Mondo

AFRICA: un ministro spiega lo sfascio

Intervista-denuncia a un leader in esili:Rodger Chongwe.

di Angelo Ferrari

La mia storia è quella di un ?globalizzato?»: esordisce così Rodger Chongwe, 65 anni, ex ministro dello Zambia, dal 1999 in esilio. «Sono nato e cresciuto in Zambia, educato in Australia, avvocato in Zambia, divenuto ministro sono stato trafitto da una pallottola di AK 47 russo (o G 3 belga?) dall?esercito presidenziale del mio Paese, addestrato probabilmente da servizi segreti israeliani assoldati e pagati da un dittatore violento e corrotto. Vivo in Australia, in esilio. La globalizzazione c?entra qualcosa, forse. Ma poi le decisioni peggiori sono prese sempre, coscientemente, dai nostri politici, dai nostri leader ». Chongwe è un testimone privilegiato dell?apocalisse vissuta da un continente. Ma ha la freddezza per esaminarne tutte le cause, senza seguire teoremi e senza scaricare responsabilità. «Prendete per esempio l?Aids. Tanti nostri leader hanno negato per anni l?emergenza, dicendo che era un?invenzione dell?uomo bianco, negando l?accesso all?informazione, alle cure, all?educazione della gente. L?Occidente non c?entra nulla, qui è una questione totalmente africana». Vita: L?Africa si trova in uno stato di disgregazione, povertà e crisi e, inoltre, è stata marginalizzata dal processo di globalizzazione. Non c?è programma di aiuti che possa funzionare senza l?integrazione dell?Africa nei mercati globali. Lei è d?accordo? Rodger Chongwe: La globalizzazione non è un fenomeno recente in Africa. Fa parte del suo dna anche prima della colonizzazione, basti pensare ai flussi commerciali tra Europa e Africa nei secoli. Il problema sta nell?approccio attuale alla globalizzazione, che trova origine nella dottrina economica popolarizzata dalla Thatcher e da Reagan negli anni 80 e diffusa globalmente dopo la caduta del muro di Berlino. Perché? Perché molti Paesi africani, anche durante il periodo coloniale, hanno vissuto esperienze di governo centralistiche, di stampo interventista, e hanno formato intere classi politiche e dirigenti su quel modello. Pretendere che in pochi anni tutto questo bagaglio, questo impianto culturale possa essere convenientemente dimenticato e rimpiazzato da una leadership liberista e ?internationally minded?, non è possibile. Vita: In Africa i governi coloniali hanno creato le prime industrie e compagnie parastatali e molti governi post coloniali (nati dopo gli anni dell?indipendenza) hanno ereditato questo modello e, soprattutto, l?intero sistema burocratico-culturale a esso associato. Alcuni Stati, poi, hanno fatto un passo avanti nazionalizzando, sotto l?influenza sovietica, anche le poche imprese ancora nelle mani dei privati. Altri, invece, hanno mantenuto un allineamento strategico pro occidentale, come Kenya, Botswana, Malawi, Nigeria, Senegal e altri. Chongwe: è con la caduta del muro di Berlino che molte economie africane pro socialiste entrano in crisi, senza il sostegno dei partner tradizionali, con elevati debiti nei confronti delle istituzioni finanziarie internazionali. Vengono prescritte ricette standard in modo da assicurare l?allineamento con le economie occidentali: ristrutturazione delle economie, prestiti dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale, privatizzazioni, arresto totale dei sussidi dello Stato per i servizi di base, sanità ed educazione. è questo, ora, il modello prevalente, la panacea per i mali del Terzo mondo. In questo contesto e in queste forme, però, questa globalizzazione non avrà successo in Africa. Voglio lanciare una provocazione: si dice che la tratta degli schiavi dall?Africa sia un esempio eclatante di un?impresa globale di successo. Vero, dalla prospettiva del business. Ma è anche un esempio di come un business di successo si sia tradotto in un incubo per un intero continente. Vita: Non pensa che l?Africa abbia un bisogno disperato di trovare soluzioni proprie ai problemi che l?affliggono? Chongwe: Questo è un sogno, un?illusione. No, non è possibile o, almeno, non è più possibile farlo in maniera lineare, attraverso un processo di rifondazione completa, perché l?Africa è presa, imbrigliata nella rete di rapporti internazionali ed è costretta a coesistere con altri Paesi, altre realtà. Tuttavia, ci sono passi indispensabili e necessari che i leader e i governi africani possono e devono assolutamente fare: il rispetto dei diritti umani, la