Cultura

Francesco ad Assisi. L’antologia degli interventi

Le parole e i gesti di papa Francesco ad Assisi, dal primo incontro con i bambini affetti da gravi disabilità ospiti del Seraficum. Abbiamo seguito i passi del Pontefice nella terra di San Francesco, ecco un'antologia dei suoi discorsi

di Redazione

ASCOLTARE LE PIAGHE DEL MONDO
Ore 7,30 al Seraphicum
«Ascoltare le piaghe» del mondo. Andare incontro «alle sofferenze dei più bisognosi, dei più umili, dei più indifesi». Primo discorso di papa Francesco ad Assisi pronunziato, significativamente, nell'Istituto Serafico dove sono ospitati e curati centinaia di bambini affetti da gravissime disabilità. E primo fortissimo richiamo, "soprattutto a quanti dicono di essere cristiani", sul dovere di curare chi vive nella sofferenza, specialmente dei "piccoli e indifesi", come i bambini ospiti della Casa di accoglienza per piccoli disabili  –  il Seraficum – fondata dal beato Ludovico da Casoria. Papa Bergoglio arriva ad Assisi alle 7,30 con un quarto d'ora di anticipo rispetto al programma prefissato.
«Voglio iniziare la mia visita ad Assisi con voi», è l'esordio di papa Francesco rivolgendosi ai piccoli ospiti che lo guardano incuriositi. «Qui siamo tra le piaghe di Gesù che sono anche un dono per noi… ma queste piaghe hanno bisogno di essere ascoltate, di essere riconosciute».

Nel suo discorso ufficiale scritto e mai pronunciato durante l’incontro con i malati dell’Istituto Serafico di Assisi, cita Nico, un ragazzo disabile che gli ha scritto una lettera. E la legge: «Caro Francesco – dice Bergoglio – sono Nicolás ed ho 16 anni; siccome non posso scriverti io (perché ancora non parlo, né cammino), ho chiesto ai miei genitori di farlo al posto mio, perché loro sono le persone che mi conoscono di più. Ti voglio raccontare che quando avevo 6 anni, nel mio Collegio che si chiama Aedin, Padre Pablo mi ha dato la prima Comunione e quest’anno, in novembre, riceverò la Cresima, una cosa che mi dà molta gioia. Tutte le notti, da quando tu me l’hai chiesto, io domando al mio Angelo Custode, che si chiama Eusebio e che ha molta pazienza, di custodirti e di aiutarti….». «In questa lettera, – continua Bergoglio- nel cuore di questo ragazzo c’è la bellezza, l’amore, la poesia di Dio. Dio che si rivela a chi ha il cuore semplice, ai piccoli, agli umili, a chi noi spesso consideriamo ultimi, anche a voi, cari amici: quel ragazzo quando non riesce ad addormentarsi gioca con il suo Angelo Custode; è Dio che scende a giocare con lui».

OGGI È IL GIORNO DEL PIANTO. NON SIATE CRISTIANI DA PASTICCERIA
Ore 9,30 Sala della Spoliazione
Francesco, ricorda il Papa, «si è spogliato di ogni cosa, della sua vita mondana, di se stesso, per seguire il suo Signore Gesù: seguire Gesù per essere come Lui. Il vescovo Guido comprese quel gesto e subito si alzò, abbracciò Francesco e lo coprì col suo mantello…». «La spoliazione di San Francesco  –  spiega Bergoglio –  ci dice semplicemente quello che insegna il Vangelo: seguire Gesù vuol dire metterlo al primo posto, spogliarci delle tante cose che abbiamo e che soffocano il nostro cuore, rinunciare a noi stessi, prendere la croce e portarla con Gesù».

