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Risparmiare in sanità si deve e si può
Inutile innalzare barricate ideologiche in difesa di un sistema sanitario che, così com’è concepito, non è difendibile. Piuttosto guardiamo avanti, e pensiamo ai vantaggi che l’alleanza tra pubblico e non profit porta al sistema. La riflessione di Raffaella Pannuti, presidente di Ant
In questi giorni si alzano voci allarmate di tagli alla sanità, prima fra queste il ministro Lorenzin. Sinceramente non capisco dove stia la novità e la sorpresa. Sono anni ormai che si ha uno scenario abbastanza chiaro di quali sono i punti deboli del nostro servizio pubblico e quali possono essere le soluzioni per un futuro sostenibile.
Due sono i punti chiave per cominciare un’analisi oggettiva della realtà.
- Il sistema pubblico è al collasso, non c’è denaro a sufficienza per finanziare tutti i servizi
- La popolazione italiana è sempre più anziana e questo comporta un aumento delle patologie con cui si deve convivere (cancro, malattie neurodegenerative, malattie cardiovascolari, ecc.)
Per semplificare, ma anche per affrontare meglio il problema, possiamo concettualmente dividere la sanità in tre ambiti.
Il primo è la prevenzione: potenziare i progetti di prevenzione contribuirebbe a evitare ricoveri successivi, dai costi molto più elevati.
Il secondo ambito sono gli ospedali che devono possedere innovazione tecnologica ed elevati livelli di specializzazione che garantiscano una adeguata gestione delle emergenze e della fase acuta della malattia.
Il terzo punto è la gestione delle malattie croniche, ovvero la fase avanzata e avanzatissima delle malattie, che deve avvenire a domicilio, al fine di abbassare i costi fissi delle strutture di cure residenziali. L’assistenza a domicilio verte sul concetto di umanizzazione delle cure, che deve peraltro rimanere centrale in ogni contesto.
Con queste premesse possiamo affrontare il problema con maggiore semplicità, per giungere alla conclusione che la sanità – se gestita come è stato fatto sino ad ora – non può rispondere alle esigenze crescenti della cittadinanza.
Due sono i difetti concettuali alla base di questo sistema sanitario: il fatto di aver demandato alle regioni questi servizi ed aver così creato disparità enormi tra le varie zone d’Italia (a volte senza fare distinzione tra nord e sud – vedasi regione Lazio e regione Calabria). Il secondo vizio del nostro sistema sanitario è che l’assunto secondo il quale “sanità per tutti” debba per forza coincidere con “sanità pubblica” e non invece con “sanità integrata”, ovvero un misto di pubblico e privato, di pubblico e privato sociale.
Ciò che dobbiamo fare non è innalzare barricate ideologiche in difesa di un sistema sanitario che, così com’è concepito, non è difendibile e non ha speranze di rispondere ai bisogni dei cittadini, quanto avere il coraggio di fare tutti un passo indietro, a destra e a sinistra, e affrontare in modo diverso il problema.
Ritengo che la gestione della sanità debba ritornare in parte di pertinenza della stato centrale, sia per garantire un servizio davvero pubblico e davvero uguale per tutti, sia per sfruttare quelle economie di scala che, abbiamo visto, finora non sono state raggiunte.
Ritengo inoltre che il pubblico debba integrarsi davvero con il non profit per gestire alcuni servizi secondo criteri di qualità, di personalizzazione e – perché no? – di economicità, permettendo così di liberare risorse per altri settori strategici in sanità.
Vorrei fare un esempio pratico per dimostrare come un concetto teorico trovi un’applicazione estremamente concreta e risultati raggiungibili.
Come presidente della più grande organizzazione che si occupa di cure palliative domiciliari in Italia – seguiamo circa il 10% dei Sofferenti di tumore che vengono curati in regime di assistenza domiciliare – ho un osservatorio privilegiato in questo ambito.
Attraverso un sistema dedicato alle cure palliative si riescono ad evitare ricoveri impropri e sofferenze al Paziente e ai Familiari. Questo non comporta solo un miglioramento della qualità e della dignità di vita, ma anche un notevole risparmio per la Famiglia stessa e per il sistema sanitario pubblico.
Basti pensare che la presa in carico di un Sofferente di tumore alla nostra Fondazione costa circa 2.500 euro per 100 giorni, mentre una sola giornata in ospedale per un ricovero può costare, da sola oltre 600 euro.
Ecco quindi che mi permetto di dire che siamo stanchi di proclami, di dichiarazioni roboanti e scandalizzate sui tagli della sanità, ma chiediamo che il problema venga affrontato in modo serio e scevro da ideologie, prendendo finalmente in considerazione nuove strade di collaborazione con gli enti non profit che dimostrino serietà e criteri di efficienza ed efficacia tali da consentire un reale risparmio per l’ente pubblico, senza però mettere a repentaglio l’erogazione dei servizi.
Questo ci aspettiamo da politici che siano statisti, non gestori della cosa pubblica attaccati a una poltrona.
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