Welfare

Migranti, dalla tragedia ai piani del Governo

A 100 miglia da Lampedusa il nuovo naufragio: decine di migranti perdono la vita. Nel frattempo l'Italia vira dai respingimenti alla 'solidarietà distributiva', modello di accoglienza che dà frutti con i minori non accompagnati ma che è destinato suo malgrado a soccombere di fronte agli sbarchi record di questo 2014

di Daniele Biella

Non c’è da nasconderlo: il 2014 sarà probabilmente ricordato come l’anno boom dei viaggi della disperazione nel Mediterraneo. Superando anche il record del 2011, quando con le primavere arabe arrivarono 58mila persone, mentre almeno 1500 persero la vita in mare (dati Unhcr, l’Agenzia rifugiati dell’Onu). Nei primi quattro mesi del 2014, infatti, siamo già arrivati a 33 mila, di cui 1400 minori, anzi 1461, se confermato l’inedito arrivo di oggi a Porto Empedocle di ben 61 ragazzi somali senza alcun parente.

“Mercoledì 14 maggio sarà messa a punto una strategia di accoglienza per i minori concordata tra Governo, Regioni, Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e principali gestori delle strutture d’accoglienza”, spiega a Vita.it Natale Forlani, direttore generale Immigrazione presso il ministero del Lavoro. È chiaro che i numeri ridotti, nel caso dei minori non accompagnati, sono più gestibili così come trovare la necessaria copertura finanziaria per la loro permanenza temporanea o meno in Italia, ma “è necessario arrivare a un modello centralizzato di coordinamento che lavori poi sui singoli territori con gli enti locali, implementando il modello dell’Ena, l’Emergenza Nord Africa del 2011, relativo ai minori”. Il periodo di permanenza nei centri sarà limitato, e caso per caso verrà verificata l’eventuale presenza di parenti in altri Stati dell’Unione europea.  Ma se per i minori non accompagnati l’orizzonte non è del tutto nero, lo è invece sempre di più per troppi migranti che tentano la traversata.

Altra tragedia verso la Fortezza Europa
E' di oggi l’infausta notizia del rovesciamento di un barcone a 100miglia di Lampedusa (e a 75miglia dalle coste libiche, da dove presumibilmente era partito), con la stima di parecchie decine di morti che continua a salire, facendo tornare alla mente l’incubo del 3 ottobre 2013, con le 360 vittime in gran parte eritree per le quali s’indignò il mondo intero (a cui seguì un’altra tragedia l’11 ottobre con almeno cento morti) ma che non produsse alcun sperato cambiamento nelle politiche di immigrazione dell’Unione europea, alle prese con le imminenti elezioni. L’Unione europea non prenderà decisioni in merito alla Fortezza Europa (in primo luogo la revisione definitiva del Regolamento Dublino 3, dimostratosi inefficace e fonte di problemi soprattutto per i paesi affacciati sul Mediterraneo come l'Italia, dove rimangono la maggior parte dei richiedenti asilo volenti o nolenti, perché qui sono stati obbligati a registrare le impronte digitali) prima di dicembre, quando il nuovo esecutivo entrerà nel pieno dei suoi poteri. Ovvero ancora un’estate di passione, morti e, per chi l’ha, coscienza sporca.

Assenza di controlli
Ma a livello nazionale come sta andando in termini di accoglienza? Qualche luce, parecchie ombre. Una luce, nella pratica, è Mare nostrum, ovvero il programma di salvataggio messo in atto dal Governo (dal 18 ottobre 2013, subito dopo le due stragi) in primis con la nave San Giorgio, che seppure è uno strumento della Marina militare sta svolgendo compiti ‘civili’ recuperando da imbarcazioni precarie migliaia di migranti e portandoli al sicuro sulla terraferma.Il problema, e al ministero dell’Interno lo sanno bene, sono i numeri: destinati ad aumentare. Non saranno certo gli 800mila sparati in un recente comunicato poi frettolosamente smentito ma ne arriveranno comunque tanti. E quasi tutti dalla Libia, dove non c’è alcun interlocutore e dove chiunque può organizzare illecitamente un viaggio di migranti senza alcun controllo, chiedendo loro migliaia di euro. Con buona pace del ‘corridoio umanitario’, il passaggio diretto dei profughi dallo Stato di provenienza o dalle costa africane all’Europa, che associazioni e migranti stessi invocano da mesi. “L’instabilità politica è troppo alta, impensabile aprire presìdi in quei paesi”, è la trincea dei funzionari governativi.

La nuova accoglienza all'italiana
Per chi riesce ad arrivare in Italia, spesso l’odissea è solo agli inizi. Non che i tempi siano gli stessi dei famigerati respingimenti di tre anni fa: i Governi che sono seguiti hanno cambiato qualche carta in tavola. C’è ancora molto da fare, ma dietro le quinte c'è convergenza verso una soluzione che parte dalla  ‘solidarietà distributiva’: pochi migranti per singole parti di territorio, per essere meglio inseriti nella società e non destare allarme sociale (comunque in gran parte immotivato: a parte il tragico caso dell’omicida con problemi psichici Adam Kabobo, negli anni scorsi non si sono verificati ulteriori gravi episodi). Si tratta di un modello che funziona, sperimentato con l’Emergenza Nord Africa (non l’accoglienza passiva negli alberghi vuoti, ma quella nelle strutture del privato sociale), che il Viminale sta cercando di implementare dall’inizio del 2014, da quando l’Italia ha accettato di quadruplicare il numero di richiedenti asilo annuali, portandoli da 4 mila a 16mila, riducendo il gap con gli altri maggiori Stati europei.

Numeri impazziti
Quello che sta però facendo saltare gli schemi del nuovo corso dell’accoglienza governativa italiana, è necessario ribadirlo, sono i numeri. In quest’anno che si appresta ad abbattere il record di arrivi, la macchina che accoglie non è pronta e non lo sarà nemmeno nei prossimi mesi. Le immagini del resto parlano da sé: a Milano sono centinaia i siriani, famiglie con bambini, che dormono negli androni della Stazione centrale, così come gli eritrei che stazionano in un parco cittadino. I posti nei dormitori sono pieni, e quando si liberano, soprattutto per questi ultimi la paura di finire nei Cie, Centri di identificazione ed espulsione, è tanta. Due sono quindi, agli occhi dei nostri decisori politici, gli ostacoli a oggi insormontabili: la mancanza di strutture ospitanti adeguate, e soprattutto la mancanza di fondi per reperirle o per far partire strategie di accoglienza per decine di migliaia di nuove persone. I Cie, i Cara (i megacentri per i richiedenti asilo, spesso al centro delle polemiche per i trattamenti negligenti) sono da chiudere? Sì. Lo dicono le associazioni, e lo pensano, anche in questo caso, la maggior parte di uomini e donne attualmente titolati a prendere delle decisioni. Il problema è che, dal loro punto di vista, non possono essere chiusi adesso o dall’oggi al domani. Con centinaia di nuovi arrivi di migranti ogni giorno, sarebbe un’ulteriore catastrofe umanitaria, unita alla bomba sociale. Tra il peggio e il niente, oggi è paradossalmente meglio il peggio.

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