Cultura

Un Papa contro il Muro

"Che le spade si trasformino in aratri", ha detto il Papa mentre si recava a Betlemme. Poi ha fatto fermare la sua jeep davanti al muro che divide Israele e Palestina. Un gesto eloquente, che ha scosso destinato a scuotere le coscienze di tutti

di Marco Dotti

Nei giorni scorsi, c’era chi, come il rabbino Sergio Bergman, membro del parlamento argentino, lo aveva definito  il possibile “Che Guevara dei Palestinesi”. Un'esagerazione, ma è certo che Papa Francesco ha oggi compiuto un gesto forte. Spiazzando tutti, sorprendendo telecamere e sicurezza, nel luogo più controllato e vigilato del mondo.
Mentre si recava alla Piazza della Mangiatoria di Betlemme, dove a attenderlo c’erano diecimila palestinesi, Papa Francesco ha fermato la sua jeep scoperta e sotto lo sguardo attonito di tutti, non ultimo quello dei militari che dalla torre di guardia sorvegliano la sicurezza della zona (oggi più sorvegliata che mai), si è fermato davanti al muro che divide Israele e Palestina. Molti lo chiamano “il muro della vergogna”, altri preferiscono un gergo tecnico, parlando di “rete di sicurezza”. Sia come sia, il gesto del Papa ha colpito nel segno. L'immagine del vescovo di Roma in silenzio, davanti a un luogo simbolo non della religione, ma della divisione, è destinata a restare nella storia e a imprimere, forse, al presente un corso inedito.

Dal 2002, Israele è impegnata nella costruzione di una rete divisoria di cemente lunga 700 chilometri, una striscia di cemento che separa anche il luogo della nascita di Gesù dal luogo della sua Resurrezione. Il muro ha diviso anche famiglie e contadini dai loro campi, rendendo di fatto irreversibile – questa è la critica più dura – l'occupazione delle terre. Per questo, le comunità cristiane di Beit Jala, accanto a Betlemme, hanno intentanto una azione legale davanti alle Corti israeliane per impedire che il muro venga prolungato, distruggendo l'ecosistema della valle di Cremisan, costringendo la popolazione e i numerosi bambini della zona a vivere in una "prigione a cielo aperto", fatta di continui posti di blocco, barriere, reti e cemento.
Poco prima, durante il suo incontro con le autorità palestinesi, il Papa aveva ribadito che: «nel manifestare la mia vicinanza a quanti soffrono maggiormente. le conseguenze di tale conflitto, vorrei dire dal profondo del mio cuore che è di porre fine a questa situazione, che diventa sempre più inaccettabile, e ciò per il bene di tutti. Si raddoppino dunque gli sforzi e le iniziative volte a creare le condizioni di una pace stabile, basata sulla giustizia, sul riconoscimento dei diritti di ciascuno e sulla reciproca sicurezza.» Adesso «è giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro i confini internazionalmente riconosciuti».

Un pensiero il Papa l’ha poi rivolto proprio ai bambini che vivono qui: «Purtroppo, in questo nostro mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città o nelle zone rurali. Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio che si è fatto Bambino. (…) Anche oggi piangono i bambini, piangono molto, e il loro pianto ci interpella». Il pianto dei bambini ci interpella, come il gesto di questo Papa dinanzi al muro.

 

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