Mondo

La Siria salvata dai guardiani dei monumenti

Archeologi, impiegati, sacerdoti, gente comune restano a difendere il patrimonio culturale del Paese e a costruire luoghi di accoglienza e riconciliazione, nonostante guerra e persecuzioni. Le loro storie al Meeting di Rimini

di Gabriella Meroni

Sono persone semplici, impiegati di uno stato che non c'è più, uomini e donne innamorati della bellezza che nonostante bombe, persecuzioni e pericoli di ogni tipo restano al loro posto, in Siria, per difendere alcuni dei siti archeologici e artistici più importanti del mondo. Sono i “custodi della pace” di cui si è parlato al Meeting di Rimini, dove si è svolto l'incontro dedicato a “L'Archeologia in Siria oggi: un progetto per la pace”.
I siti da tutelare (sei sono nell’elenco dell’Unesco) sono saccheggiati da bande di scavatori clandestini che vanno con le ruspe, protetti da gente armata e che razziano tutto. Quando non ci sono loro, è la volta degli eserciti contrapposti, che si trincerano in siti dal valore inestimabile, che poi vengono bombardati dagli avversari. Eppure, come hanno raccontato i sovrintendenti delle regioni di Aleppo, Ebla e Urkesh, seduti in prima fila, c'è gente che non fugge e resta al suo posto. Guardiani che impiegano undici ore e spendono metà dello stipendio per raggiungere i siti da proteggere e rischiano di essere ammazzati, perché visti come rappresentanti del governo di Assad. 
“Vertici e dipendenti del Direttorato delle antichità di Siria stanno vivendo il loro momento glorioso – ha riconosciuto uno dei relatori, Giorgio Buccellati, Professore emerito di Storia e Archeologia del Vicino Oriente Antico alla Ucla – in linea con la loro tradizione di professionalità, coraggio e amore per la propria storia”.  E Paolo Matthiae, archeologo e Professore Emerito di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico all'Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ha raccontato che “restano i sovrintendenti e i loro collaboratori e la gente comune a difendere i siti”, perché “chi attacca i nostri beni culturali attacca la nostra identità nazionale”.
Non se ne sono andate le maestranze locali di Urkesh che hanno imparato il lavoro dai coniugi Buccellati, come il sorridente Hammed, che in un video ha mostrato dei cocci di vasellame appena recuperati. Oppure Amena, alle prese con vestiti e bambole di stoffa che, via Damasco-Beirut, sono arrivati al Meeting. Il direttore generale delle Antichità di Siria, Maamoun Abdulkarim, è rimasto a Damasco e ha mandato un video nel quale chiede che la vicenda dei siti archeologici siriani divenga un problema internazionale, perché cessino le distruzioni e tutti i Paesi impediscano il contrabbando dei reperti razziati. Un appello che Matthiae ha già raccolto. A Roma, infatti, fino al 31 agosto, a Palazzo Venezia, è aperta una mostra promossa dall’archeologo e da Francesco Rutelli, intitolata “Siria, splendore e dramma”.
Non se n’è andato il nunzio, anche lui bloccato a Damasco, che ha affidato al portavoce della manifestazione riminese, Stefano Pichi, parole di speranza nonostante il “cuore spezzato” dai morti, dalla distruzione dei monumenti, dalla fine di una pace che per anni aveva fatto della Siria e del Libano vere e proprie isole di convivenza in tutto il Medio Oriente. “Bisogna aiutare i cristiani a restare”, ha concluso monsignor Zenari.
 
 
 
 
 
 
 


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