«Tutti siamo chiamati ad essere poveri, condividere con chi è privo del necessario, toccare la carne di Cristo!», ammonisce ancora papa Francesco, rilanciando quando all'inizio del Pontificato augurò alla «Chiesa di essere sempre più povera per essere più vicina ai più poveri».  Ma di che cosa si deve «spogliare la Chiesa?», si chiede il Papa. E la risposta arriva da lui stesso ampia e puntuale, suonando come richiamo per quanti operano nelle istituzioni ecclesiastiche, nelle curie, nelle parrocchie. «Oggi qualcuno forse si aspettava che qui si sarebbero spogliati vescovi, cardinali e persino io stesso! Ma la Chiesa  –  ricorda papa Francesco  –  siamo tutti noi e se vogliamo essere cristiani dobbiamo fare come Gesù che si spogliò, diventò uomo e abbracciò la croce. Non dobbiamo essere cristiani da pasticceria».
Da qui l'invito fermo a «tutta la Chiesa a spogliarsi di un pericolo gravissimo che minaccia ognuno che vive nella stessa Chiesa, il pericolo della mondanità,  che  –  avverte il pontefice -. uccide l'anima e la Chiesa, perché è idolatria, è come un cancro, una  lebbra, una malattia gravissima che soffoca, toglie la vita».
«La Chiesa tutta, ogni singolo cristiano, papi, vescovi, cardinali, suore, preti si spoglino di ogni mondanità spirituale, di ogni azione che non è per Dio; si spoglino dalla paura di aprire le porte e di uscire incontro a tutti, specialmente dei più poveri, bisognosi, lontani, senza aspettare, senza perdersi nel naufragio del mondo». «Il Signore -conclude papa Francesco il suo intervento pronunziato a braccio – ci dia la grazia di spogliarci». «Oggi è un giorno di pianto, queste cose le fa lo spirito del mondo. Non sono qui per fare notizia». Così Papa Francesco ha parlato della tragedia di Lampedusa, nel corso della sua visita alla sala della Spoliazione di Assisi, criticando il "mondo selvaggio" a cui non importa, tra l'altro, se «tanta gente fugge dalla schiavitù, dalla fame, cercando la libertà» e «trovano la morte come è successo ieri a Lampedusa». «Tutti voi siete stati spogliati da questo mondo selvaggio che non dà lavoro, che non aiuta, cui non importa se ci sono bambini che muoiono di fame nel mondo, non importa se tante famiglie non hanno da mangiare, non hanno la dignità di portare pane a casa. Non importa che tanta gente debba fuggire dalla schiavitù, dalla fame e fuggire cercando la libertà. E con quanto dolore tante volte vediamo che trovano la morte, come è successo ieri a Lampedusa». 


LA PACE FRANCESCANA NON È SDOLCINATA
Ore 11 Santa Messa, Piazzale Basilica San Francesco
«La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito!». In un colpo solo sono smontati tutti gli stereotipi su san Francesco e a farlo è il Papa, che nell’omelia ha puntualizzato che «la pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi prende su di sé il suo giogo, cioè il suo comandamento: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo con mitezza e umiltà di cuore».
La seconda cosa che Francesco ci testimonia è che «chi segue Cristo, riceve la vera pace, quella che solo Lui, e non il mondo, ci può dare». «San Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità», ha ammonito, spiegando che «la pace che Francesco ha accolto e vissuto e che ci trasmette» è  la pace «di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce. È la pace che Gesù Risorto donò ai discepoli quando apparve in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!” e lo disse mostrando le mani piagate e il costato trafitto».
Di qui la seconda invocazione del Papa a Francesco:«Insegnaci ad essere strumenti della pace, della pace che ha la sua sorgente in Dio, la pace che ci ha portato il Signore Gesù».
«Preghiamo per la nazione italiana, perché ciascuno lavori sempre per il bene comune, guardando a ciò che unisce più che a ciò che divide». Un pensiero per l’Italia e gli italiani quello che esprime Papa Bergoglio. «Non posso dimenticare che oggi l’Italia celebra San Francesco quale suo Patrono. Do gli auguri a tutti gli italiani, nel capo del Governo che è presente», ha detto guardando il premier Enrico Letta, in prima fila con il presidente del Senato Pietro Grasso e il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato.

