Mondo

Gino Strada: lettera aperta da Kabul

Il medico coraggioso, scrive sulla newsletter di Emergency le sue impressioni sui primi 25 giorni di bombardamenti. Con ironia

di Paolo Manzo

In momenti in cui è sempre più difficile ricevere testimonianze in diretta dalle zone di guerra una testimonianza come quella di Strada non poteva essere passata sotto silenzio. Anche perché serve ad informare, a riflettere e, perché no, a sorridere…

“1 novembre 2001.
Come passa in fretta il tempo… Quelle immagini simbolicamente atroci di grattacieli squarciati da aerei, quelle migliaia di morti quasi non visti – ma immaginabili nella loro angoscia disperata – mi sembrano vicinissime nel tempo, direi questione di alcuni giorni.

Invece, sono già passati cinquanta giorni, cinquanta giorni di guerra. Ogni minuto trasmesso in diretta, fiumi di parole, di voci, di analisi, di invenzioni sulla guerra.

Per una volta, mi verrebbe da dire, viva le televisioni. Capisco che a questo punto la domanda “Ma Gino sta bene o é ammattito?” sia già venuta a qualcuno, ma cercherò ugualmente di spiegarmi.

Premetto che qui, in Afghanistan, io posso ricevere tranquillamente tutti i canali televisione e radio italiani e non, per cui ho il privilegio di sentire e vedere quel che si dice e si fa vedere in Italia sull’Afghanistan… standomene comodamente sdraiato su una stuoia e un cuscinotto nella valle del Panshir.

E vi assicuro che, a volte, é davvero una grande ricompensa: si possono degustare “commenti dal fronte” provenienti da località dove andiamo regolarmente a far la spesa al mercato della verdura, il tutto condito da immagini di bombardieri che sfrecciano tra le nubi cariche di pioggia, mentre qui non si vede una nuvola da venti giorni.

E via di questo passo, per arrivare, ma qui mi fermerei, ai commenti dei “politici” sull’Afghanistan, sul terrorismo, sull’Islam… Non é davvero il caso, l’urgenza della situazione non lo consente, di perdere tempo a puntare il dito contro questo e quello ridendone dell’ignoranza o della grossolanità.

Se fossi in Italia, probabilmente mi incazzerei quanto voi, ma credo che in questo momento conti poco. Quello che conta, invece, é che questa guerra, a differenza della Guerra del Golfo, la possiamo vedere. Magari un po’ distorta –
ciascuno tende a portare acqua al mulino del proprietario del medesimo – ma c’é, la possiamo vedere.

Possiamo perfino seguire la neobattezzata “CNN araba”, Al Jazeera – ma voi ve li immaginereste quelli del Qatar definire la CNN l’ “Al Jazeera americana”? E possiamo anche seguire il piccolo neonato sito di EMERGENCY (www.emergency.it) intitolato “Un altro Afghanistan”.

Per ora é poco più che una finestrella, ma se ci pensiamo e ci lavoriamo in tanti, se in tanti saremo disposti a metterci idee, tempo, professionalità, potrebbe diventare un progetto molto, molto interessante.

Perché la guerra la possiamo far vedere anche noi, stavolta: foto, testimonianze, storie, filmati (per questi mi dicono esserci problemi tecnici ma niente é impossibile per la fantasia di EMERGENCY).

Noi, finora, abbiamo documentato vittime: anche oggi abbiamo aggiornato l’elenco di Kabul, i nostri dati sono parziali, ma forse proprio per la loro parzialità, veri. Assolutamente veri. Questo é un bel vantaggio che abbiamo rispetto alle televisioni da immagini di repertorio non dichiarate, quelle che mostrano i marines con il volto dipinto sfrecciare tra le palme di qualche giungla asiatica.

Possiamo far vedere la guerra, e potremo continuare a farlo anche quando le centinaia di giornalisti saranno migrati verso nuove “notizie”. Così potremo dare sostanza ancora maggiore alle nostre conferenze, alle mille iniziative di informazione e di cultura che “il popolo di EMERGENCY” sta portando avanti.

Perché di guerra da far vedere ce ne é una sola, quella fatta di morti e feriti, di vite e di case che si frantumano, sacrificate alla “guerra globale contro il terrorismo”.

Se riuscissimo a sviluppare la nostra capacità di comunicare e di raggiungere molte persone, non solo in Italia, potremmo davvero fare una informazione “pesante”, di quelle che non possono essere ignorate. Speriamo. Per ora vi abbraccio tutti.
Gino”.

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