Economia

In montagna per imparare ad essere famiglia

L’esempio del progetto innovativo “Soggiorno Assistito” della Comunità Casa del Giovane di Pavia. Due giorni al mese a Vendrogno vicino a Lecco per aiutare famiglie in difficoltà. Parla l’educatrice Anna Polgatti

di Lorenzo Alvaro

Anna Polgatti è un’educatrice della Comunità Casa del Giovane di Pavia dove coordina una comunità per adolescenti con problemi sociali e di dipendenza. Inoltre da tre anni, insieme allo psicologo Simone Feder, giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, segue il soggiorno assistito della cooperativa pavese.  Un progetto innovativo «nato da un bisogno percepito all’interno del tribunale», spiega Polgatti, «insieme al magistrato Luca Villa e al giudice onorario Giampaolo Folcio ci siamo accorti di come negli ultimi anni si siano deteriorate e modificate  le dinamiche affettive e relazionali familiari». Un’esperienza educativa che ha anche dato vita ad un libro: “Re-Incontrarsi. Esperienze di riavvicinamento e condivisione tra genitori e figli”. Una pubblicazione Puer – Franco Angeli che descrive l’esperienza innovativa del progetto.
Per entrare nel cuore del progetto abbiamo chiesto proprio a Polgatti.

 

Perché è così importante il soggiorno assistito?
Garantisce uno spazio neutro e allargato. Sia a livello temporale, per cui invece che un’ora alla settimana il genitore può stare con il proprio figlio un week end intero, sia spaziale, nel senso che invece delle solite stanze spoglie e vuote possono usufruire di una vera casa in cui possono condividere momenti e spazi più vari

E questo che tipo di vantaggi permette?
Per quello che riguarda gli ospiti di instaurare una relazione differente, più sciolta e quotidiana. A noi operatori invece dà modo di poter effettuare un’osservazione non più asettica ma approfondita. Riusciamo a monitorare tante situazioni tipo, dai pasti alla buona notte, che altrimenti non potremmo controllare.  

Da dove arrivano le famiglie che si avvalgono del progetto?
La maggior parte viene inviata dalle tutele dei minori dei territori. Spesso si tratta di persone con alle spalle provvedimenti giudiziari che ne limitano il diritto di visita e relazione. Quindi genitori che per lo più possono vedere i figli una o due volte al mese. Il nostro lavoro è valutativo. Dobbiamo evidenziare i bisogni e pensare a percorsi di accompagnamento per arrivare al ricongiungimento.

In cosa si differenzia la vostra proposta rispetto ad altre simili?
Semplicemente non esistono. È una realtà molto innovativa. Siamo un unicum nel panorama nazionale

Insieme ai nuclei in difficoltà il centro è frequentato anche da famiglie cosiddette “normali”. A cosa è dovuta questa scelta?
Essendo totalmente autofinanziato il progetto permette di accogliere persone che semplicemente vogliono partecipare. Una presenza importante perché ci aiuta a non ghettizzare le famiglie in difficoltà. Vedere una famiglia che funziona, esmepi positivi pratici, aiuta molto più che i discorsi degli operatori. Queste relazioni poi diventano veri e propri rapporti, al di là della comunità. Significa quindi creare una rete di rapporti che fa da stampella e da aiuto. Un sostegno importante, soprattutto nel lungo periodo.

Non solo. Avete voluto mantenere il progetto all’interno di un contesto sociale. Penso a tutte le cooperative locali che lavorano per il centro (pulizie, pasti, etc…).È così importante il territorio?
Certo perché valorizzare il territorio significa venire identificati come qualcosa che fa parte della comunità. Le famiglie una volta tornate alla quotidianità saranno inserite in questa comunità e potranno sfruttare i rapporti

Nella foto di copertina Anna Polgatti


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