Welfare
Il nemico dell’housing sociale? L’edilizia pubblica
Il docente del Politecnico di Milano spiega il suo punto di vista sul sostanziale fallimento fino ad oggi delle politiche di sostegno all'abitare: «Lo Stato deve badare ad abbassare le tasse e a dare regole certe di urbanizzazione. E soprattuto non può pensare di calmierare i prezzi dall'alto». Altrimenti si ottiene l'effetto boomerang
Volete più housing sociale vero? E allora ci vuole meno edilizia convenzionata. A gettare il sasso nello stagno è Stefano Moroni, docente di etica ambientale e Regolazione dell’uso del suolo al Politecnico di Milano, autore, insieme a Grazia Brunetta de “La città intraprendente”. Vita.it lo ha raggiunto in occasione di un recente incontro sull’abitare organizzato da Euricse.
Moroni, come spiega la sua “uscita”?
Anche nel campo dell’housing il compito dello Stato è quello di facilitare e valorizzare le energie della società civile, non di dare risposte in modo diretto ai bisogni. Questo perché è ampiamente dimostrato che da q uesto versante non riesce ad essere efficiente.
Detto questo?
Detto questo la domanda da farsi è: perché gli affitti costano cari? Io dico che ci sono ragioni di mercato, su cui sarebbe difficile intervenire e ragioni legate all’intervento pubblico.
Per esempio?
Quando le amministrazioni pubbliche impongono regole urbanistiche che limitano le aree edificabili, dicono di farlo per preservare il territorio. Eppure i dati ci dicono che in Europa il suolo occupato è appena il 4,3% del totale. Ma limitando l’offerta creano le condizioni per l’aumento dei prezzi. E ancora: i prezzi sono alti anche perché la tassazione sugli immobili è tendenzialmente in crescita e imprevedibile. Continuo: i costi burocratici legati ai permessi edilizi si ripercuotono sui costi finale. Lo Stato poi fa tutto il possibile per disincentivare l’autoproduzione energetica e la potabilizzazione domestica dell’acqua, avendo reso di fatto obbligatori gli allacciamenti alla rete pubblica. Infine c’è il nodo dell’edilizia convenzionata pubblica.
Ovvero?
Quando lo Stato concede di costruire in cambio di una quota di alloggi a prezzi calmierati di fatto accetta che i costruttori si rifacciano aumentando i prezzi sul mercato libero. E così facendo lascia scoperta tutta quella fascia di cittadinanza che non rientra nei parametri dell’edilizia pubblica, ma non ha sufficiente capacità economica per reggere il mercato.
Soluzioni?
Il pubblico deve smetterla di pensare che la soluzione sia calmierare i prezzi artificiosamente.
Quindi totale deregulation?
Assolutamente no. Lo Stato deve porre le regole generali, chiare (sulla difesa del territorio, sulla tassazione e così via), e farle rispettare da una parte. Ma dall’altra deve agevolare la libera associazione dei cittadini. Per esempio favorendo con sgravi fiscali i condominii che si organizzano per auto-fornirsi di servizi come lo sgombero della neve o la raccolta dei rifiuti o la gestione di un asilo nido. O ancora permettendo che ogni condominio di doti di un proprio regolamento (adesso questi documento sono praticamente tutti uguali) in modo da attrarre fasce di popolazione con esigenze similari (per esempio nella gestione degli animali domestici) in grado di rispondere autonomamente ai propri bisogni.
Questo schema però sarebbe molto penalizzante per chi oggi ha un tetto grazie proprio all’edilizia residenziale pubblica…
Per questa fascia di popolazione si potrebbe pensare a voucher o buoni da spendere sul mercato residenziale libero. Questa soluzione fra l’altro avrebbe il pregio di evitare i quartieri ghetto.
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