Welfare
Padre Solalinde, Lampedusa come la frontiera messicana
L'animatore dell'ostello per immigrati Hermanos en el Camino è in Italia ospite di Amnesty international: «Lavorare con i migranti non è un atto assistenziale, è un'avventura, perché camminare con loro ti trasforma e ti fa cambiare il modo di vedere le cose»
di Serena Carta
Ciudad Ixpetec, stato di Oaxaca, sud del Messico. È qui che Padre Alejandro Solalinde ha aperto l'ostello Hermanos en el Camino, dove trovano riparo e accoglienza i migranti che da tutto il Centro America attraversano il Messico nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti alla ricerca di una vita migliore. In Messico però proteggere i migranti è un'attività pericolosa. Padre Solalinde è stato attaccato e minacciato di morte numerose volte, ma nonostante tutto resiste. La sua è una di quelle di storie che non si dimenticano, che rimangono impresse nella memoria come le fotografie della “Bestia”, il treno merci carico di donne, uomini e bambini che dal Guatemala, il Salvador e l'Honduras intraprendono uno dei viaggi più pericolosi al mondo per uscire dalla miseria. Padre Solalinde è stato in visita a Torino ospite di Amnesty International; nel 2010 l'associazione ha lanciato una campagna per denunciare la violenza subita dai migranti nel loro viaggio attraverso il Messico, mentre dal 2011 chiede alle autorità messicane di fornire al Padre e ai suoi collaboratori una protezione efficace contro le minacce. Vita ha incontrato e intervistato Padre Solalinde nella cornice della mostra fotografica “Vittime invisibili, il viaggio dei migranti in Messico” presso la Biblioteca civica centrale di Torino.
Padre, come mai ha deciso di occuparsi dei migranti?
Lavorare con i migranti non è un atto assistenziale, è un'avventura, perché camminare con loro ti trasforma e ti fa cambiare il modo di vedere le cose. Vederli passare da casa tua non è come salire sul treno e viaggiare con loro. E' quando intraprendi questo viaggio che la tua vita cambia completamente: sperimenti la fame, sperimenti la sete e vivi sulla tua pelle il senso di insicurezza che provano. Quando io stesso sono salito sul treno, parlavo con i rappresentanti delle bande criminali così come con le donne e gli uomini in cerca di un lavoro onesto. Questa esperienza mi ha insegnato a relazionarmi con loro senza nessun pregiudizio. Così ho imparato che le cose non possono distinguersi tra bianco e nero: chi riteniamo buono è capace di ammazzare, mentre chi crediamo cattivo è capace di fare delle grandi azioni. Sul treno ti senti completamente indifeso, se arriva un criminale sei privo di qualunque protezione. Quindi devi imparare, come loro, a confidare e ad abbandonarti nelle mani di Dio.
Il treno che porta i migranti negli Stati Uniti è conosciuto come la “Bestia”. Perché questo nome?
Il treno non è una bestia, è stato uno strumento di comunicazione e trasporto importante che ha riunito molte città, favorendone lo scambio culturale. Siamo noi che lo abbiamo fatto diventare una bestia, usandolo male. I migranti viaggiano sul treno saltando sopra i vagoni carichi di merci, attaccati ai mancorrenti. Ora, per rendere più difficile il viaggio e impedire ai migranti di sfuggire a un'operazione di polizia, il governo ha sostituito i treni di una volta, dai tetti piatti, con treni dai tetti spioventi; inoltre, ha ridotto le dimensioni delle maniglie di metallo che servono alle persone per aggrapparsi e non cadere e ha impedito che le scalette collegassero i vagoni con i tetti. Tutto ciò ha reso il trasporto ancora più precario e pericoloso. Anche i cartelli contribuiscono a rendere il treno una bestia. Quando lo assaltano, per esempio, chiedono a ciascuna persona di pagare 100 dollari per un tratto di qualche centinaio di km. Chi non paga viene buttato giù dal treno.
