Cultura

Censis. La fotografia impietosa del Paese

Boom di emigrazione, Ssn in crisi, famiglie in difficoltà, crollo del mattone e il Mezzogiorno che somiglia sempre più alla Grecia. La colpa di questa crisi? Di politici e banchieri

di Lorenzo Alvaro

Giunto alla 47ª edizione, il Rapporto sociale del Censis prosegue l'analisi e l'interpretazione dei più significativi fenomeni socio-economici del Paese, individuando i reali processi di trasformazione della società italiana.  Il quadro che il Rapporto disegna della situazione nel 2013 è senza appello. E l'istituto di ricerca indica con chairezza i responsabili.

Politica e banche
«La classe dirigente italiana tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilità al sistema, magari partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre che hanno la sola motivazione e il solo effetto di far restare essa stessa la sola titolare della gestione della crisi» si legge nel Rapporto. Non solo. Negli ultimi anni si sono imposte nella dialettica sociale e politica «tre tematiche che sembrano onnipotenti nello spiegare la situazione del Paese: la prima è che l’Italia è sull’orlo dell’abisso, la seconda è che i pericoli maggiori derivano dal grave stato di instabilità e la terza è che non abbiamo una classe dirigente adeguata a evitare il pericolo del baratro». Sulla base di questi presupposti, secondo il Censis, «non si illumina una realtà sociale con questi atteggiamenti ed è impossibile pensare a un cambiamento perché la classe dirigente non può e non vuole uscire dalla implicita ma ambigua scelta di drammatizzare la crisi per gestirla: una tentazione che peraltro vale per tutti, politici come amministratori pubblici, banchieri come opinionisti». Questo atteggiamento inevitabilmente produce una società con «troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro ed evasione fiscale» e dove si diventa infelici, sotto il peso di un «inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali». Ma il rapporto del Censis è ancora più duro quando attacca la classe politica che ha dedicato le sue attenzioni alla «stabilità» a tutti i costi, ma «non può certamente coprire lo sconforto collettivo di fronte al permanere dei pericoli di catastrofe» e che ha portato in un momento critico «a una tale paura del conflitto da sfociare in una “reinfetazione” delle forze politiche nelle responsabilità del presidente della Repubblica», senza tuttavia capire che una mossa di questo tipo è in realtà «un grande incubatore di disturbi essenziali e di sistema».

Emigrazione
«L'Italia oltre confine ammonta a oltre 4,3 milioni di connazionali. Nell'ultimo decennio il numero di cittadini che si sono trasferiti all'estero è più che raddoppiato, passando dai circa 50.000 Del 2002 ai 106.000 Del 2012 (+115%)» spiega l'istituto. «Ma è stato soprattutto nell'ultimo anno che l'incremento si è accentuato (+28,8%). Nel 54,1% dei casi si è trattato di giovani con meno di 35 anni». Secondo l'indagine «circa 1.130.000 Famiglie italiane (il 4,4% del totale) hanno avuto nel corso del 2013 uno o più componenti residenti all'estero. A questa quota si aggiunge un altro 1,4% di famiglie in cui uno o più membri sono in procinto di trasferirsi». Chi se ne è andato «lo ha fatto per cercare migliori opportunità di carriera e di crescita professionale (il 67,9%), per trovare lavoro (51,4%), per migliorare la propria qualità della vita (54,3%), per fare un'esperienza di tipo internazionale (43,2%), per lasciare un paese in cui non si trovava più bene (26,5%), per vivere in piena libertà la propria vita sentimentale, senza essere vittima di pregiudizi o atteggiamenti discriminatori, come nel caso degli omosessuali (12%). Nel confronto con l'estero, per loro il difetto più intollerabile dell'italia è l'assenza di meritocrazia, denunciata dal 54,9%, poi il clientelismo e la bassa qualità delle classi dirigenti (per il 44,1%), la scarsa qualità dei servizi (28,7%), la ridotta attenzione per i giovani (28,2%), lo sperpero di denaro pubblico (27,4%)».

Servizio Sanitario Nazionale
Il 40,9% degli italiani, 1 su 4, ritiene «inadeguato» il proprio servizio sanitario regionale, percentuale che sale al 50,3% per gli abitanti del Centro e al 57,6% al Sud. È quanto emerge dal Rapporto 2013 del Censis sulla situazione sociale del Paese. «Gli italiani», si nota nel Rapporto, «appaiono però divisi nel giudizio sul servizio sanitario, con una netta divisione tra il Nord che ne afferma l'adeguatezza (il 49,6% nel Nord-Ovest e il 54,5% nel Nord-Est) e il Centro e soprattutto il Sud che invece li considerano in misura maggiore inadeguato». «Questo dato, unito all'aumento della compartecipazione della spesa (quella per i ticket sui farmaci è cresciuta del 117,3% dal 2008 al 2012) e della spesa privata tout court e al giudizio sull'adeguatezza della copertura farmaceutica (a fronte dell'aumento di spesa non si percepisce un aumento della copertura garantita dal Ssn per i farmaci di sui si ha bisogno), rappresenta un importante segnale di una progressiva contrazione di fatto della copertura pubblica che, per le zone del Paese con situazioni di offerta più precaria e per le fasce più deboli, può tradursi anche in un rischio di uscita dal servizio pubblico». Nel frattempo c'è un altro elemento che rischia di «scardinare l'organizzazione del sistema di welfare italiano» ed è l'aumento delle persone che vivono sole, ormai oltre 7,5 milioni (cresciute di quasi 2 milioni in 10 anni, registrando un +36,6% rispetto al 2002). «Sei italiani che vivono soli su 10 non hanno scelto di farlo, anche se nella fascia fino a 34 anni oltre l'83% dichiara di farlo per libera scelta, percentuale che scende al 16% tra gli over 65».

Famiglia
Una famiglia su 4 fa fatica a pagare tasse o bollette e il 70% è in difficoltà se deve affrontare una spesa imprevista. Il Censis parla di «fragilità» per «una larga parte del Paese». L'incertezza, spiega il Centro studi, «ha preso il sopravvento» sulle famiglie assumendo «la forma della preoccupazione e dell'inquietudine» e il calo dei consumi è sintomo di «un Paese sotto sforzo», «smarrito, fiaccato da una crisi persistente».

Mattone
«Dal 2007 al 2012 le compravendite di abitazioni sono diminuite del 45%, nel 2013 il calo potrebbe arrivare al 50% (400.000 abitazioni vendute)». Le famiglie «che hanno manifestato l'intenzione di acquistare casa sono state 907.000 e solo il 53,5% è riuscito a realizzare l'acquisto. Infatti, dal 2007 al 2012 il risparmio netto annuo per famiglia è passato da 4.000 euro a 1.300 euro».


Mezzogiorno
L’Italia appare tra i sistemi dell’eurozona quello in cui più rilevanti sono le disuguaglianze territoriali. In termini di Pil pro-capite il centro-nord, con 31.124 euro per abitante, è vicino ai valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. Viceversa, i livelli del Mezzogiorno sono più vicini o inferiori a quelli della Grecia (il Sud ha meno di 18.000 euro per abitanti e la Grecia registra 18.500 euro di Pil pro-capite).
 


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