Cultura

Papa Francesco, ma come parli?

In 7 mesi di pontificato nei suoi discorsi “ufficiali” ha pronunciato 106 mila parole. Vita le ha analizzate una per una, ricostruendo l’abicì di questo papa che, attraverso un sottile e intelligentissimo uso della “parola giusta al momento giusto”, sta cambiando l’alfabeto della Chiesa

di Redazione

Tanti verbi di moto a luogo: andare, camminare, incontrare.  Pochissime, anzi quasi nessuna, parola di condanna: i termini “castigo” e “punire” non sono mai stati pronunciati in sette mesi di pontificato. “Noi” sta in cima alla top ten dei pronomi, pronunciata 623 volte, mentre “io” è inchiodato a 166. Altra parola da record, “tutto/tutti”, usato 963 volte.  “Gesù”, nome proprio e familiare, torna 751 volte, il più teologico “Cristo” 417”. E abbiamo continuato così per centinaia e centinaia di pagine di discorsi, pronunciati tra udienze, Angelus, prediche, discorsi nei viaggi, discorsi in Santa Marta, a fare il conto della ricorrenza delle parole pronunciate da papa Bergoglio.

«Le parole di Papa Francesco hanno questa caratteristica: fanno corpo con il personaggio. Dicono tanto, quasi tutto di lui. Ne scolpiscono la figura, agli occhi del mondo, non solo di chi crede», scrive Giuseppe Frangi, direttore di Vita e autore di questa analisi/commento – cover story del numero di novembre, in edicola da venerdì 8 – che prova a raccontare come attraverso l'arma più innocente, la parola Bergoglio sta ridisegnando la geografia teroica, ma anche molto molto pratica, della Chiesa.

Quel che nettamente Francesco non vuole nella “sua” chiesa sono le “chiacchiere”, parola che ritorna spesso e sempre con connotazione fortemente negativa. «Su “chiacchiere” e “lamentela” invece il Papa ritorna molto spesso, nella sua offensiva contro il “cattivo parlare”. Quindi la frequenza delle ricorrenze, in questo caso, è del tutto insolita (rispettivamente 42 e 37). Un’offensiva senza sconti, tra le più emblematiche del suo parlare, che tocca tutti i campi del vivere, dai vertici della Chiesa all’ambito domestico. Sintomo di cattiveria: «La chiacchiera è uno “spellare” l’altro»; addirittura di sadismo: «non so perché c’è una gioia oscura nella chiacchiera»; sintomo anche di tradimento: «facendo di una persona un oggetto di chiacchiericcio, la si tratta come una mercanzia, viene venduto al mercato del pettegolezzo. Era accaduto anche a Gesù» (Santa Marta, 3 aprile). La “chiacchiera” è nemica della virtù più bella della comunità la “mitezza” (altra preziosa notazione linguistica di Francesco), perché agisce sottobanco. Mina le relazioni, parlando non al diretto interessato, ma «a tutto il quartiere». È il vizio di immischiarsi nelle vite degli altri».

Ma l'approfondimanto analizza anche quegli elementi che vanno al di là delle parole. Per esempio, l’uso della punteggiatura, e anche qui escono perle interessanti. «I segni d’interpunzione non sono parole, ma la frequenza a mitraglia dei punti di domanda, li fa diventare dei significanti pregni di significato, né più né meno di una parola. Francesco procede sempre per domande. Incalza con domande, se stesso e chi lo ascolta. È un artificio retorico per scandire meglio il suo discorso, renderlo più facile alla memoria di chi ascolta. I punti interrogativi sono 614, prediche di Santa Marta escluse. La domanda è sempre un invito a mollare le sicurezze acquisite e ad andare in campo aperto. In sostanza la domanda non prepara una risposta ma un percorso».

L’analisi completa del lessico di papa Francesco, le tabelle statistiche delle ricorrenze e il loro commento sono nella storia di copertina del numero di novembre di Vita, dal 7 novembre in edicola e in abbonamento.

Con tre analisi di tre commentatori d’eccezione: lo scrittore Eraldo Affinati, il vaticanista Andrea Tornielli e il sociologo Aldo Bonomi.

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