Welfare
Johnny Dotti: «Il Terzo Settore non viva di rendita»
«Il grande tema e’ come genereremo azioni di gratuita’ nei prossimi venti anni, a fronte di una popolazione sempre più vecchia e tendenzialmente isolata. Come saremo in grado di trasformare una potenziale fragilità in ricchezza sociale ed in benessere personale»
di Johnny Dotti
Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta che Johnny Dotti ha scritto come reazione all'editoriale di Riccardo Bonacina pubblicato sul numero del magazine di gennaio
«Caro Riccardo, vorrei testimoniare il mio apprezzamento al tuo editoriale con un piccolo contributo che spero alimenti un confronto franco e sincero. Nella forma di breve scritto si possono solo accennare e prefigurare alcuni temi . Spero che attraverso la rivista ci sia modo anche di organizzare alcuni momenti di confronto più approfonditi. La verità richiede dialogo ed ascolto reciproco proprio perché non e' possesso di nessuno, anche se ognuno con la propria vita contribuisce a renderla viva o ad ucciderla.
Mi sento sereno nel dire le cose che dirò, anche perché in questi lunghi anni ho sempre reso pubblico, nel piccolo e nel grande, ciò che sentivo urgente ed importante per la nostra vita. Accettandone responsabilmente tutte le conseguenze, gioiose o dolorose.
Siamo in un altro tempo
E' il tempo che definisce lo spazio, la forma, che un essere assume. Credo che sia inutile continuare a difendere uno spazio che non esiste .
E' questo cambio di tempo che richiede ad ognuno di pensare la propria vocazione e la propria identità. La vocazione che ispira il nostro agire e l'identità che da forma nel presente a ciò che siamo.
Il tempo e' cronos e kairos, nel medesimo istante.
In discussione non e' ciò che siamo stati, le cose belle che abbiamo fatto. Le grandi idee che abbiamo avuto. Appartiene tutto al passato. Non possiamo vivere di rendita.
La tradizione del terzo settore va difesa avendone ben chiaro il valore, e sapendo che proprio perché il valore e' vivo va trasformato nel tempo. Altrimenti si fa la retorica dei valori ed ancor peggio la retorica del "proprio" valore. Probabilmente le forme più distruttive e perverse del nichilismo, perché svuotano la vita utilizzando le stesse parole deputate a custodirla. Come ci viene ricordato dai saggi, bisogna custodire il fuoco non adorare le ceneri.
Questa fase storica che sollecita una fase di libertà più adulta, meno adolescenziale, apre le nostre aspirazioni ad un tempo più prospero, immaginato non solo nell'espansione individuale e materiale,ma di una pienezza personale che si nutre dell'altro da se'.
Che richiede scambio, contribuzione personale alla sorte comune,ragioni di un cambiamento sensato che sostiene ed e' sostenuto da alleanze.
Se questo e' un po' lo spirito del tempo che accompagna la sua dimensione anche distruttiva delle forme passate , e che a volte sembra prevalere nel racconto della crisi in atto, e' chiaro che il terzo settore e' chiamato a dare pubblicamente il meglio di se'. Potendo contribuire a questa fase istituente con il meglio della propria tradizione di socialità, gratuita', creazione di legami,desiderio di equità e giustizia, sensibilità verso il creato, generazione di speranza, capacita' di risoluzione di problemi., etc etc.
Ed e' esattamente di questo spirito che ha bisogno il travaglio che sta vivendo la nostra economia e la nostra democrazia. Non si tratta di cambiare alcuni pezzi, si tratta di contribuire al cambio di un paradigma in corso. Si tratta, benedicendo la crisi , di contribuire a portare in una situazione migliore, perché più piena ed armonica, la nostra vita, le nostre vite.Nessuno conosce il finale di questo processo, dove ci assesteremo, spero pero' che nessuno di noi possa essere rubricato nel girone degli ignavi, uomini e donne che vivevano sulla rendita della vita degli altri.
