Cultura

Mission, la missione impossibile della Rai

La rete pubblica si aspetta appena 2 milioni di spettatori e non fa chiarezza sulle questioni poste dalla società civile. Il direttore di Rai Uno: «Mission serve per attirare l'attenzione sul tema dei rifugiati». D'accordo, ma cosa c'entrano Paola Barale ed Emanuele Filiberto?

di Redazione

Dunque ci siamo. Stasera alle 21 su RaiUno vedremo la prima puntata di Mission, il reality (ma guai a chiamarlo così) sui campi profughi in Mali, Sud Sudan, Congo e Cisgiordania prodotto da viale Mazzini in collaborazione con l’Unhcr e l’ong Intersos. Vita.it è stato uno dei primi organi di informazione a riflettere e ragionare sul tema (vd i blog di Riccardo Bonacina, Giulio Sensi, Massimo Coen Cagli e la lettera aperta del numero uno di Intersos Nino Sergi) e domani saremo ospiti del Fatto quotidiano on line per fare un bilancio della prima puntata insieme a Laura Iucci (funzionario dell’alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite) e all’altro autore Tullio Camiglieri.

«Abbiamo avuto dalla Rai la totale libertà di apportare modifiche ai filmati, e siamo stati attentissimi  a dare risalto ai volontari e ai rifugiati: il risultato finale è quello che volevamo: risalta tutta la dignità di queste persone, senza falsi pietismi», a dirlo è proprio Nino Sergi. Il Cipsi, coordinamento di 37 ong, parla invece di «pornografia umanitaria». Dopo la puntata di stasera ognuno si potrà fare un’idea più precisa. Certo è che la conferenza stampa di lancio di ieri e la lettura della rassegna stampa delle pagine degli spettacoli di oggi non sono state molto rasserenanti.

Il direttore di Rai Uno Giancarlo Leone ha sostenuto che Mission serve per «accendere i riflettori su realtà poco conosciute, per l’indecente indifferenza della Tv». D’accordo sull’indifferenza della tv pubblica che continua ad andare in onda con un contratto di servizio scaduto ormai da un anno e con un segretariato sociale che il nuovo direttore Adriano Coni vuole –meritoriamente – ribaltare come un calzino. Ma alla domanda su quali siano stati i criteri per individuare in vip di medio cabotaggio come Paola Barale, Emanuele Filiberto, Francesco Pannofino, Candida Morvillo, Lorena Bianchetti, Cesare Bocci, Barbara De Rossi e Albano e figlie) i testimonial più adatti per centrare l’obiettivo prefissato da Leone risposte non ne sono arrivate.

Nessuna conferma è arrivata nemmeno sui compensi. Si parla di una diaria di 700 euro a vip.  La Rai (che vive di finanziamenti pubblici) non conferma e non smentisce. Michele Cocuzza che insieme a Rula Jebral terrà le redini della trasmissione dallo studio di Torino oggi in un’intervista precisa che «si tratta di un rimborso-spese» (in che senso: pagano loro il viaggio, o il vitto o l’alloggio, gli abiti? O che altro) e bontà sua promette «di darne almeno la metà in beneficenza» (quanto precisamente? A quale organizzazione?).

Il buon Cocuzza poi si meraviglia delle proteste (Boldrini, Arci, Famiglia Cristiana e via discorrendo) che ha suscitato Mission: «è incredibile, in America con Angelina Jolie e Gorge Clooney, si stimola la beneficenza». Ci permettiamo di osservare che la differenza fra due star internazionali che hanno fatto dell’impegno umanitario di lungo periodo un vero e proprio brand e i vip nostrani selezionati della Rai la distanza è davvero molta.

Nessuna chiarezza nemmeno sulle aspettative dei promotori rispetto alla raccolta fondi e alla destinazione di quelle risorse, come nulla si sa su quali strumenti la stessa Rai vorrà mettere in campo dopo il 12 dicembre (data della seconda e ultima puntata di Mission) per tenere alta l’attenzione sul tema e rendere meno indecente l’indifferenza della Tv. Per usare le parole di Leone.

p.s pochi minuti fa via twitter lo stesso Leone ha dichiarato che l’obiettivo di Mission è superare 2 milioni di spettatori «pochi per Rai Uno, ma tanti per i rifugiati». Su questo si potrebbe discutere, comunque tantissimi per la Barale e le figlie di Al Bano.

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