Non profit

Icebucketchallenge e i gavettoni senza futuro

I pro e i contro della famosa campagna che sta spopolando on line secondo il punto di vista dell'esperto di fundraising Massimo Coen Cagli

di Martino Pillitteri

Dal punto di vista del risultato non c’è alcun dubbio: la campagna l’icebucketchallenge è stata un successo. Tra i vari trionfi della campagna, Aisla Onlus informa di aver superato (lunedì 25 agosto) 290.000 euro di fondi raccolti per la ricerca e l'assistenza ai malati. 

Tuttavia non è tutto rose e fiori. «Pur avendo molto rispetto per la campagna» sostiene il direttore scientifico della Scuola di Roma Fund-Raising.it  Massimo Coen Cagli, «questo fenomeno, dal punto di vista di un professionista del fundraising, ci deve far rimanere sul pezzo di più, ci deve far rimboccare le maniche, far fare i conti con la realtà, ma anche mettere in evidenza un paradosso: il contenitore è diventato più importante del contenuto. In campagne come questa, il potenziale donatore tende a essere allontanato dalla causa. La gente è più interessata a Renzi, Fiorello e company che si fanno la secchiata, ma rimane distaccata nei confronti della causa che la campagna promuove».

Secondo Coen Cagli, questo modo di comunicare allontana gli interlocutori dalla responsabilità sociale, non li fa andare in profondità. «Icebucketchallange, in fondo, prosegue la stessa logica della trasmissione Mission: c’è bisogno di  Al Bano per  sensibilizzare l’audience nei confronti di una problema. Ma lo fa in modo temporale. La conseguenza è che il messaggio riesce ad intercettare tante persone, ma il tasso di fedeltà alla causa non sale, anzi tende a scendere».
Coen Cagli è convinto che con queste campane affidate alle celebrità  non si costruisce il futuro. «Il fenomeno icebucketchallenge durerà il tempo di una moda».


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