costruzione di società e istituzioni che rispettino i processi democratici e il buon governo, l?applicazione della legge. Solo dopo aver costruito queste fondamenta, si può parlare di sviluppo economico dell?Africa. Purtroppo, i Paesi donatori, attraverso i loro programmi di aiuti e cooperazione, traducono questa necessità in condizioni legate all?esborso degli aiuti. Nulla di più sbagliato, perché ciò induce comportamenti difensivi da parte dei governi, che si sentono minacciati e vivono la democrazia, i diritti umani e il rispetto della legge come imposizioni occidentali e non come principi universali imprescindibili e irrinunciabili. è un fine meccanismo psicologico, che va capito e gestito con responsabilità. Se mal gestiti, questi processi possono anche generare ulteriori mostri e paradossi: nel recente passato, molti leader africani hanno sfruttato le opportunità offerte dalla combinazione tra aiuti e condizionalità legate al rispetto dei diritti umani e democrazia. Il gioco è semplice: evitare che il dibattito su democrazia e diritti umani sia un dibattito popolare, trasparente, diretto, e usare concetti quali la sovranità nazionale e l?indipendenza. Per mantenere il processo sotto controllo, diluendo al massimo le riforme facendo capire ai Paesi donatori che il legame tra diritti umani e cooperazione può essere pericoloso e destabilizzante per lo sviluppo, la sicurezza e la stabilità del Paese. In pratica, ottenere il massimo aiuto con il minimo sforzo, per mantenersi al potere con la proprie élite. E qui sta il vero punto: evitare che gli aiuti divengano meccanismi per legittimare governi corrotti e dittatoriali. Vita: è quindi una questione di leadership? Chongwe: Sì. Oggi siamo di fronte a tanti leader protetti dalla propria posizione di autorità, che adorano il caos, e la confusione genera opportunità di corruzione e di arricchimento personale e, quindi, non intervengono, non cercano soluzioni per i propri Paesi e si rivolgono ai ?medici universali? (i Paesi del Nord, il Fondo monetario, la Banca mondiale) che applicano ricette standard e cure uguali per tutti. E, purtroppo, queste istituzioni internazionali sono costrette a operare, per ragioni di facilità e convenienza, con i governi al potere. Non solo, più i governi sono autoritari e più garantiscono le riforme richieste dalle istituzioni finanziarie. è un paradosso che porta alla legittimazione di forme autoritaristiche di governo. Vita: C?è una drammatica scarsità di servizi essenziali in Africa. Acqua, sanità, cibo, educazione, igiene non sono più garanzie automatiche. Esistono ragioni interne (buon governo) ed esterne. Che ne pensa? Chongwe:Le ragioni vanno cercate altrove. Pensate ad alcuni dati: la popolazione africana è cresciuta stabilmente ad un tasso maggiore del 3 per cento per oltre 30 anni e questa crescita non è stata corredata da una crescita economica equivalente, quindi i servizi hanno subito un?erosione in quantità e qualità. A ciò va aggiunto un dato: fino a una decina d?anni fa, i servizi pubblici erano gratuiti e statali, ora no. L?acqua è privatizzata, e così elettricità, sanità ed educazione. Chi può pagare, quando in un Paese come Zambia o Kenya oltre il 50 per cento della gente vive al di sotto della soglia di povertà? Chi può pagare, quando in Zambia la Banca mondiale impone riforme che prevedono l?introduzione di ticket per la sanità e l?educazione? Chi può pagare quando, sempre in Zambia, il processo di privatizzazione delle compagnie parastatali (che detenevano fino a 10 anni fa l?85per cento dello stock patrimoniale zambiano), ha comportato il licenziamento del 50 per cento degli impiegati? Il Fmi dice ai governi di ridurre il debito pubblico e mettere uno stop alle emissioni di Bot, Cct e altre forme di credito pubblico. Lo Zambia introduce il ?cash budget? nel 1993, il che ha significato che tutta la spesa pubblica doveva essere pagata con i liquidi a disposizione, senza crediti pubblici. La mancanza di liquidità, cronica nei nostri Paesi, ha sistematicamente determinato un arresto totale dei servizi pubblici perché le autorità e le utenze pubbliche non potevano pagare forniture e servizi. Quindi, l?intero sistema di servizi pubblici ha subito un alt irreversibile, con un collasso completo delle infrastrutture. Per porre rimedio a tutto ciò, i governi si sono indebitati con Fmi e Banca mondiale, che hanno imposto l?introduzione di tariffe