Dal mio angolo di visuale mi appare necessario ed urgente l'individuare il cosa cambiare ed il verso dove cambiare. Credo vadano ricomposti ed intrecciati tre temi. Il welfare, il terzo settore, i beni di comunità. Provando a guardarli con lo sguardo un po' ingenuo ed ignorante di un giovane che oggi si affaccia alla società. Che chiede un po' di fiducia e di speranza.
Sul Welfare
1. Il sistema di welfare universalistico rappresenta un tratto distintivo del modello sociale economico europeo. Ragionare di welfare cercando di custodirne il valore e’ quindi un punto cruciale nella costruzione reale dell’Europa e del suo modello politico democratico.( le soluzioni che si troveranno si intrecceranno significativamente alla discussione se si va verso un Super stato europeo o forme innovative di unione politica…..il tema della sussidiarietà)
2. La crisi del welfare ( nella sua forma prevalentemente statuale)e’ evidente, non solo sul versante della sua sostenibilita’ economica, ma della sua efficacia. Non e’ una questione solo di debito pubblico ma e’ anche una questione di un sistema costantemente in ritardo sugli interventi e spesse volte non appropriato. Quantità e qualità dei bisogni personali evolvono costantemente. C’e’ tutta la questione della dimensione del desiderio che la modernità solleva, che si affianca significativamente alla dimensione del bisogno.Così come e’ disegnato il sistema (da tempo) non risponde più.
3. Anche l’entrata significativa del terzo settore negli ultimi venti anni, così come e’ concepita sino ad oggi ( esecutori per conto dell’ente pubblico/ in varie dimensioni ed a vari livelli) con soldi provenienti dalla fiscalità generale, non e’ una sufficiente risposta al problema. Si e’ semplicemente abbattuto il costo per la pubblica amministrazione nella fornitura di servizi. Questo ha virtuosamente permesso una loro maggiore diffusione, ma ormai la fase espansiva della spesa pubblica e’ finita. Va rivista radicalmente l’impostazione anche di questa relazione.
4. Se vogliamo custodire il valore che sta nel principio costitutivo del welfare dobbiamo osare politiche, pensieri, parole ed azioni nuove. Generare nuove coscienze e nuove soggettività.
5. Il cuore della questione e’ costituito da due movimenti di cambiamento. Il primo consiste nell’investire ( e nel favorire l’investimento) in nuovi legami sociali ed in significati che costituiscono la socialità. La socialità e’ una risorsa scarsa e va continuamente rigenerata.In questi anni abbiamo dilapidato grandi giacimenti di capitale sociale. Paradossalmente proprio nella fase in cui abbiamo prodotto il maggior numero di professioni e funzioni socio assistenziali? Il secondo movimento e’ quello di privilegiare nuove forme di aggregazione della domanda. In questi anni ci si e’ giustamente ( con appropriatezza sino a 10 anni fa) concentrati sulla universalizzazione dell’offerta di prestazioni e servizi. Il nostro modo di stare al mondo, i cambiamenti demografici, i nuovi equilibri tra locale e globale, richiedono ora che le persone trovino forme più adulte e responsabili ( più libere) di esprimere i propri bisogni ed interpretare i propri desideri. E’ necessario che si riaccendano percorsi di autogoverno ed autorganizzazione ( anche nel produrre risorse)
6. Dal punto di vista economico bisogna smettere di immaginare il welfare come un puro costo, ma cominciare ad inquadrarlo negli assi di innovazione economico e sociale del paese. Qui si rendono urgenti nuovi strumenti ( o la reinterpretazione di vecchi…vedi patronati, o enti bilaterali) imprenditoriali, e finanziari per attivare nuove forme di produzione del valore nel tempo. Il cambio di passo da fare e’ culturale prima che strettamente legislativo politico. In questi anni pero’ molti soggetti hanno fatto sperimentazioni buone che potrebbero essere generalizzate e messe in sinergia. Ce ne’ per tutti.
