Non profit

Assifero, Casadei: «Tutti i perchè dei mio addio»

Dal primo gennaio lascerà la carica di segretario generale dell'associazione italiana delle fondazioni e degli enti di erogazione: «Assifero come associazione di categoria è a un bivio. Da una parte c’è la rappresentanza e quindi una logica politica, dall’altra la fornitura di servizi agli associati in una logica imprenditoriale»

di Stefano Arduini

Dal primo gennaio dell’anno prossimo Assifero, l’associazione italiana delle fondazioni e degli enti di erogazione avrà un nuovo segretario generale (la selezione entra nella fase decisiva proprio in questi giorni). Dopo cinque anni Bernardino Casadei, 46 anni, ha infatti deciso di passare la mano e tornare in Fondazione Cariplo (da cui per due mandati era stato distaccato). Un lustro che ha coinciso con una grande crescita del network che è passata da 18 a 96 soci (2mila euro il costo annuale dell’adesione), da un budget annuale di 50mila a 200mila euro e da 30mila a 190mila euro di accantonamenti «una cifra che», interviene Casadei, «coincidere quasi esattamente con il bilancio di un anno. Che io sappia sono poche le realtà non profit che possano vantare una riserva di questo tipo»

Di fronte a questi numeri rimane l’interrogativo di perché abbia scelto di fare un passo indietro?
La ragione principale è che penso di essere giunto al termine di un ciclo. Io sono arrivato per rendere più solida l’associazione e penso di avere centrato l’obiettivo. In particolare su due aspetti specifici che non potevo sviluppare in Fondazione Cariplo: l’infrastrutturazione delle fondazioni di comunità e la creazione del Comitato per la promozione del dono, una piattaforma al servizio di quei soggetti che non possono o non vogliono crearsi una propria fondazione d’erogazione. Detto questo c’è un’altra ragione che attiene più al mio carattere.

Ovvero?
Io credo di essere uno bravo nel costruire, molto meno nella gestione dei rapporti, in particolare in una realtà che ormai associa quasi cento enti anche molto diversi fra loro. Per questo compito ci vuole qualcuno più propenso alla mediazione e attento agli equilibri, in una parola più diplomatico.

In Assifero le fondazioni di comunità sono il 30% degli associati. Poi ci sono fondazioni d’impresa, fondazioni familiari e persino realtà che non sono fondazioni. Dal punto di vista fiscale alcune sono onlus, altre no. Non crede che una così ampia promiscuità costituisca un ostacolo per un ente di secondo livello?
Io penso che sia un fenomeno fisiologico. In Italia, come nel resto d’Europa esclusa la Gran Bretagna, e diversamente dagli Stati Uniti, molti enti di erogazioni sono allo stesso tempo enti operativi e di raccolta fondi. Una struttura in crescita come Assifero non poteva che riflettere questa caratteristica.  Certo è che arrivati a questo grado di complessità occorre fare una scelta strategica definita.

A cosa si riferisce?
Assifero come associazione di categoria è a un bivio. Da una parte c’è la rappresentanza e quindi una logica politica, dall’altra la fornitura di servizi agli associati in una logica imprenditoriale.

Lei da che parte sta?
Dalla seconda. Ma quello che penso io non conta.

Ora che torna in Cariplo di cosa si occuperà?
Il mio auspicio è di continuare ad occuparmi in modo operativo di fondazioni di comunità, di impatto e di strategie comunitarie sempre nell’ottica della costruzione di quella welfare community di cui in tanti parlano, ma che in molti casi è solo retorica.

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