Mondo

Mary Kaldor: una guerra per soli sconfitti

"Il conflitto è ciò che Bin Laden voleva. Non si sconfigge il terrorismo eliminando qualche capo". Parla la grande esperta della London school of economics

di Barbara Fabiani

Mary Kaldor, esperta di relazioni internazionali alla London school of economics, è stata tra i primi studiosi a intuire la lezione della catastrofica guerra in Bosnia: dopo la caduta dei blocchi nel 1989, il mondo ha cambiato il modo di fare la guerra. Il suo libro Le nuove guerre ha attirato l?attenzione sulle trasformazioni militari nell?epoca della globalizzazione. L?abbiamo incontrata a Perugia, durante l?assemblea plenaria dell?Onu dei popoli e le abbiamo chiesto di darci una lettura dei fatti dopo l?11 settembre. «Il presidente Bush, annunciando la reazione militare, ha detto che questa sarebbe stata ?una nuova guerra?», esordisce. «Al contrario, credo si tratti di una guerra che abbiamo già vissuto in Medio oriente, nei Balcani e in Africa. Non rappresenta una rottura con il passato, è invece il culmine di molti avvenimenti nell?ultimo decennio».
Vita: Ma ci saranno pure delle differenze tra le nuove guerre e quelle passate?
Mary Kaldor: La caratteristica principale è che queste non sono più guerre tra Stati. Il conflitto coinvolge network diversi dagli Stati nazionali, un mix di soggetti, anche privati, che operano attraverso le frontiere con molti e differenti tipi di altre reti. Altra caratteristica importante è la finalità politica della violenza. L?attentato dell?11 settembre non aveva lo scopo di ottenere una vittoria militare contro gli Stati uniti, ma di mobilitare la gente. Nelle vecchie guerre tra Stati le persone venivano mobilitate per partecipare a un annunciato sforzo bellico. Oggi è esattamente il contrario, la violenza è il primo passo per mobilitare l?opinione pubblica.
Vita: Ingenerando insicurezza sui tempi e sui modi dell?attacco, per esempio?
Kaldor: Nel caso delle reti estremiste fondamentaliste si è visto che lo scopo è proprio quello di seminare insicurezza, terrore, odio, in modo tale che tutti sentano bisogno di queste strutture terribili per proteggersi. Un?altra cosa che abbiamo imparato da queste nuove guerre è che è difficilissimo porvi fine. Proprio perché lo scopo non è la vittoria militare ma la mobilitazione politica, dopo ogni atto di violenza l?elemento estremista è più forte, i tolleranti e i democratici vengono schiacciati, isolati ed espulsi.
Vita: Se volessimo tracciare un?ipotetica storia del terrorismo potremmo cominciare con l?Ira di Michael Collins dell?inizio del ventesimo secolo e dopo cent?anni arrivare al terrorismo di Bin Laden. Come si è evoluto il fenomeno?
Kaldor: La maggiore trasformazione del terrorismo consiste nel suo diventare transnazionale. Anche l?Ira ha cominciato a essere supportata da reti internazionali, anche negli Stati uniti, almeno fino a poco tempo fa. I network terroristici ora sono in grado di utilizzare nuove tecnologie, si avvalgono di strutture organizzative molto estese ed efficienti. Anche gli obiettivi sono progressivamente cambiati: dagli avversari politici alla popolazione civile. I nuovi terroristi sanno come utilizzare i media. Dopo l?attacco all?Afghanistan il messaggio di Bin Laden è passato nei telegiornali con la stessa visibilità data al presidente Bush e ad altri capi di Stato. In un certo senso gli attacchi aerei erano quello che voleva Bin Laden, gli hanno regalato una vittoria di propaganda straordinaria.
Vita: Parliamo dell?attacco militare. Lei che cosa ne pensa?
Kaldor: Se fossi convinta che in qualche modo l?azione militare potesse portare alla vittoria, che dietro ci fosse davvero un piano per arrivare alla cattura dei terroristi e creare un?autorità politica internazionale che possa garantire la sicurezza al popolo afghano, allora forse potrei pensare che valga la pena portare avanti questi attacchi militari. Ma guardiamo a quello che sta accadendo: anche se i nostri governi dicono che questa non è una guerra contro il popolo afghano ma contro i terroristi e i governi che li coprono. In realtà chi vive in Afghanistan subisce il trauma dei bombardamenti, rischia quotidianamente di restare sotto le macerie e fa fatica a credere che gli attacchi non siano diretti contro di lui. I bombardamenti aerei sono un tattica tipica di queste nuove guerre. Le chiamo ?guerre spettacolari? perché sono molto efficaci sul piano della politica interna. Il presidente Bush si sarebbe comportato da grande statista se all?indomani dell?attentato avesse detto ai suoi connazionali che avrebbe catturato i responsabili, ma che un attacco aereo non era lo strumento più efficace. Invece le guerre spettacolari garantiscono il migliore risultato nella politica interna, perché rassicurano sulla superiorità militare e riducono al minimo il rischio di perdite interne.
Vita: Crede ci sia pericolo di un escalation della violenza?
Kaldor: Lo temo. Stiamo correndo il rischio di una polarizzazione del conflitto su larga scala. Eppure c?è anche qualche piccolo effetto positivo di questa crisi: l?America sembra essersi aperta al multilateralismo e il presidente Bush, assieme ad altri capi di Stato, si è espresso sulla necessità di uno Stato palestinese.
Vita: Lei ha detto che queste nuove guerre sono difficili da vincere. Come fermarle, allora?
Kaldor: In questo nuovo scenario non è possibile vincere militarmente. L?unica vittoria possibile è quella politica. Questo non significa che non sia necessaria anche un?azione militare indirizzata alla cattura dei terroristi. è indispensabile catturare e processare i colpevoli in un tribunale internazionale ad hoc, come quello per la ex Jugoslavia e il Rwanda. Ma non basta. Non si sconfigge il terrorismo solo eliminando i suoi capi ma convincendo la gente a non aderirvi. Per questo è determinante il ruolo della società civile globale. Il lavoro fatto dalle organizzazioni non governative in Bosnia e in Palestina è stato eccezionale. I legami costruiti con i gruppi democratici sul campo, i tentativi compiuti dall?associazionismo sono tra i pochissimi modi in cui possiamo proteggere la politica democratica.
Vita: Secondo lei questo ruolo della società civile è sufficientemente riconosciuto a livello globale?
Kaldor: A questo proposito abbiamo qualche segnale preoccupante. Anche prima che iniziassero gli attacchi all?Afghanistan i nostri notiziari erano dominati dalla guerra contro il terrorismo, così tutte le discussioni su Genova e il movimento per una globalizzazione più giusta sembrano essere state spazzate via. Da Seattle a Porto Alegre fino a Genova, la società civile globale aveva aperto una discussione. Sarebbe una tragedia se quel dibattito dovesse finire a causa del disastro dell?11 settembre.
Contatto: Mary Kaldor
email: m.h.kaldor@lse.ac.uk

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