Welfare

Fondazione con il Sud, a Milano per parlare di legalità, ambiente, istruzione e sviluppo

La manifestazione «Con il Sud Sostenibile: la nuova linea del cambiamento», per l'ottavo compleanno della Fondazione, è andata in scena al Castello Sforzesco. Una due giornate ricca di riflessioni e dibattiti con al centro le testimonianze di vita vissuta di chi lotta ogni giorno e realizza progetti per costruire un futuro migliore

di Redazione

Nella splendida ambientazione del Castello Sforzesco a Milano, si è ampiamente parlato di legalità, ambiente, istruzione e sviluppo durante la manifestazione «Con il Sud Sostenibile: la nuova linea del cambiamento», l’evento che ha celebrato gli otto anni di Fondazione Con il Sud, grazie alla stretta collaborazione con Fondazione Cariplo e col patrocinio del Comune di Milano: due giornate ricche di riflessioni e confronto, al centro del dibattito le testimonianze di vita vissuta di chi lotta ogni giorno e tanti interventi di esperti di spicco.

Fondazione Con il Sud si presenta, tramite le parole del suo presidente Carlo Borgomeo: «Fondazione CON IL SUD rappresenta dal 2006 un progetto unitario che mette insieme le fondazioni con il mondo del terzo settore e propone una visione alternativa e un approccio concreto allo sviluppo del Sud, muovendosi attorno a temi che riguardano il futuro di tutto il Paese. Per questo, dal 2011 realizziamo una manifestazione annuale, alternativamente nel Nord e nel Sud Italia, aperta a istituzioni, fondazioni, terzo settore, scuola, cultura, media e mondo economico, ma soprattutto ai cittadini. »

Sviluppo è Legalità
Uno dei temi fondamentali su cui punta Fondazione Con il Sud è l’utilizzo sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali come opportunità di sviluppo del territorio e strumento di integrazione degli immigrati, attraverso la restituzione alla collettività di beni comuni che le erano stati tolti in maniera illecita.

Sulla base dei dati riportati dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), in Italia sono presenti quasi 13 mila beni confiscati. Oltre l’80% si trova nelle sei regioni di intervento della Fondazione, e principalmente in Sicilia (con circa il 43% dei beni confiscati), Campania (circa il 15%), Calabria (circa il 14%) e Puglia (circa il 9%)[1]. Di questi beni confiscati, meno della metà (circa sei mila) risultano effettivamente consegnati e trasferiti al patrimonio indisponibile degli enti territoriali, per lo più Comuni, per essere destinati a finalità sociali. Si tratta di una percentuale che a malapena supera quota 33%, mentre oltre il 55% resta completamente inutilizzato[2]. La durata e la complessità del procedimento di destinazione ed assegnazione dei beni confiscati rende spesso quest’ultimo difficoltoso e fa sì che i beni, anche se in buone condizioni al momento del sequestro, arrivino all’assegnazione in stato di abbandono. Un ostacolo a un impiego più diffuso dei beni confiscati alle mafie in termini di pubblica utilità è rappresentato infatti dallo stato di degrado  in cui versano i beni stessi e dalle difficoltà economico-finanziarie che le realtà affidatarie incontrano nell’avviare le loro attività. Ciò determina una situazione di stallo in cui, da un lato, l’ente locale non può recuperare il bene e, dall’altro, la platea di potenziali destinatari non può materialmente utilizzarlo perché non è in grado di far fronte a un investimento così ingente.

La destinazione dei beni confiscati a usi sociali e di pubblica utilità può e deve riuscire a produrre effetti importanti sui territori del Mezzogiorno: in quest’ottica, Raffaele Cantone, Presidente Autorità Nazionale Anticorruzione, ha quindi posto l’accento sul riutilizzo dei beni confiscati alla mafia come una scommessa rivolta al futuro per lo sviluppo di una economia legale che riutilizza i beni confiscati in un’ottica imprenditoriale e genera così crescita economica e lavoro. «La logica che guida il recupero di immobili e aziende confiscate alla malavita organizzata deve essere legalità uguale a sviluppo. È necessario dimostrare che dove le mafie portavano lavoro riesce a farlo anche lo Stato».

Si è parlato di creazione di lavoro e occupazione, di riaffermazione del valore etico e civico derivante dalla riappropriazione da parte delle comunità di pezzi del territorio sottratti con la violenza. I beni confiscati possono, inoltre, contribuire all’integrazione della popolazione immigrata, che spesso, in aree a forte infiltrazione mafiosa, è vittima del caporalato delle mafie locali.