ANNUNCIARE FINO ALLE PERIFERIE
ore 15.15 Cattedrale di San Ruffino Incontro con il clero, i consacrati e i laici impegnati

«Ascoltare la Parola di Dio, camminare, annunciare fino alle periferie». Queste le tre azioni che Papa Francesco ha consegnato nel pomeriggio alla diocesi di Assisi incontrando, nella cattedrale di San Rufino, i sacerdoti, le persone di vita consacrata e i laici impegnati nei consigli pastorali. «Quanto sono necessari – ha esordito integrando a braccio il suo testo – i consigli pastorali. Un vescovo non può guidare la diocesi» senza di essi, e così pure «un parroco» rispetto alla parrocchia. «Diventare tutti più ascoltatori della Parola di Dio, per essere meno ricchi di nostre parole e più ricchi delle sue Parole» è l’invito rivolto a sacerdoti (stigmatizzando le «omelie interminabili, noiose, delle quali non si capisce niente»), genitori, catechisti ed educatori. Ma, ha precisato, «non basta leggere le Sacre Scritture, bisogna ascoltare Gesù che parla in esse, bisogna essere antenne che ricevono, sintonizzate sulla Parola di Dio, per essere antenne che trasmettono».

Camminare. «È una delle parole che preferisco quando penso al cristiano e alla Chiesa – rivela il Papa – Ma per voi ha un senso particolare: fare "sinodo" vuol dire camminare insieme. Penso che questa sia veramente l'esperienza più bella che viviamo: far parte di un popolo in cammino nella Storia, insieme con il suo Signore, che cammina in mezzo a noi».
«Non siamo isolati, non camminiamo da soli, ma siamo parte dell'unico gregge di Cristo. Qui penso ancora a voi preti, e lasciate che mi metta anch'io con voi…». Francesco lo ripete spesso, come lui stesso sottolinea: «Camminare con il nostro popolo: a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro; davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita e anche perché il popolo ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino».
Il Papa ha sottolienato l’importanza di «camminare insieme», «collaborando, aiutandosi a vicenda», ma anche chiedendo «scusa» e accettando «le scuse degli altri perdonando».
Una ricetta, questa, valida anche per far durare i matrimoni: «Ai novelli sposi, io dico sempre: litigate pure, arrivate anche a tirarvi i piatti addosso. Ma alla fine della giornata, chiedetevi scusa e fate la pace!». Ai novelli sposi il Papa non chiede di evitare i litigi, ma raccomanda di «non finire mai la giornata senza fare la pace».
Annunciare fino alle periferie, che vuol dire «uscire per andare incontro all’altro, nelle periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone in situazioni di vita speciali». Quali periferie? «Certamente, in un primo senso, sono le zone della diocesi che rischiano di essere ai margini», ma «anche persone, realtà umane di fatto emarginate, disprezzate», «che magari si trovano fisicamente vicine al “centro”, ma spiritualmente sono lontane».
«Non abbiate paura – è l’appello di Papa Bergoglio – di uscire e andare incontro a queste persone, a queste situazioni. Non lasciatevi bloccare da pregiudizi, da abitudini, rigidità mentali o pastorali, dal "si è sempre fatto così!"». Infine ha ricordato che «si può andare alle periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la Chiesa, come san Francesco».

SUORE E CHIESA SIANO “ESPERTE IN UMANITÀ”
ORE 17 Basilica di Santa Chiara

La suora di clausura, come la Chiesa, è chiamata a essere «esperta in umanità». E senza «idee troppo astratte», perché – ha scherzato il Pontefice davanti alle monache di clausura nella  Basilica di Santa Chiara – «seccano la testa». Il Papa ha quindi richiamato le suore a «essere madri», e a una positiva «vita di comunità». Ha esortato: «Perdonate, sopportatevi, perché la vita in comunità non è facile, il diavolo approfitta di tutto per dividere». È questa la “strada” delineata da papa Francesco nel suo intervento pronunciato – interamente a braccio – davanti alle monache.
Due le indicazioni: la «contemplazione sempre con Gesù, Dio e uomo», e «la vita di comunità sempre con un cuore grande». «Quando una suora nella clausura consacra tutta la sua vita al Signore – ha osservato il Papa – accade una trasformazione che l’uomo non riesce a capire»: se per il pensiero corrente sembra che diventi «isolata, sola con l’assoluto» in «una vita ascetica, penitente», in realtà «diventa grandemente umana».
Per papa Francesco è la “gioia” il tratto distintivo che deve animare la vita di comunità: essa si manifesta in un sorriso che “viene dal cuore”. «A me dispiace quando trovo suore che non sono gioiose, che forse sorridono col sorriso di un’assistente di volo ma non con il sorriso della gioia che viene da dentro»

