Se passasse definitivamente questa legge, la Blivia sarebbe il primo (e unico) paese al mondo ad aver reso legale il lavoro non solo minorile, ma infantile: la scorsa settimana infatti la Camera del paese sudamericano ha dato il via libera a un decreto che fissa l'età minima per lavorare a soli 10 anni. Per rendere la norma vincolante a tutti gli effetti manca ora soltanto la firma del presidente Morales.
I sostenitori di questa legge affermano che i bambini boliviani “hanno bisogno di lavorare” per far uscire il paese dalla crisi economica e per alleviare i carichi di lavoro oppressivi a cui sono costretti i loro genitori e fratelli più grandi, Ma il lavoro minorile – ribattono i tanti detrattori – non rappresenta una soluzione alla povertà, anzi al contrario la aggrava, perché non permette a tanti giovani di studiare e raggiungere quindi posizioni lavorative più specializzate e remunerative, condannandoli a una vita di fatiche e salari da fame.
La normativa contiene alcune “salvaguardie” come per esempio l'obbligo dell'autorizzazione dei genitori per poter assumere il bambino, che deve altresì esprimere il proprio “consenso”. Ma non è chiaro se il consenso di un bambino di 10 anni possa essere considerato veramente libero. Inoltre si specifica che il lavoro non deve impedire al piccolo di andare a scuola, anche se è noto che studiare e lavorare a quell'età – come sottolineato da molte ong – è una sfida ai limiti dell'impossibile.
“Le famiglie povere sono già tentate di far lavorare i loro componenti più giovani per poter mettere qualcosa in tavola”, ha osservato
Human Rights Watch,
“e ora che la legge glielo consente non ci saranno più freni. Ma la Bolivia deve ricordare che in questo modo si colloca fuori dal resto dei paesi del mondo, compresi quelli più poveri, che hanno invece ottenuto notevoli successi nella lotta contro la povertà proprio combattendo il lavoro minorile, potenziando l'istruzione e offrendo alle famiglie finanziamenti di emergenza diretti a mantenere i loro figli a scuola”.
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