti in visita di portare con sé i mufushwa, ovvero tipiche verdure essiccate. L’indagine rivelava in che modo le donne dello Zimbabwe traessero il loro sostentamento minimo dalla lavorazione e dall’esportazione dei mufushwa, talvolta ricavandone persino un business florido.
Attingendo alla tua esperienza personale, vorresti condividere un tuo intenso ricordo dell’Africa rurale?
Tempo fa, ho assistito una ONG che mi ha permesso di viaggiare in lungo e in largo per lo Zimbabwe, lavorando al fianco delle comunità rurali. La gente era sempre così accogliente, generosa, incline alla partecipazione e allo scambio di idee. Non riesco a ricordare un solo momento in cui non ci sentimmo a casa.
Esiste un piatto con un valore particolare per te e, in tal caso, perché? Vorresti condividerne la ricetta?
Certo, noi lo chiamiamo il “pollo del villaggio”. I polli degli allevamenti industriali non hanno niente a che vedere con quelli che le abili mani di mia nonna acciuffavano in cortile in occasione delle visite della mia famiglia. Poi tutto si svolgeva in un battibaleno, con i miei cugini all’opera per preparare e cucinare un pasto succulento per noi, gli ospiti speciali che arrivavano dritti dalla città. Ben presto, ecco diffondersi il profumo delizioso dello spezzatino di pollo, accompagnato da pomodori e cipolla e servito con il sadza, un denso porridge dalla ricetta povera a base di farina di granoturco e verdure in foglia appena raccolte in giardino. Credetemi, non esiste ricetta a base di pollo più gustosa!
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