commerciali per i servizi pubblici in un contesto nel quale tali tariffe sono fuori dalla portata della gente comune. Risultato? Si muore di più, ci si ammala di più, l?economia è in crisi, ci si educa di meno: è la fine di un Paese e della sua identità. Ripetete questo scenario per decine di Paesi in Africa, solo con qualche eccezione, e avete il quadro completo. Vita: Per decenni i Paesi africani hanno vissuto, dunque, con interventi e sussidi statali, povere infrastrutture e servizi evanescenti. Questo nonostante l?Africa possieda risorse naturali inestimabili, sfruttate da multinazionali e governi corrotti. è un quadro veritiero? Quali sono le conseguenze? Chongwe: Non è vero per tutta l?Africa. Molte economie non sono state mai sotto controllo statale, solo alcune. Le multinazionali hanno sfruttato, ma anche creato, talvolta, ricchezza e impiego, anche se con processi discriminanti per la forza lavoro africana. Le generalizzazioni, quindi, sono pericolose. Penso che vi sia la necessità di porre attenzione all?intricata e complessa rete di relazioni che esiste tra le multinazionali e i leader africani, che hanno la responsabilità di proteggere e tutelare i propri cittadini, e tra le multinazionali e i paesi donatori nel grande gioco degli aiuti internazionali. Una chiave di lettura può essere questa: capire e svelare gli interessi delle multinazionali nel processo di privatizzazione delle economie africane, processo sostenuto e fortemente voluto da Banca mondiale e Fondo monetario internazionale. Di certo, la ricetta delle privatizzazioni e la loro implementazione da parte dei governi africani sono state realizzate con zelo unico, ma non in base a una promessa del paradiso o di una miglior vita nell?al di là, di questo ne sono sicuro. L?agricoltura in Africa è un altro capitolo da valutare attentamente. Ovunque, nel nostro continente, la pratica agricola è largamente di sussistenza. Ora, agli agricoltori africani viene data la possibilità di esportare i propri prodotti, di cimentarsi nei mercati internazionali, di competere, ad esempio, con i mercati cerealicoli europei e statunitensi. Come? Con quali capacità? Con che supporto, se confrontato con i sussidi europei? Con che infrastrutture? C?è un altro aspetto da valutare: ricordiamoci che la privatizzazione delle compagnie precedentemente nazionalizzate ha comportato un quasi sistematico riacquisto da parte dei proprietari originali. Questo è il caso della Zccm zambiana, fondata dalla Anglo american corporation, nazionalizzata e poi rivenduta alla Anglo american nel 1999 per una cifra ridicola. C?è una verità che emerge: è in atto una ricolonizzazione del continente, anche in base alla mancanza endemica di capitale africano. Questo garantirà lo sfruttamento delle risorse a chi ha il capitale, quindi agli stranieri, il che esclude ed escluderà ogni partecipazione e godimento da parte della popolazione locale. Vita: C?è un mondo a due velocità. Il primo non vuole rallentare e attendere. Che ne pensa? Chongwe: Dal punto di vista economico, il mondo sviluppato non sta crescendo a ritmi velocissimi, anzi, è vero il contrario, alcune economie europee crescono a tassi inferiori al 3 per cento. Tali economie però creano impiego, mantengono il proprio patrimonio e creano un ambiente proficuo allo sviluppo delle proprie popolazioni. C?è, dunque, un elemento calmierante e socialmente responsabile nella maggior parte delle economie europee.Veniamo al mio Paese, lo Zambia: nel 1995 l?economia è cresciuta del 4 per cento, un record storico, ma senza alcuna conseguenza per lo zambiano medio alle prese con servizi assenti, stipendi da fame, tasse esorbitanti. è una questione di come si misura l?intero sviluppo del Paese e non solo il suo Pil o la sua inflazione. Un altro esempio: in Papua Nuova Guinea le autorità hanno pubblicizzato infinite rivalutazioni della propria moneta, un caso di orgoglio nazionale. A che scopo, quando non si riescono a pagare i salari dei dipendenti pubblici? Allora diciamola tutta: forse la globalizzazione, così come è concepita oggi, non è altro che una vendita, senza barriere, di risorse naturali a basso prezzo e di manufatti prodotti da lavoratori sottopagati. La differenza tra basso costo e costo di vendita nei Paesi sviluppati è definita valore aggiunto, dove il valore si raggiunge con mere transazioni commerciali.


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