Welfare
Il superpoliziotto scrittore di migranti: Ascoltiamo chi arriva da lontano
A 44 anni, Gianpaolo Trevisi, già capo della Mobile e dell'Ufficio immigrazione della Questura di Verona, è fresco di nomina a dirigente di Polizia e pubblica 'Fogli di Via', libro che narra storie legate alla clandestinità in Italia. L'intervista è un'occasione per parlare di sbarchi, minoranze etniche, violenze degli agenti e sicurezza nelle manifestazioni
“Una volta degli alunni delle medie mi hanno chiesto: perché voi poliziotti non mettete a Lampedusa dei mitragliatori puntati verso il mare? Lì ho capito che la scuola, luogo di sensibilità accese, è il posto giusto dove mettersi in gioco, dove anche un poliziotto può andare a parlare di storie di vita, di umanità e di rispetto per chi viene da lontano”. Gianpaolo Trevisi, 44 anni, una figlia piccola e un altro in arrivo, è appena stato promosso a primo dirigente della Polizia di Stato, lui che finora ha ricoperto l’incarico di vicequestore e direttore della Scuola di polizia di Peschiera Del Garda e che prima ancora è stato capo della squadra mobile e dell’Ufficio immigrazione di Verona. Un incarico importante che coincide con un'altra fresca notizia: l’uscita dell'edizione definitiva del suo libro Fogli di via (casa editrice Emi, 2014, euro 12), incentrato proprio sulle storie dei migranti che ha conosciuto soprattutto negli anni di servizio a Verona. Ben 22 vicende che nascono vere e finiscono spesso in modo verosimile dove i personaggi trovano dignità e dove non mancano i colpi di scena, le inversioni di ruolo ma anche la sana autocritica. Vita.it ha raggiunto Trevisi, che ha scelto di dare in beneficenza i propri proventi dell'opera, per una profonda intervista a 360 gradi che parte dallo scottante tema immigrazione (è di oggi la notizia dell’ennesima tragedia in mare, questa volta al largo delle coste siciliane, con almeno 30 decessi per asfissia) per poi snodarsi attraverso terreni difficili come quelli dell’abuso di potere delle forze dell’ordine e del loro ruolo nelle manifestazioni pubbliche.
Il suo libro Fogli di via, avvincente e senza ombra di faziosità, trasuda umanità: quella delle persone che incontra, spesso disperate, e la sua, che opera nel tentativo di rendere meno pesante la loro situazione di precarietà, se non illegalità. Ma rimane il fatto che nel suo lavoro avrà firmato centinaia di fogli di via, ossia decreti di espulsione. Giusto?
Si, certo. Le leggi le rispetto, naturalmente. Ma più ancora rispetto la dignità delle persone, dovunque essi provengano. Per ognuna di esse, per ogni storia, ci vuole un occhio di riguardo, una parola, farsi sentire vicini e capire la sofferenza che spesso va di pari passo con il tentativo di ingresso senza documenti in Italia. Ho scritto racconti partendo da storie vere e facendoli terminare il più delle volte in modo verosimile, per dare una speranza, un nuovo inizio laddove invece c’è spesso sconforto e disperazione.
In mare continuano a morire migranti. Quale via d’uscita per fermare il massacro?
In primo luogo l’Europa deve aiutare l’Italia, anche perché il 70 per cento di chi arriva sulle nostre coste è solo di passaggio, vuole arrivare altrove. Detto questo, qualcosa potrebbe essere cambiato in poco tempo, ovvero le leggi riguardanti chi è già qui, magari con un permesso, che non viene rinnovato se perde il lavoro, per esempio. In tal senso bisogna dare più poteri ai Comuni rispetto alla Polizia, spesso non è un problema di sicurezza ma di trovare il modo concreto per risolvere. È necessario anche snellire la burocrazia, che non è al passo con i tempi.
La sua attenzione verso le singole storie dei migranti e non un ‘problema clandestini’ come per anni si è sentito dire come viene visto nel corpo di Polizia? Come vedono il tema e il suo impegno i colleghi?
