Formazione
Moni Ovadia: “Io, ebreo, in pace con l’Islam”
Anteprima dell'inserto speciale dedicato alla marcia della Pace in edicola con VITA non profit da venerdì. Parla Moni Ovadia, popolare poeta e attore, che era alla marcia Perugia-Assisi
Ma il cammino verso la pace è la più aspra delle guerre. Perdonatemi il paradosso, ma è vero che il raggiungimento della pace implica mettersi completamente in questione. Puntare il dito l?uno contro l?altro e dire ?è sua la colpa?, è la via più facile. Mettere in discussione se stessi è molto più aspro e difficile». Così esordisce Moni Ovadia nel parlare di pace, con il gusto di ribaltare le cose per trovarvi il significato nascosto, profondo, tipico delle tradizioni mistiche.
Vita: Cosa significa per lei essere pacifista?
Moni Ovadia: Al termine pacifismo preferisco la frase ?cammino per la pace? perché pone l?accento su quanto sia lungo il percorso. La fratellanza come cammino da costruire è qualcosa che viene dal mio essere ebreo. A noi dicono ?ricordati che sei stato liberato dall?Egitto?, quindi io so che ho cominciato quattromila anni fa. Ogni generazione fa un piccolo passo avanti. è il ?cammino per la pace? di cui la Marcia Perugia-Assisi è un esempio molto importante; ma ha una possibilità solo se il consenso diventa molto ampio, se si coinvolgono quelle persone che per ragioni di vita quotidiana non partecipano a queste cose e forse le delegano ad altri. La pace non è qualcosa che s?impone, non può essere calata dall?alto, deve essere sentita e arrivare dal basso.
Vita: Come ha vissuto queste giornate dopo l?attentato dell?11 settembre?
Ovadia: In questi giorni di preoccupazione ho seguito alcune trasmissioni televisive in cui si sono dette anche parole belle ma dilavate da un chiacchiericcio insopportabile. Confesso che sono profondamente angosciato, perché dopo l?orrore delle Twin towers, sapendo quanto dolore c?è stato, annoiarmi davanti alla televisione è per me causa di grande angoscia. Perché la noia è perdita di senso. Allora ho spento la tv e ho preso in mano i libri per ascoltare la voce dei grandi maestri. Siamo entrati in una nuova era di cui a tentoni intravediamo le nuove modalità. Siamo circondati da pericoli devastanti assieme a grandi potenzialità, occorre stare molto attenti. Per questo ritengo che sia importante tornare ai grandi principi, mettere dei punti fermi non commerciabili per ragioni di opportunità.
Vita: E quali sono questi punti fermi?
Ovadia: Uno di questi principi è espresso con sintesi folgorante dal primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell?uomo che recita: «Tutti gli uomini nascono liberi e uguali, pari in dignità e diritti». Questo principio di universalità era già contenuto nel cammino dell?iniziatore delle tre religioni monoteiste: il patriarca Abramo. è Abramo che sconfigge l?idolatria, che dice: «Un uomo non può essere dominato né da un idolo né da un tiranno». Perché noi abbiamo un solo Padrone e quel Padrone non si vede e il suo nome non si può pronunciare. Perché nessuno può dire: «è mio». Sappiano dunque i religiosi fanatici, di qualsiasi parte siano che se dicono «Dio è con me» si appropriano di un slogan assai sinistro che è quello dei nazisti: «Got mit uns». L?uguaglianza tra uomini oggi è stata confermata anche dalla scoperta del genoma. Ebbene il ?genoma etico? dei tre monoteismi si chiama Abramo. Discendiamo tutti da una sola matrice, ci dice la Bibbia. Perché nessuno possa dire «il mio progenitore era meglio del tuo».