7. Ci si chiede chi sono i soggetti intestatari di questo cambiamento. I soggetti del '900 sono in se’ insufficienti, nessun soggetto del 900 ( compreso il terzo settore) ha in se’ la forza, le idee, gli uomini per questo cambiamento. Tutti difendono i loro interessi. Serve una grande alleanza tra le parti per far evolvere l’insieme produrre innovazioni significative. Se ognuno immaginerà di difendere il proprio attuale perimetro ( privato, pubblico, terzo settore) non ce la faremo mai. Se ognuno immaginerà di essere generoso e generativo , per il bene di tutti e quindi anche proprio, nascerà il nuovo. In questo senso il welfare e’ un vero e proprio bene comune, che non ha proprietari esclusivi ( nemmeno lo Stato). Compito della politica e’ di avere e trasmettere una visione per poi promuovere, incoraggiare, difendere, generalizzare, accompagnare( senza possedere) sentieri ed intraprese in questa direzione
8. Collegamenti significativi al tema : Nuovi strumenti e metodi di cura mutualistica, nuove forme dell'educare, Impresa sociale, forme più armoniche dell’abitare, beni di comunità e creazione del valore…..
Sui Beni di comunità
1. il tema si può affrontare solo se si riconosce questo come un campo determinante nel futuro della democrazia. E se lo si riconosce come un campo in cui inserire nuove forme di democrazia economica che affianchino la tradizionale e gloriosa forma cooperativa.
2. I beni di comunità sono stati dall’unita’ d’Italia in poi considerati “ pubblici” ( nel senso ristretto di Statali). Questo Movimento politico, probabilmente necessario, per garantirne l’accesso a tutti e togliere ingiusti privilegi. Nel tempo questo movimento ha mostrato la corda sia sul versante della esigibilità, che su quello della economicità a soprattutto sulla capacita’ di riprodurre il significato e valore di ciò che “ appartiene a tutti”.
Ci siamo così trovati a considerare questi beni solo come un costo e non nella loro più complessiva forma di valore. Si e’ in molti casi spesso passati dalla loro pubblicizzazione alla loro privatizzazione. Stravolgendone il senso ed inserendo nuovi problemi.
Ha particolarmente senso parlare in Italia di beni di comunità perché l’Italia quando funziona e’ una armonia di centinaia di territori diversi ed esattamente all’opposto quando non funziona e’ una frantumazione infinita di interessi contrastanti. Trovare il giusto assetto significa innescare un dinamismo virtuoso.si tratterebbe di ripensare forme di governance, produzione, manutenzione di questi beni di comunità ( il tema di destatalizzare socializzando non privatizzando in senso esclusivo)
1. questo e’ un enorme bacino occupazionale se lo si concepisce come una grande innovazione di servizi
2. E’ il campo di alleanze generative ( che sono in grado di produrre “figli” nuovi , non di spartirsi il bottino tra genitori vecchi) tra pubblico, privato, civile ( terzo settore ed oltre)
3. Permetterebbe innovazioni giuridiche, organizzative, tecniche. Importantissime non solo per l’Italia ma per l’Europa ed il mondo.
4. Soprattutto e’ un campo esperienziale per rigenerare la democrazia ( nuove forme di partecipazione ) togliendola dal solo linguaggio del potere e delle risorse che provengono dalla fiscalità, in cui si e’ completamente incastrata.
5. Si tratterebbe di intervenire sul codice civile per uscire dalla dicotomia assoluta pubblico privato ( ci sono già aperture in questo senso nella costituzione italiana)
6. Non e’ l’attuale terzo settore ne meno che meno l'attuale cooperazione la risposta. Sono attori ( genitori importanti).
Sul Terzo Settore
1. il terzo settore che ha incominciato a definirsi in questo senso alla meta’ degli anni ottanta del novecento e’ rimasto la grande incompiuta del secolo scorso dal punto di vista istituzionale . Schiacciato da una eccessiva collateralita’ politica da cui non si e’ mai emancipato e da un insufficiente capacita’ di autonomia politica economica.
