Famiglia

Recalcati: Il dono del perdono

Quanti conflitti piccoli, grandi, a volte anche sanguinosi esplodono oggi nei rapporti di coppia. La cronaca non dà tregua. L'ulitmo caso è di ieri a Perugia. Massimo Recalcati, psicoanalista ha scritto un libro dove rovescia la questione. E spiega che il perdono è la forza dell'amore

di Giuseppe Frangi

Quanti delitti imprevedibili, consumati all’interno di relazioni tranquille e normali, stanno segnando la cronaca recente. Rapporti di coppia che varcano la soglia dell’immaginabile e sfociano nelle violenze più terribili. Il male che è sempre stato per comodità attribuito potenzialmente ad altri, a chi è fuori o viene da fuori, in realtà abita dentro. È uno scenario che osserviamo con sconcerto e un senso di impotenza, come se si fosse incapaci di affrontare il nodo. E il nodo è innanzitutto quello della relazione di coppia, bombardata in questi anni da messaggi che la minano e che la deligittimano come esperienza. Andare controcorrente senza essere messi nell’angolo come moralisti o conservatori non è semplice. Ma la cosa non ha preoccupato Massimo Recalcati, psicoanalista, commentatore dalle colonne di Repubblica e dai microfoni della trasmissione di Fabio Fazio. Recalcati ha scritto un libro che è un’apologia dell’amore fedele: quanto fosse un approccio atteso, lo dimostra lo straordinario successo di vendite ottenuto. Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa, è un libro che parlando delle relazioni più importanti nella vita di una persona, quelle sentimentali, in realtà finisce con il parlare di tutte le relazioni che intratteniamo nei vari frangenti della vita. Massimo Recalcati, psicoanalista lacaniano, è un intellettuale che sta conoscendo in questi ultimi tempi uno straordinario successo mediatico. Ha scritto molto sul tema del padre, come nel caso di un altro recente, fortuniatissimo libro, Il complesso di Telemaco (Feltrinelli, 2013). Non ama le interviste, ma per Vita ha voluto fare un’eccezione.

“Un canto all’amore che resiste e che insiste nella rivendicazione del suo legame”. Così lei definisce il suo libro nell’Introduzione. Un amore oggi minoritario? Un amore controtendenza?
L’amore è per sua natura in controtendenza, un po’ come l’arte, la poesia, la letteratura. Qual è la tendenza dei nostri giorni? È pensare che tutto sia sostituibile, destinato a logorarsi nel tempo. Questo varrebbe anche per l’amore come se fosse una merce tra le altre… Lo dicono anche i neuroscienziati: l’effetto della dopamina sul cervello – che è la causa dell’eccitazione del desiderio amoroso – è destinato a dissolversi nel giro di qualche mese. Le coppie si disfano, non resistono alla corruzione inevitabile del tempo. Questo libro sostiene un’altra versione dell’amore. L’amore è fatto di una sostanza che non si può consumare. Non entra nella catena delle sostituzioni ma è ciò che rende l’oggetto amato insostituibile

Una parola chiave del suo libro è la parola “desiderio”. È una parola che oggi rischia un destino dissolutivo e che d’altra parte è parola chiave di ogni rapporto d’amore (lei parla di “desiderio di essere desiderato dall’Altro”). Come si salva l’esperienza del desiderio?
Oggi si pensa che esista un rapporto inversamente proporzionale tra l’intensità del desiderio e la durata del legame. Più un legame dura più il desiderio si affievolisce. Non è sempre così. Un amore grande è un amore dove il desiderio cresce nel tempo ed è in grado di erotizzare non solo i corpi ma anche il mondo. L’esperienza del desiderio si salva se si sottrae dall’ipnosi del Nuovo di cui si nutre il nostro tempo. Il desiderio che rincorre affannosamente il miraggio del Nuovo è un desiderio che si smarrisce, che perde se stesso. Per ritrovare il carattere fecondo, generativo del desiderio bisogna cogliere tutta la sua apertura all’Altro. Per questo Lacan afferma che il desiderio è sempre desiderio dell’Altro. Significa che gli esseri umani non sono autocentrati, non consistono di se stessi ma dipendono dal desiderio dell’Altro…

Nel rapporto d’amore, lei dice citando Lacan, l’Altro con la sua vita apre una mancanza in noi. È un equivalente dell’esperienza religiosa?
Il mistico come l’innamorato fa esperienza della propria insufficienza e, al tempo stesso, della nascita di un nuovo mondo che è il mondo visto dalla prospettiva del Due e non dell’Uno. L’amore porta con sé una cifra mistica in quanto è apertura, trascendenza, salto, esposizione verso l’Altro che noi non possiamo governare. L’esperienza dell’amore mostra che la vita senza l’Altro perde di senso, che è dall’Altro che io ricevo il mio senso. Questa verità contrasta con un altro idolo fasullo dei nostri tempi: quello che vorrebbe che l’uomo si facesse da sé, quello che esalta il valore dell’autonomia e della indipendenza. Il mondo dell’Uno solo è un mondo amputato, triste, avvitato su se stesso. Il mistico rompe il guscio dell’Uno. In questo senso ogni amore è a suo modo mistico

L’amore salva la creatura dalla sua libertà infondata, lei scrive. Una libertà infondata nel senso che rifiuta il rapporto di dipendenza?
La vita umana viene alla vita senza essere padrona della vita. In questo senso la sua libertà è sempre infondata. Lo ricordano bene i filosofi dell’esistenza. Nell’amore però noi possiamo fare esperienza dell’incontro con qualcosa che sembra donare un fondamento alla vita. La mia vita che senza l’amore non era nulla, che era di troppo, insensata, una volta amata trova invece un senso, riceve un suo fondamento. Anche se questo fondamento è solo umano, quindi ontologicamente infondato. L’amore è esigenza di un fondamento nella consapevolezza che come umani, come esseri che abitano il linguaggio, siamo privi di fondamento…

L’esperienza del perdono è la ragion d’essere di questo libro. Lei lo definisce non un atto reattivo, ma un lavoro. In che senso è un lavoro?
Non esiste un perdono reattivo. Il perdono necessita tempo. Solo Gesù vive l’esperienza del perdono come simultanea: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Diversamente il perdono è un lavoro che richiede tempo e dolore psichico. È simile al lavoro del lutto. Ma on una differenza sostanziale. Mentre nel lutto noi lavoriamo attorno ad un’assenza, ad un oggetto morto che ci ha irreversibilmente abbandonato, nel perdono noi siamo di fronte a qualcuno che ci chiede di essere perdonato e che è ancora vivo… Se possibile il lavoro del perdono è per questa ragione ancora più difficile del lavoro del lutto. L’altro che ci ha lasciati, che ha ustionato la nostra anima, è, al tempo stesso, vivo e morto nello stesso tempo… Il dono del perdono è restituire la vita a quell’amore che pareva morto. La sua gioia è la gioia misteriosa della risurrezione…

L'intervista integrale è sul numero di Vita in edicola o su web per abbonati


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