Mondo

La felice Odissea di cinque migranti

Emmanuel, Kara, Shahzeb, Rahamathollah, Waheedullah sono cinque richiedenti asilo. A Genova hanno sbancato il botteghino con uno spettacolo che reinterpreta il viaggio di Ulisse. L'intervista alla regista Laura Sicignano

di Francesco Mattana

Dai porti del Mediterraneo a Genova. Emmanuel, Kara, Shahzeb, Rahamathollah, Waheedullah: cinque minorenni che hanno vissuto l’Odissea nella loro pelle, provenienti da Paesi –Afghanistan, Pakistan, Nigeria, Senegal– che a vario titolo limitavano la loro libertà e li mettevano in pericolo.
 
Su sollecitazione di Valentina Traverso -tutore di alcuni minori stranieri richiedenti asilo ospitati nelle strutture genovesi Samarcanda  e Tangram– la direttrice del Teatro Cargo  Laura Sicignano ha permesso a questi ragazzi di mettersi alla prova in un laboratorio teatrale con l’attrice Sara Cianfriglia. Col tempo hanno imparato a carpire i consigli provenienti dalle loro insegnanti. 
 
Il risultato del loro impegno è Odissea dei ragazzi,  già presentato con enorme successo di pubblico in varie piazze (tra cui il prestigioso Teatro della Tosse). Il racconto omerico è solo un pretesto per raccontare un archetipo universale, comprensibile a tutti –il viaggio come ricerca interiore costante, finché si trova un approdo (Itaca) da cui ripartire per altre mete. Uno spettacolo fisico in cui si recitano poche battute e a parlare sono gli sguardi, i corpi elastici degli attori che si esprimono con forza e energia. 
Fondamentale è stato il contributo di Pashupatti, ragazzo italo- svedese- indiano che ha aiutato nella mediazione e traduzione e poi è andato in scena con loro.
Abbiamo incontrato la regista della pièce  Laura Sicignano. 
 
 
Raccontiamo il primo approccio con questi giovani
«Molto difficile. Anzitutto si tenga conto che non c’era la consapevolezza da parte loro di cosa fosse il linguaggio del teatro. Non dimentichiamo poi la difficoltà –da parte di chi proviene da una cultura improntata al maschilismo- di doversi rapportare con due donne (io e Sara) che ti danno delle indicazioni, ti spiegano quello che devi fare. Inoltre la barriera linguistica –una babele di sei lingue da cui estrapolare il nocciolo di un comune Esperanto». 
 
In quali forme si è manifestata la loro diffidenza iniziale?
«Nessuno di loro era mai entrato in un teatro prima. Alla domanda “Vi piace”, rispondevano “Bello, a cosa serve?”. All’inizio non riuscivano ad adattarsi alla situazione e ci provocavano in maniera infantile. Uno di loro una volta mi ruba una sigaretta dal pacchetto. Gli ho spiegato che in questi casi si chiede “per favore” e lui, sprezzante: “Le donne sono come sigarette”»
 
È stato difficile far capire l’importanza della disciplina a teatro?
«Gli abbiamo detto questo: a teatro potete essere folli e liberi come mai nella vostra vita. Ma ci sono delle regole a cui non si transige. È una palestra per il vostro corpo, la vostra intelligenza e le vostre emozioni. Un gioco di squadra, ma nello stesso tempo un lavoro. 
Questo è il vostro primo contratto: siete in paga e dovete rispettare delle regole. La vostra forza, potenza e bellezza sarà il lavoro che offrirete al pubblico».
 
 
Cos’è che a un certo momento ha fatto scattare il feeling tra di voi?
«Fondamentale il fatto di esprimerci con una comunicazione non verbale. Abbiamo trovato presto un codice di espressioni, gesti, emozioni per capirci, anche perché il materiale su cui abbiamo lavorato è umano, comune all’esperienza di tutti. Ognuno di loro è riuscito a trovare nell'Odissea le storie della propria vita, identificandosi  ora in Ulisse -viaggiatore abbastanza scaltro da salvarsi la pelle; ora in Telemaco, ragazzo messo in mezzo a una Storia più grande di lui».
 
 
Dopo aver conquistato il pubblico, hanno espresso il desiderio di fare ancora gli attori?
«Col teatro è stato amore a prima vista, e alcuni di loro stanno pensando seriamente di farne un mestiere. Non sarà facile, come del resto non è facile per chiunque in Italia voglia vivere di teatro».
 
Che vantaggio trarranno dall’esperienza vissuta a teatro?
«Dobbiamo seguirli nella procedura giuridica che li porterà di fronte alla Commissione Territoriale come richiedenti asilo, dobbiamo preoccuparci che arrivino pronti all'audizione, dovranno essere abili a raccontare ogni dettaglio del loro vissuto. Attraverso il filtro dell’Odissea hanno imparato a raccontarsi». 
 
Tra gli spettatori, c’è qualcuno che si è emozionato in maniera particolare?
«Ci ha fatto molto piacere una studentessa di Lettere antiche che, dopo aver visto lo spettacolo, ha deciso di fare la tesi di laurea sull’attualità di Odisseo. C’è stato un riscontro univoco, a una serata ha applaudito anche il ministro Kyenge. Attraverso la potenza dei corpi e degli sguardi dei protagonisti, questo spettacolo dà a chi lo vede un’incrollabile fiducia nel futuro».
 
 
Qualche spettatore che ha approfittato della vetrina per polemizzare contro i migranti?
«C’era un tale clima di gioia, di magia, di positività, di empatia tra attori e pubblico che nessuno si sarebbe permesso di protestare».
 
Dove andrà in scena lo spettacolo?
«Abbiamo una data fuori Italia al Festival Internazionale del Teatro di Lugano, poi una serie di tappe italiane nei prossimi mesi: Prato, Roma, Lecce, Satriano. Stiamo facendo di tutto per sbarcare anche a Milano».
 
E oltre all’Odissea?
«Sabato 5 ottobre è andato in scena al Teatro della Tosse “Compleanno afghano”, che ho scritto insieme a Rahamathollah, uno dei cinque ragazzi. Il 22 ottobre al Teatro del Ponente debutterà Bianco e nero, con protagonista Emmanuel. La domanda che ci poniamo in quest’ultimo spettacolo è attuale e universale al contempo:  il mondo è in bianco e nero o prevede un’imperscrutabile scala di sfumature? In scena una donna bianca –espressione dell’Occidente scettico, timoroso- e un uomo nero –molto più positivo, determinato. Ancora una volta, un’occasione per divertirsi e riflettere insieme al pubblico»
 
 
 
 
 

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