2. Mantiene al suo interno pero’ molte istanze positive. La tensione alla dimensione del dono e della gratuità nelle relazioni personali ( molto meno in quelle organizzative). La sperimentazione di forme di reciprocità e solidarietà economica. La tendenza a considerare più aspetti nella vita umana oltre al produrre ed al consumare. Forme di sperimentazione tra universale e particolare ( che fanno pero’ fatica a diventare vere infrastrutture e sistema). Attenzione ai più vulnerabili nella società
3. In fondo il terzo settore e’ rimasto prigioniero del '900, pur essendone nato ai margini spaziali ( gli spazi decisionali) e temporali ( ultimo quarto). E’ stato in positivo uno dei principali eredi del Concilio e del '68.
4. Guardando avanti si tratta politicamente di sfidare il terzo settore. Mettendolo in condizione di correre il rischio della sfida. Guardando agli ultimi dati ISTAT leggendoli senza trionfalismi e piaggerie ( come fa la politica ed il terzo settore-soprattutto chi presume di comandarlo), ma con un po’ di speranza, credere che sia ancora presente un bacino di energia eccedente che va messo a disposizione dell’insieme e non del particolare chiuso in se ‘ stesso. Movimento invece costante di queste organizzazioni. Anche perché la politica ha sempre cercato di scambiare consenso a buon mercato, non certo responsabilità condivisa.
5. Ecco perché il terzo settore va sfidato a donarsi. Sembra un paradosso ma e’ così. Accompagnandolo in questo movimento di generosità. Non ad irrigidirsi in ipotesi istituzionali sindacali che non gli sono proprie. Caso mai a rigenerare istituzioni e forme sindacali. Il suo plus di reputazione ( come dicono tutti i sondaggi..) va messo a disposizione di una dinamica virtuosa complessiva che non riguarda solo un singolo interesse ed una singola specializzazione, ma l’insieme.
6. Per fare questo serve una radicale riforma dei soldi pubblici messi a disposizione ( dai comuni e dallo stato). Costruire partnership ed alleanze non liste di fornitori. Immaginare ed agire forme di governante innovative dei servizi. Coinvolgere attivamente altri attori ( dalle famiglie alle aziende) non solo come donatori od utenti.
7. Il grande tema e’ come genereremo azioni di gratuita’ nei prossimi venti anni, a fronte di una popolazione sempre più vecchia e tendenzialmente isolata. Come saremo in grado di trasformare una potenziale fragilità in ricchezza sociale ed in benessere personale.
A valle di queste questioni c'e' il tema delle diverse forme investimento, del servizio civile universale, della esperienza lavorativa per gli adolescenti, del riuso dei beni pubblici inutilizzati, dei beni culturali da tenere nel circuito del valore,della emersione economica delle società sportive dilettantistiche…. Etc …etc…
Cosi' se fossi un giovane chiederei la possibilità di un inizio, di "nascere alla società. Chiederei di essere sfidato da cose grandi, non mi accontenterei di essere introdotto in un meccanismo. Chiederei di essere aiutato a sentirmi dentro un popolo.,a fare esperienza di essere insieme agli altri, di essere con.
Chiederei di poter combattere la mia "buona battaglia". Vorrei avere accanto, o dietro, adulti che stanno dentro la realtà. Esempi, testimonianze.Vorrei non essere sempre trattato come uno spettatore ma anche come un attore ed un autore. Con tutte le ruvidità del caso, non con piaggeria o facile accondiscendenza nelle cose che dico. "Essere messo alla prova", essere introdotto alla tradizione da chi la vive sul serio, e di aver la possibilità di sfidarla, osando strade nuove. Pagandone i costi. L' unico modo che abbiamo per rigenerare continuamente la società.
Vorrei incontrare l'autorità ( da augere, che fa crescere) prima del potere. Unico modo umano per apprendere la responsabilità.
Insomma, vorrei vivere. Per questo sarei disponibile a trasgredire sanamente un po' di più.
Questa Riccardo e' la mia, la nostra, giusta battaglia.
Con affetto e stima».
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