Per queste ragioni, la Fondazione attraverso le due edizioni del “Bando Beni Confiscati” – 2010 e 2013 – ha finanziato complessivamente 22 progetti con circa 7 milioni di euro, coinvolgendo nelle partnership oltre 150 organizzazioni tra associazioni, cooperative sociali, enti pubblici e privati, imprese sociali, istituti scolastici. Su beni e terreni confiscati a nomi della criminalità organizzata come Provenzano, Lo Iacono, Schiavone sorgono centri di accoglienza per donne vittime di violenza, iniziative di economia civile (ostelli, ristoranti sociali, iniziative e servizi per immigrati e disabili, attività artistiche e di commercio sostenibile), imprese sociali per la produzione di latte biologico, di olio d’oliva, nuove mense, pizzerie e cafè solidali, botteghe artigianali e servizi turistici, con il coinvolgimento di minori, giovani, donne, immigrati e l’occupazione di persone svantaggiate.
Perciò, l’impegno della Fondazione per la legalità non si limita alla valorizzazione e al riutilizzo in chiave sociale di beni confiscati alla criminalità organizzata, ma prevede interventi trasversali che si concretizzano in centinaia di iniziative rivolte a giovani e minori – per il contrasto alla dispersione e all’abbandono scolastici e per la promozione della cultura della legalità – iniziative di sviluppo locale in aree particolarmente disagiate e con una forte presenza criminale, interventi rivolti ai detenuti, offrendo occasioni di riscatto per realizzare percorsi di vita improntati alla legalità.

Sviluppo è Istruzione
«Ignorare i diritti dei più piccoli significa costruire un futuro illusorio. Significa pensare che si può fare sviluppo indebolendo il capitale sociale. I dati allarmanti su dispersione e abbandono scolastico nelle regioni meridionali, la quasi totale assenza di servizi alla prima infanzia in alcune zone del Mezzogiorno sono la più inaccettabile espressione del vero divario Nord-Sud. Una distanza che siamo abituati a pensare in termini prettamente economici, dimenticando che il vero divario da colmare è di natura “sociale”, anche in termini di servizi e opportunità, a partire dai più piccoli. Costruire solide basi per il futuro e per uno sviluppo reale del Mezzogiorno non può che partire da qui, da risposte concrete e reali che oggi ci vengono chieste e che, da Paese civile, siamo chiamati a dare». Così Borgomeo, descrive il difficile contesto meridionale per ciò che riguarda il tema dei diritti dell’infanzia. La Fondazione ha sostenuto, con 23 milioni di euro, 90 interventi per il contrasto all’abbandono e alla dispersione scolastica, fenomeni particolarmente diffusi soprattutto nelle aree dove il disagio sociale è più marcato, aprendo spazi all’illegalità minorile.

La dispersione, con riferimento a ragazzi che hanno abbandonato la scuola o rischiano di abbandonarla, si presenta soprattutto nelle fasi di passaggio da un grado all’altro del percorso educativo e riunisce in sé un insieme di fenomeni – irregolarità nelle frequenze, ritardi, non ammissione all’anno successivo, interruzioni – che possono sfociare nell’uscita anticipata dei ragazzi dal sistema scolastico.

In Italia sono circa 114 mila i ragazzi e le ragazze fra i 14 e i 17 anni che, spesso dopo ripetute bocciature, una frequenza discontinua, cambi di classe o scuola, lasciano gli studi (dati Istat, 2012). E’ un fenomeno diffuso nel Paese, ma in alcune aree meridionali si registrano percentuali elevatissime. In Sicilia e in Sardegna, ad esempio, la media regionale di abbandoni scolastici supera rispettivamente il 25% e il 28%, mentre in Veneto e Lombardia, per fare un paragone, la percentuale è del 14 e 15% (dati Miur, 2013)

In diversi casi il richiamo della “strada”, spesso vissuta dai ragazzi in difficoltà come la sola alternativa possibile e praticabile, rappresenta un rischio reale, che si accompagna a quello strettamente correlato dell’avvio ad attività devianti e criminali. La dispersione scolastica costituisce dunque un indubbio freno allo sviluppo territoriale, limitandone le possibilità di crescita economica e sociale. Per questo la Fondazione interviene per arginare i rischi di insuccesso o fuoriuscita dal sistema scolastico e per fornire ai ragazzi, attraverso azioni che coinvolgano attivamente tutti gli attori impegnati nel processo formativo (famiglie, scuole, associazioni, ecc.), le competenze necessarie per inserirsi con maggiori possibilità nel tessuto sociale ed in quello lavorativo.

Così Marco Rossi-Doria, Maestro di Strada e Sottosegretario all’Istruzione 2011/2014: «È necessario riprendere le politiche di investimento nel Sud con rigorosi controlli della spesa pubblica e sostenere programmi fortemente innovativi di integrazione sinergica tra casa e lavoro, in modo da favorire così l’idea di uguaglianza sociale».

La Fondazione è intervenuta anche sul tema dei servizi all’infanzia sostenendo l’avvio e il potenziamento di 38 asili nido e spazi gioco nelle regioni meridionali, con l’obiettivo di incrementarne l’offerta e con particolare riferimento a zone disagiate e utenza in condizioni di bisogno.
Recentemente l’Istat ha fotografato il divario esistente tra il Nord e il Sud del Paese sulla disponibilità di servizi alla prima infanzia e, in particolare, di asili nido. Secondo l’istituto nazionale di statistica nel corso dell’anno scolastico 2012/2013 i bambini tra i 0 e 2 anni che hanno frequentato asili comunali o finanziati dai Comuni sono soltanto il 3,6% nelle regioni meridionali. Un dato che cozza inesorabilmente con il 17,5% del Centro Italia. Ma non basta. Le disparità territoriali riguardano anche la percentuale dei Comuni che garantisce questo servizio: solo il 22,5% al Sud, il 76,3% al Nord-Est.


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