Cultura
A 70 anni dal Codice di Camaldoli, quale attualità?
L'intervento di Johnny Dotti al Convegno promosso da Acli, Cisl, Azione Cattolica, Coldiretti, Compagnia delle Opere, Confartigianato, Confcooperative, Ucid, sabato 9 novembre a Sondrio, in Valtellina. I principi-guida dell’incontro di Camaldoli nel luglio 1943, furono elaborati proprio da 3 valtellinesi, Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni
di Johnny Dotti
«Non venerare è impossibile, tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è cosa venerare». Questa frase non ha necessariamente un’interpretazione cattolica, ha riverberi persino psicologici, è così. Siete parte di movimenti e associazioni che si ispirano al cristianesimo. Le persone che si trovavano a Camaldoli nel luglio 1943 erano lì solo in nome della fede. Fede che ha un’interpretazione molto più laica della parola credenza, tanto è vero che poi utilizzarono questa fede come spirito della politica. Sono persone che non hanno avuto paura di parlare di Dio. I 15 incaricati di scrivere il testo dai cinquanta partecipanti, erano persone libere (perché erano lì a titolo personale, nonostante ci fosse dietro la macro-organizzazione dell’Azione Cattolica) due erano cinquantenni, sei erano quarantenni, cinque erano trentenni e tre erano ventenni.
In quel Codice c’è tutta la tradizione trinitaria. Tutte le soluzioni politiche che sono là dentro hanno questa impostazione teologica trinitaria. Senza questa coscienza trinitaria non si capisce che c’è uno spazio terzo tra pubblico e privato. Il simbolo che sta alla base del nostro lavoro è il tre (Padre, Figlio e Spirito Santo): non è una visione ideologica tra le nuvole, è un modo di guardare la realtà. Erano giovani, erano persone che avevano fede nella realtà. Ed erano ottimisti: capite che correva l’anno 1943, e stavano bombardavano il quartiere di San Lorenzo a Roma? Da parte loro nessun rammarico, nessuna lamentazione sull’oggi, solo il guardare il futuro: nessuno di loro faceva conti partitici o di carriera personale; non sapevano come sarebbe andata a finire la guerra, avevano solo (ma vi sembra poco?) grandi speranze. Noi abbiamo bisogno di recuperare il loro spirito: guardare dentro le cose, oltre le cose e oltre i calcoli utilitaristici.
L’invito che faccio è a stare nudi come poveri Cristi: levarsi il vestito dei sindacalisti, degli artigiani, degli imprenditori, del professore, del politico. Siamo di fronte a un cambio di paradigma mondiale. Paradossalmente, il 2013 è un anno di cesura storica molto più forte del 1943, o almeno altrettanto forte, è un anno di cesura storica di visione del capitalismo. Dal ’43 a oggi c’è stata una sorta di continuità nell’immaginario capitalistico e nell’immaginario del rapporto tra capitale e Stato: l’impresa produce valore e lo Stato ridistribuisce un po’ di equità e di giustizia. Questo era il gioco, o più nobilmente la visione. Come interpretare questa ridistribuzione? Attraverso le grandi ideologie del Novecento. Voi qui in sala siete tutti nipotini della Democrazia Cristiana. E tutte le vostre associazioni avevano senso perché avevano un punto focale. Ora abbiamo piccoli personaggi feudali che gestiscono quel che resta della politica. La fine dei partiti (perché i partiti sono finiti, non ci saranno mai più) è esattamente la fine di un certo accordo che c’era tra sindacato, imprenditori e partiti.
Perché è avvenuta questa svolta? La società è diventata più piatta, più orizzontale. Che cos’è l’autorità in una società piatta? In una società verticale era tutto più chiaro, coi politici che imitavano le gerarchie cattoliche. Quella roba lì non è più possibile: ce lo dice il Papa con estrema gioia e libertà. Faccio una domanda agli ospiti presenti: come fate a riprodurre l’autorità nelle vostre organizzazioni? Le imprese artigiane di una volta funzionavano diversamente: si riproduceva l’autorità familiare. Il Codice di Camaldoli è pieno dell’interpretazione di questo spirito. Questo è cattolicesimo: guardare la realtà in modo integrale. Non è una visione individuale: è una visione personale, e la persona è un nodo di relazioni. Camaldoli veniva dopo Malines in Belgio. Oggi una nuova Camaldoli va fatta a livello europeo, a livello italiano non ha più senso. Il grande dibattito attuale è se l’Europa sarà un super-Stato o un’unione politica: io sono per un’unione politica; l’idolo statale non lo voglio più, così come non mi interessa una visione del mercato capitalista (eredità della cultura fascista e comunista).
Su quale assunto può crescere ancora la nostra nazione? La nazione è un sentimento, il sentimento di un popolo, a differenza dello Stato. I cattolici sono sempre stati interessati al popolo e alla nazione. Il Papa ricorda sempre che siamo un popolo, e il riferimento cattolico è stato sempre il popolarismo, ciò che aiutava il popolo a crescere. Dobbiamo fare in modo che ci sia il popolo e che questo stia dentro la realtà.
Il futuro economico di questa nazione sta nella produzione di bene comune. Politicamente significa destatalizzare per socializzare, non per privatizzare. I beni comuni non sono privatizzabili: salute, educazione, acqua, trasporti, beni culturali non sono privatizzabili. La Storia ci ha insegnato che non è un bene statalizzare i beni comuni, dobbiamo inventarci nuove forme di produzione e governo dei beni comuni: questo è un ambito di sviluppo economico enorme.
Dalla nostra tradizione cattolica abbiamo imparato questo: integrare il piccolo col grande, il lontano con il vicino. Non c’è nessun politico da aspettare, nessuna Confindustria da aspettare, c’è solo uno spazio che ognuno di noi deve imparare ad abitare. Lì c’è uno spazio di innovazione clamoroso. Cominciamo col chiudere seimila municipalizzate in Italia: questo non vuol dire regalarle al capitalista di turno (come abbiamo regalato le autostrade, pezzi di ferrovia e di reti). In Italia ogni mezzo chilometro hai delle bellezze ambientali e monumentali incredibili: è lì che bisogna lavorare, è da lì che dobbiamo ripartire. Il problema è che non diventano valore, vengono cristallizzate o dentro la Chiesa o dentro lo Stato.
L’acqua è un bene comune, ma non deve essere della municipalizzata. Superare la sfera rigida delle separazioni economiche, sociali, che è stata la grande struttura post-illuministica fino alla grande crisi del 2008. L’illuminista ha separato le sfere: la politica coincide coi partiti e con lo Stato, l’economia coincide col mercato di natura capitalistica.
Ultimo punto: come abbiamo costruito il valore finora non basta più. Non si tratta più solo di un valore monetario. Dobbiamo costruire nuove forme di alleanza: non solo alleanza tra diversi in uno stesso luogo ma alleanza tra luoghi diversi.
N.B. Il documento fu elaborato al termine di una settimana di studio tenutasi dal 18 al 23 luglio 1943 nel monastero di Camaldoli nel reatino. Vi parteciparono circa cinquanta giovani dell’Azione Cattolica Italiana e dell’Istituto cattolico di attività sociale. Nessuno dei firmatari era presente in rappresentanza di enti religiosi o politici: ciascuno dei partecipanti ne assunse la responsabilità a titolo personale.
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