Cultura

Quali indicatori del benessere

È tornata la classifica del Sole24Ore sulla qualità della vita delle province italiane. Luigino Bruni spiega perchè non è attendibile. «Non convince perché mancano gli elementi soggettivi, essenziali per fare misurazioni attendibili»

di Luigino Bruni

Ogni anno, da quasi un quarto di secolo, torna puntuale la classifica del Sole24Ore sulla qualità della vita delle province italiane. E ogni volta il dibattito pubblico si concentra sulla prima e l’ultima provincia della classifica, e ciascuno controlla se la sua città è salita o scesa nel ranking. Quest’anno, per la cronaca, la maglia rosa spetta a Trento, quella nera a Napoli. Non si coglie invece l’occasione per discutere davvero sulle metodologie e sulle potenti ideologie che sottostanno a questi esercizi statistici, sui limiti e le potenzialità delle misurazioni, e sulle cose invisibili, spesso molto importanti, che queste statistiche non riescono a vedere, o che non vogliono vedere. Questi dati dicono qualcosa sul nostro Paese, ma non tutto, e per alcune dimensioni della vita dicono cose parziali e a volte errate.

Una prima domanda decisiva riguarda la concezione di “qualità della vita” che sottostà a questa classifica. Essendo prodotta dal principale giornale economico italiano, non deve stupirci il peso dell’economia in rapporto alle altre dimensioni non economiche. Ma ciò che convince sempre meno è presentare questi indici come indici e numeri di qualità della vita tout court. E non convince perché mancano elementi essenziali per (almeno tentare di) misurare la qualità della vita delle persone e delle comunità. Tra i grandi assenti ci sono le nostre relazioni. Una qualità della vita che non vede le relazioni tra le persone, vede poco e non capisce che la qualità della vita di una persona, magari donna, con 1500 euro al mese di stipendio e con due bambini, è molto diversa se abita in città o in un villaggio, se ha, o non ha, attorno a sé reti parentali e amicali robuste, e di quanti beni comuni può usufruire gratuitamente per sé e per i suoi bambini. Lo sguardo culturale di questi indici e classifiche del Sole non è capace di vedere relazioni ma solo individui, in linea con l’approccio metodologico della scienza economica dominante. E così si racchiude la poca socialità ‘vista’ dentro la categoria “svago”, come se le nostre relazioni, la nostra cultura e il volontariato fossero faccende di “svago” o di spensieratezza. Inoltre, nei dati economici (“tenore di vita”) non c’è spazio per nessun indicatore di diseguaglianza di reddito e ricchezza.

Infine, nessun spazio è dato agli indicatori soggettivi. La qualità della vita, lo sanno tutti gli studiosi attrezzati di questa complessa materia, è un intreccio indistricabile di elementi oggettivi (reddito, servizi, istituzioni …) e di elementi soggettivi, cioè la mia percezione della qualità della mia vita e di quella delle mie comunità.  Gli indicatori soggettivi e dei beni relazionali erano poco sviluppati quando, 24 anni fa, iniziò questa pubblicazione del Sole; oggi però sono abbondanti e disponibili, come ben sanno i ricercatori che hanno prodotto il BES, raggiungendo risultati molto più interessanti sul benessere degli Italiani. Senza indicatori soggettivi è molto difficile, ad esempio, catturare gli effetti della depressione che sta diventando un’autentica epidemia di massa.

Non credo che inserendo indicatori soggettivi di “gioia” e di “tristezza” del vivere, di beni relazionali, di solitudini e di depressioni, vedremmo Napoli e Taranto ai primi posti di questa diversa classifica (il nostro Sud soffre veramente molto), ma potremmo capire meglio la qualità della vita in città come Rovigo, Teramo o Enna. 
Le statistiche e i numeri sono importanti per le democrazie. Non dobbiamo lasciarli ai soli addetti ai lavori, perché dietro quei numeri si celano molte cose importanti, tra cui la comprensione del nostro Paese, dei Sud dell’Europa e del mondo e dei loro ‘valori meridiani’ (che pur esistono). Dobbiamo però usare occhiali teorici più sofisticati, capaci di vedere e raccontare le relazioni insieme agli individui, i luoghi insieme al reddito, i beni comuni e i beni privati, e così raccontare storie antiche e nuove di qualità della vita e di umanesimo integrale. Altrimenti finiamo per misurare la qualità della vita di persone deprivate, dalle nostre ideologie, delle qualità umane più importanti da misurare.

pubblicato su Avvenire

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