Lei ha aperto un centro per migranti a Ixpetec, un punto di passaggio obbligato per i migranti in viaggio verso gli Stati Uniti. Che cosa rappresenta per lei questo luogo?
Oltre ad essere ostello e centro di accoglienza come tanti altri, il mio centro è un osservatorio. Un osservatorio che ci permette di guardare l'umanità come se avessimo un microscopio. Un ostello d'altra parte è un concentrato di umanità: non solo perché le persone arrivano da diverse culture e tradizioni, ma perché le storie di ciascun migrante ti parlano di specifiche condizioni. Queste storie ti raccontano ad esempio come si stanno comportando i governi e le chiese – cattoliche ed evangeliche – nei loro confronti; allo stesso tempo ti svelano quali sono le conseguenze del sistema neo-liberale capitalista e cosa sta succedendo in Centro America. Quando i migranti arrivano all'ostello, è anche interessante vedere la reazione dei volontari. Insomma, questo osservatorio ti permette di cambiare punto di vista. E vi assicuro che basta trascorrervici qualche giorno per non essere più la stessa persona.
Chi sono le persone che vivono intorno al suo centro e come reagiscono all'arrivo dei migranti?
L'ostello ti permette di osservare anche questo, qual è la sua relazione con il mondo esterno. Scopri immediatamente che nei dintorni ci sono villaggi poveri e che nella città di Ixpetec vivono molte persone indigene arrivate dalla montagna e tante altre che risiedono lì da tantissimi anni. Alcuni sono cristiani evangelici protestanti, altri sono cattolici. Ma è poco importante questa differenza, perché la reazione è la stessa: c'è' xenofobia e rifiuto dei migranti. Per questo mi chiedo cosa serve che la Chiesa cattolica organizzi messe su messe, quando i sacerdoti non sono capaci di formare la gente alla conoscenza e all'accettazione degli altri. Questo è un argomento che mi addolora molto. E' già da molti anni che vivo in questa città e ammetto che sarebbe stato l'ultimo luogo che avrei scelto. Ma non avevo scelta: è lì che passano i treni con i migranti, e lì doveva aver sede la mia missione. Se i migranti sono stati rifiutati dalla maggioranza, a me è toccata la parte peggiore. Il fatto di avere aperto l'ostello a Ixpetec ha portato alcuni sindaci a ordinare di picchiarmi, di mettermi in carcere e, nel caso peggiore, di venire direttamente all'ostello per dargli fuoco. Approfittando dell'ignoranza delle gente è stato creato un ambiente terribile e ostile contro di me e i miei collaboratori. Adesso le cose sono cambiate un po', ma ancora oggi sono sotto scorta e questo mi dispiace moltissimo. In particolare, mi dispiace non sentirmi libero di camminare tra la gente, essere separato da loro e avere paura.
Qual è il messaggio che vorebbe lanciare ai cittadini di Lampedusa, impegnati ad accogliere i migranti sempre più numerosi e disperati?
Innanzitutto direi all'Europa, agli Stati Uniti, al Messico e a tutti i paesi del mondo che in questo momento stiamo soffrendo una crisi di disumanità. Amiamo più il denaro delle persone e questo ci fa cadere nella solitudine. Dobbiamo renderci conto che i migranti arrivano non solo per lavorare, ma anche per costruire relazioni con le persone. Noi, dal canto nostro, siamo impegnati a comprare e ad accumulare cose. Ma la vita è molto corta e la dobbiamo sfruttare per stare con le altre persone, perché questo è l'unico modo per vivere una vita dignitosa dato che “dall'altra parte” non possiamo portarci niente. Quindi la vera ricchezza che abbiamo è quella di essere disponibili ad aprirci agli altri, condividendo le nostre esperienze e relazionandoci con gli altri.
In copertina la foto una foto di Carolina Lucchesini
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