Welfare
Save the children: A Lampedusa non ci sono minori orfani
Intervista a Viviana Valastro, responsabile protezione minori migranti dell'ong, che indica: "sia i minori non accompagnati che le famiglie con bambini, eritrei e siriani, vogliono andare da parenti all'estero. A beneficio di tutti bisogna trovare un modo per cambiare l'impasse del sistema attuale"
“A Lampedusa non ci sono bambini stranieri rimasti orfani. I sei casi segnalati dall’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati dell’Onu, dovrebbero avere rintracciato i propri genitori, ora a Malta”. Si apre con questa importante precisazione, dato il tam tam di voci degli ultimi giorni con decine di persone interessate all’eventuale adozione, la fotografia della situazione attuale dei minori sull’isola raccontata da chi sta in prima linea, ovvero Viviana Valastro, responsabile protezione minori migranti dell’ong Save the children Italia. Se alla sera di ieri 28 ottobre le presenze nel Cspa, Centro di soccorso e prima accoglienza, di Contrada Imbriacola, erano 657 (a fronte di una capienza massima di 250), tra cui 69 minori con le loro famiglie, per lo più da Siria ed Eritrea, e 13 minori non accompagnati, “rimangono ancora nel centro di accoglienza per minori non accompagnati di Caltagirone 17 dei 41 ragazzi eritrei sopravvissuti alla strage dello scorso 3 ottobre”, specifica Valastro, in queste ore a Roma per un summit tra ministero dell’Interno, prefetture e associazioni che si occupano del primo intervento dopo gli sbarchi e del monitoraggio dei Centri (Oim, Unhcr, Croce rossa italiana e, appunto, Save the children Italia).
Dove sono stati trasferiti gli altri 24 minori non accompagnati sopravvissuti all’ultima tragedia e quelli che sono arrivati nei giorni successivi?
Tutti i minori superstiti sono stati trasferiti nella struttura di Caltagirone, mentre gli altri presso comunità siciliane e di altre regioni, stabilite caso per caso dall’Ufficio minori della Questura di Agrigento, che ha la competenza in merito. Il fatto che essa riesca a trovare una seconda sistemazione in tempi relativamente brevi è una novità positiva che nasce anche dal recepimento della nostra proposta di non limitare la ricerca di un alloggio alle province della Sicilia, come avveniva fino a poco fa, ma di trovare posti in comunità anche extraregione. Così non sta avvenendo in altre province, dove persistono situazioni di estremo disagio come a Priolo, nel siracusano, dove rimangono in attesa di collocamento in comunità 107 minori non accompagnati, numero del tutto eccessivo rispetto alla struttura che tuttora li ospita.
Come vengono trovate le strutture di seconda accoglienza?
Tramite una ricerca capillare ma per ora ancora troppo poco informatizzata. Abbiamo richiesto già da tempo, anche attraverso la proposta di un disegno di legge, la creazione di una banca dati in costante aggiornamento, ma per ora ne esiste solo una versione sperimentale in alcune province, e questo è un problema perché nonostante i miglioramenti rimangono ancora situazioni che vanno molto per le lunghe. La lotta contro il tempo è la vera questione aperta per quanto riguarda il futuro di questi ragazzi: anche perché succede che si sprechino energie a trovare una struttura ad hoc quando poi la permanenza del minore è spesso di pochi giorni, perché fugge per raggiungere i propri parenti fuori dall’Italia.
Anche i minori non accompagnati non vogliono rimanere in Italia?
La quasi totalità dei minori non accompagnati eritrei ha parenti altrove, alcuni anche in Canada o negli Stati Uniti. Il loro unico obiettivo è raggiungerli, anche perché spesso tali persone si sono sistemate e hanno le risorse economiche per accoglierli. Invece i minori si trovano bloccati nel nostro paese, a causa di tempi burocratici che spesso raggiungono anche l’anno di attesa. E’ la fuga, e la conseguente sparizione di questi ragazzi, l’emergenza più forte da risolvere, è qui che la politica europea deve trovare una soluzione al più presto, perché se essi vogliono raggiungere altri paesi ma invece vengono forzati a rimanere in Italia il problema è di doppia gravità. Lo stesso discorso, tra l’altro, vale per i bambini e le famiglie siriane oggi in attesa nel Cspa.
Sono proprio nel Cspa, il Centro di Contrada Imbriacola di cui in questi giorni (vedi intervista a lato) si denunciano le condizioni di vita proibitive?
Sì. Uno dei pochi aspetti positivi in questa situazione insostenibile è che grazie alla Caritas locale abbiamo allestito uno 'spazio a misura di bambino', due tende poste nel piazzale antistante la casa parrocchiale e durante il giorno almeno 30 tra bambini e genitori possono passare ore in compagnia di educatori, mediatori culturali e volontari o anche solo stare in tranquillità dimenticando per un attimo l’angoscia del momento e riacquistando la dimensione genitoriale. Dei 69 minori oggi presenti al Cspa con le loro famiglie, 59 sono arrivati tra il 24 e il 25 ottobre, e le previsioni sono che tale numero sia destinato ad aumentare nei prossimi giorni. Per questo, ribadisco, è urgente prendere atto della loro situazione: nei centri dove man mano vengono inviate, queste famiglie rimangono spesso meno di 48 ore, perché vogliono raggiungere parenti altrove. Hanno legami forti in altri paesi, perché non facilitare il passaggio verso quei luoghi piuttosto che entrare nel circolo vizioso della difficoltà attuale dell’accoglienza italiana?
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