Mi reputo come la gran parte dei miei colleghi, ovvero persone con una grande umanità che viene comunque messa alla prova da un lavoro a volte molto duro. C’è di tutto, comunque, anche chi non nasconde mal di pancia e invidie verso il mio scrivere di questi temi, nel senso che esce dal mio ‘compitino’ come poliziotto. Ma io scrivo di notte, non tolgo tempo al mio prezioso lavoro, e comunque ci sono tanti colleghi che hanno capito perché lo faccio e mi sostengono e agevolano. Per quanto riguarda le sensibilità verso i migranti, c’è da dire che la realtà, soprattutto per chi è sulle volanti, può presentarsi distorta, nel senso che molti dei controlli o delle chiamate riguardano stranieri che in qualche modo ‘delinquono’, anche solo essendo senza documenti in regola (in uno dei suoi racconti Trevisi cita largamente la canzone Clandestino di Manu Chao, ndr), e lo stesso nelle Questure: anche a me è capitato di dovere ricevere 130 persone in una sola mattina, ognuna con un problema diverso e comunque legata al problema dei permessi irregolari, che di fatto fanno 'delinquere' una persona. Questa è la base di partenza, quindi. Ma in generale la situazione si sta evolvendo, perché il corpo stesso è in un percorso di conoscenza formativa che può senza dubbio migliorare le cose. Un esempio che mi riguarda direttamente, e che mi ha fatto molto piacere, è stato l’essere invitato a parlare di rispetto dell'altro e del diverso alla Scuola per ispettori di Polizia di Nettuno, alla presenza di alti funzionari e altri direttori di scuole, e aver visto una certa sensibilità che prima non avevo notato. Di una cosa sono certo: non c’è bisogno di Robocop tra le nostre file.
Gli stessi Robocop che vengono poi accusati di uso spropositato della forza verso i civili?
Ogni poliziotto è una persona, quindi ha i propri problemi, è può sbagliare. Ma non si deve mai mettere sullo stesso livello di chi ha davanti. Se una persona è da fermare ma è inerme, lo prendo ma non alzo un dito contro di lui: non mi interessa quello che ha fatto prima, perché, ribadisco, non mi devo mettere sul suo stesso livello. Questo nelle manifestazioni come in qualsiasi situazione di lavoro.
Il ricordo degli applausi ai poliziotti condannati per la morte di Federico Aldrovandi da parte dei loro colleghi di un sindacato è ancora fresco e fonte di turbamento per molti…
Bisogna avere estremo rispetto della giustizia, ovvero le sentenze passate in giudicato come nel caso del giovane ferrarese vanno rispettate fino in fondo, e in questo caso come in altri si dovrebbe aggiungere il rispetto verso chi ha perso il proprio figlio e vive nel dolore. C’è modo e modo di esprimere solidarietà verso i colleghi, quel modo ostentato non ci rappresenta, è un ragionare per muri contrapposti che non portaa da nessuna parte, anzi peggiora le cose.
Cosa deve cambiare per migliorare la relazione tra le forze di ordine pubblico e la società civile, minata dai casi di abuso di potere?
Servirebbe un impegno collettivo, senza pregiudizi da entrambe le parti. Gli estremismi sono dannosi, c’è bisogno di una riflessione approfondita a tutti i livelli. È vero, c’è il poliziotto che può manganellare senza criterio ma è uno su cento, e va naturalmente individuato.
Con il numero identificativo sulle divise e sui caschi?
Su questa proposta si può ragionare. Ma il discorso non si limita a quello, è più complicato, perché per esempio con il numero identificativo c’è il rischio che poi il poliziotto venga preso di mira, oltre che a pagare legittimamente il proprio errore secondo delle regole del proprio ingaggio. In generale, la violenza è da rifiutare ovunque. Lo dico anche pensando ai manifestanti: se c’è la persona violenta verso le forze dell’ordine, mi piacerebbe però che gli altri attorno a lui lo isolino e permettano di fermarne l’azione, evitando così possibili degenerazioni.
L'importanza di mediare e non pensare il mondo diviso in bianco e nero ritorna spesso nei racconti di Fogli di via. Come quando si parla delle famiglie rom e, con disincanto, delle difficoltà di relazione di questa minoranza con il resto della popolazione. Lei è molto chiaro in tal senso…
Tutti dovremmo rispettare la legge, sia chiaro. Ma c'è un principio che viene ancora prima e che nessuno può negare, ovvero che si ha sempre di fronte un essere umano, e come tale va trattato. Sul caso specifico, prendo in prestito le parole simboliche di uno dei miei cantautori preferiti, Fabrizio de Andrè: "I nomadi rubano, ma non tramite le banche…".
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