NO ALLA CUTURA DEL PROVVISORIO
ORE 20 Piazzale Santa Maria degli Angeli incontro con i Giovani
«Cari amici, ci vuole una base morale e spirituale per costruire bene, in modo solido! Oggi, questa base non è più garantita dalle famiglie e dalla tradizione sociale. Anzi, la società in cui voi siete nati privilegia i diritti individuali piuttosto che la famigliaquesti diritti individuali -, privilegia le relazioni che durano finché non sorgono difficoltà, e per questo a volte parla di rapporto di coppia, di famiglia e di matrimonio in modo superficiale ed equivoco. Basterebbe guardare certi programmi televisivi e si vedono questi valori! Quante volte i parroci – anch’io, alcune volte l’ho sentito – sentono una coppia che viene a sposarsi: “Ma voi sapete che il matrimonio è per tutta la vita?”. “Ah, noi ci amiamo tanto, ma… rimarremo insieme finché dura l’amore. Quando finisce, uno da una parte e l’altro dall’altra”. E’ l’egoismo: quando io non sento, taglio il matrimonio e mi dimentico di quell’“una sola carne”, che non può dividersi. E’ rischioso sposarsi: è rischioso! E’ quell’egoismo che ci minaccia, perché dentro di noi tutti abbiamo la possibilità di una doppia personalità: quella che dice: “Io, libero, io voglio questo…”, e l’altra che dice: “Io, me, mi, con me, per me …”. L’egoismo sempre, che torna e non sa aprirsi agli altri. L’altra difficoltà è questa cultura del provvisorio: sembra che niente sia definitivo. Tutto è provvisorio. Come ho detto prima: mah, l’amore, finché dura. Una volta ho sentito un seminarista – bravo – che diceva: “Io voglio diventare prete, ma per dieci anni. Dopo ci ripenso”. E’ la cultura del provvisorio, e Gesù non ci ha salvato provvisoriamente: ci ha salvati definitivamente!
«Il Vangelo, cari amici, non riguarda solo la religione, riguarda l’uomo, tutto l’uomo, riguarda il mondo, la società, la civiltà umana. Il Vangelo è il messaggio di salvezza di Dio per l’umanità. Ma quando diciamo “messaggio di salvezza”, non è un modo di dire, non sono semplici parole o parole vuote come ce ne sono tante oggi! L’umanità ha veramente bisogno di essere salvata! Lo vediamo ogni giorno quando sfogliamo il giornale, o sentiamo le notizie alla televisione; ma lo vediamo anche intorno a noi, nelle persone, nelle situazioni; e lo vediamo in noi stessi! Ognuno di noi ha bisogno di salvezza! Soli non ce la facciamo! Abbiamo bisogno di salvezza!  Salvezza da che cosa? Dal male. Il male opera, fa il suo lavoro. Ma il male non è invincibile e il cristiano non si rassegna di fronte al male. E voi giovani, volete rassegnarvi di fronte al male, alle ingiustizie, alle difficoltà? Volete o non volete? [I giovani rispondono: No!] Ah, va bene. Questo piace! Il nostro segreto è che Dio è più grande del male: ma questo è vero! Dio è più grande del male. Dio è amore infinito, misericordia senza limiti, e questo Amore ha vinto il male alla radice nella morte e risurrezione di Cristo. Questo è il Vangelo, la Buona Notizia: l’amore di Dio ha vinto! Cristo è morto sulla croce per i nostri peccati ed è risorto. Con Lui noi possiamo lottare contro il male e vincerlo ogni giorno. Ci crediamo o no? [I giovani rispondono: Sì!] Ma questo ‘sì’ deve andare nella vita! Se io credo che Gesù ha vinto il male e mi salva, devo seguire Gesù, devo andare sulla strada di Gesù per tutta la vita.


 

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