Vita: Quindi lei dice il primo articolo della Dichiarazione dei diritti dell?uomo vale per tutti, cattolici, ebrei, musulmani…
Ovadia: E anche laici. Il portato di universalità laica è contenuto nel cammino di Abramo, è espresso nella Bibbia migliaia di volte. Dal famoso «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Levitico 18,19) a quello che io ritengo sia il comandamento più importante: «Amerai lo straniero, Io sono il Signore». Nella Bibbia ogni volta che è scritto «amerai lo straniero» di fianco è ripetuto «Io sono il Signore», perché lo Straniero assoluto è Dio. Chi perseguita lo straniero perseguita Dio, automaticamente. Sodoma e Gomorra furono distrutte non perché commettevano sconcezze sessuali, come qualche chierico idiota ci ha voluto far credere, ma perché perseguitavano lo straniero, in quel caso i due inviati da Dio. E per questo peccato non c?era omissione. Noi dobbiamo ritrovare le ragioni comuni di questo cammino di fratellanza universale che è il concetto centrale di tutti i grandi pensieri etici.
Vita: Come giudica l?ostilità di tanti intellettuali nei confronti dell?Islam?
Ovadia: Ho sentito dire cose vergognose nei confronti dell?Islam che è uno dei pensieri più alti di pace e spiritualità cresciuti nell?umanità. Dall?Islam nasce la mistica Sufi che è una delle più grandi mistiche di pace. Noi tutti siamo profondamente colpiti da ciò che accade alle donne afghane. Ma noi occidentali non crediamoci innocenti. Il tetro burqa ha come contraltare, molto più ilare di aspetto, lo sconcio atteggiamento di mercificazioni della donna che c?è in Occidente. Certo, la differenza è che qui non c?è né l?obbligo né la brutalità di questi sedicenti religiosi talebani, ma non si può dire che sia un atteggiamento di rispetto e di considerazione. Nel rivolgersi ad Allah, i musulmani lo chiamano «Lui il clemente, Lui il misericordioso», due parole la cui radice significa ?utero?. è come se si rivolgessero a Dio chiamandolo «Oh, tu Uterino». Questo se lo devono ricordare bene sia quelli che perseguitano la donna sia i mercanti che la mercificano.
Vita: Lei fa riferimento a testi sacri, ma oggi c?è chi da quelle parole ricava indicazioni alla violenza.
Ovadia: Nel Corano è scritto: «Chi toglie una vita toglie ?la Vita?». E similmente il Talmud dice: «Chi salva una vita salva l?intera umanità». Se i testi sacri contengono anche parole ed episodi violenti è perché non sono scritti banali e mettono l?uomo davanti a se stesso. Ma l?opzione finale è molto chiara.
Vita: Perché ha aderito alla Marcia Perugia-Assisi?
Ovadia: Come teatrante ho messo il mio lavoro al servizio di un?idea etica, un teatro che si mette in relazione con il problema della pace, della giustizia sociale, della pari dignità tra gli uomini. Stare dalla parte della pace è diventato un orientamento naturale per me. Il vero problema è come arrivare alla pace. Dovremmo cominciare a fare un esercizio di logica paradossale, come mi ricordava un vecchio medico agopuntore, e mantenere insieme ?e questo e quello?. Bisogna mantenere la fermezza dei propri valori, ma ricordare che quelli che non la pensano come noi sono degli esseri umani. Sapendo anche che ci sono due piani su cui agire: quello dell?urgenza e quello della pazienza. Dobbiamo imparare a coniugare urgenza e pazienza.
Vita: Che messaggio lascia a chi ha marciato con lei?
Ovadia: Vorrei dedicare loro, con affetto, questa vecchia storia ebrea. Ci viene detto che quando moriremo ci troveremo davanti al Giudice supremo per rispondere di cosa abbiamo fatto della nostra vita. Ma l?Eterno non ci chiederà chi non siamo stati, quali grandi gesta non abbiamo fatto. A me non chiederà perché non sono stato Che Guevara o Ghandi. Scuoterà la testa e mi dirà: «Ah, Moni Ovadia. Perché non sei stato Moni Ovadia? Ti avevo dato un bel ?Moni Ovadia? da fare e invece sei arrivato a esserlo al 55 per cento». Facciamo tutti parte di un disegno. Ognuno di noi deve dare il suo contribuito al progetto comune, che si ritrova in ciò che sta al centro di tutti i grandi pensieri etici: trasformare questo mondo in un mondo di fratellanza.
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