Salute

Battere l’Aids in Africa? È questione di rispetto.

Il punto sulla campagna del Cesvi a favore dei neonati sieropositivi. da Harare (zimbabwe), Claudia Gandolfi*.

di Redazione

All?ospedale Saint Albert ho visto Takunda, il primo neonato salvato dall?Aids grazie al progetto Cesvi. È un bellissimo bambino, pesa quasi sette chili e sorride; da pochi giorni ha iniziato a prendere il latte artificiale, che sembra tollerare bene, ed è molto vorace. Anche la madre sembra in buona salute; l?unica nota triste è che il padre sembra scomparso, si è allontanato per lavoro, come ha già fatto in passato, ma ormai sono mesi che non si fa vedere; la moglie gli ha scritto a un indirizzo dove dovrebbe essere rintracciabile ma lui non ha mai risposto; è al corrente dello stato di sieropositività della donna e probabilmente questo lo ha fatto fuggire, anche se quasi sicuramente è lui il responsabile del contagio. È importante far conoscere anche questi risvolti della lotta all?Aids perché ci fanno capire quanta ignoranza e discriminazione ancora ci sia; specialmente la donna paga un prezzo molto alto, si trova in posizione di inferiorità sia culturale (la scolarizzazione è inferiore per le ragazze) sia economica (spesso dipende dal partner), inoltre è costretta a subire rapporti sessuali non protetti anche in giovane età, prima del matrimonio, da uomini più anziani e quindi già infetti. Quanto all?attività dell?ospedale, le donne testate sono 300, di cui il 25 per cento è sieropositivo. Abbiamo iniziato a dare il latte artificiale ad alcuni neonati trattati con nevirapina, e qui abbiamo incontrato qualche problema. Il nostro timore infatti è che le mamme continuino a dare il loro latte, oltre a quello in polvere, ai bambini, per paura di essere scoperte sieropositive dalla comunità per l?abbandono precoce dell?allattamento al seno, che qui prosegue fino a 18-24 mesi. L?allattamento misto però è pericoloso perché aumenta il rischio di trasmissione del virus. Ricevo sempre molte domande su questo argomento e cerco di spiegare in modo semplice perché l?allattamento misto è da evitare assolutamente. Il latte in polvere, come quello fresco di mucca e di altri animali, contiene proteine diverse da quelle contenute nel latte di mamma, che causano delle piccole lesioni a livello della mucosa intestinale del bambino; questo non causa danni in un neonato non a rischio, ma la mamma sieropositiva nel suo latte contiene il virus che, attraverso queste ferite, può penetrare più facilmente nel sangue del bambino e quindi infettarlo. Dobbiamo evitare in ogni modo che ciò avvenga. Per questo abbiamo deciso di far effettuare un controllo stretto, a domicilio, da parte dei counsellors che informeranno le mamme del pericolo che corre il loro bambino in caso di allattamento misto, e che dovranno verificare che l?allattamento materno sia terminato esaminando il seno della mamma per verificare se c?è o no ancora produzione di latte. Nel caso in cui ci sia ancora latte, la mamma verrà invitata a interrompere immediatamente l?allattamento al seno; se ciò non avvenisse, le verrà sospesa la fornitura di latte artificiale. Queste sono difficoltà inevitabili quando ci si misura con realtà culturali diverse dalle nostre. Volevo condividere con voi alcune riflessioni che mi sono trovata a fare in questi giorni mentre seguivo il convegno nazionale sulla prevenzione della trasmissione verticale del virus Hiv qui ad Harare. A parte i contenuti scientifici, il convegno è stato per me interessante perché affrontava i problemi legati all?epidemia Hiv nel contesto culturale del paese, ricordando che non si possono cambiare le abitudini e i costumi di un popolo. Noi occidentali spesso pensiamo di poter riprodurre i nostri modelli e non riusciamo a emanciparci dai nostri pregiudizi (ma non è una forma di colonialismo anche questa?) per cui su un argomento così delicato come la prevenzione di una malattia che coinvolge la sfera affettiva e sessuale della persona ci pronunciamo suggerendo rimedi improponibili in questa società quali l?astinenza e la sterilità. Il convegno si è chiuso appunto con questa affermazione: «Nella società africana lo stigma di non avere figli è peggio dello stigma di avere l?Aids». Info:www.cesvi.org *pediatra, responsabile del progetto Cesvi in Zimbabwe


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