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Borrelli: La politica torni ad alzare la voce

Intervista al presidente di Amesci e Forum nazionale servizio civile, che apre al cofinanziamento degli enti e su un servizio universale dice: "è giusto che tutti gli idonei possano farlo, anche per pochi mesi". Mentre "il bando imminente è ancora a rischio blocco per la questione stranieri"

di Daniele Biella

Siamo sicuri che il bando di Scn, Servizio civile nazionale, esca entro fine settembre? La Regione Calabria ha dato tempo agli enti fino al 26 settembre per le osservazioni sulla propria graduatoria, mi sembra impossibile che in quattro giorni poi tali osservazioni vengano valutate e mandate all’Unsc, Ufficio nazionale servizio civile”. Esordisce con questo dubbio Enrico Maria Borrelli, 42 anni, presidente di Amesci e del Forum nazionale servizio civile, per il quale è membro in Consulta del Scn. “Ora, o viene esclusa la Calabria o il bando (in ritardo di oltre un anno rispetto ai tempi canonici, ndr) slitta ancora di settimane, in attesa poi della ‘bomba atomica’ legata alla possibile apertura alle candidature di stranieri”. Contingenza a parte, in questa intervista Borrelli, che nel 1994 ha prestato servizio civile come obiettore di coscienza per Arci Nero e non solo di Caserta, risponde a Vita.it sulle grandi questioni legate alla crisi attuale del Scn, riaperte dagli interventi dei giorni scorsi di Egidio Longoni (rappresentante Scn per l'Anci) e Giovanni Bastianini (presidente della Consulta e referente Scn per la Protezione civile).

Al di là dell’uscita più o meno imminente del bando nazionale, da più parti si chiede una seria presa di posizione dei decisori politici per garantire o meno il futuro al servizio civile. Cosa ne pensa?
È vero, i parlamentari attenti alla questione sono pochi rispetto al totale, ma sicuramente più numerosi di qualche tempo fa, basta vedere quanti hanno adrito all’appello Alleanza per il futuro del servizio civile. Tra l’altro una battaglia negli ultimi tempi l’hanno vinta, convincendo il presidente del Consiglio Enrico Letta a stanziare 1,5 milioni di euro in più per il bando in uscita. Detto questo, però, è come se con questa piccola vittoria, che in pratica garantisce l’avvio di soli 250 giovani in più, mentre ne mancano all’appello diverse migliaia rispetto a pochi anni fa, tali parlamentari si siano fermati e noi enti, con i giovani, siamo rimasti i soli ad alzare la voce in difesa del Scn. È chiaro che oggi va fatta una precisa scelta politica: 120 milioni di euro per finanziare almeno 20mila giovani all’anno sono una cifra assolutamente abbordabile per uno Stato che ne spende molti di più, per esempio, per tirocini che poi finiscono in nulla. Da anni ripetiamo che il giovane che fa servizio civile genera nella società un ritorno enorme di competenze, occupabilità, capitale sociale: ma anziché investire, il governo non sta mettendo un euro su questa partita.

Perché giudica una ‘bomba atomica’ la questione legata agli stranieri?
Perché comunque vada, dopo l’uscita del bando si arriverà a un nuovo cortocircuito. Questo perché dall’anno scorso ad oggi, nonostante i proclami e le intenzioni, non si è modificata la parte del Decreto 77 che regola i requisiti per la candidatura. Ora ci sono due possibili scenari: se tutto rimane com’è, sarà probabile un nuovo ricorso di un cittadino straniero escluso, se invece viene introdotto un nuovo criterio che ammette i residenti non italiani, è prevedibile che un ragazzo italiano non selezionato faccia altrettanto, magari aiutato dalla stessa Lega Nord che ha già sollevato la questione nei giorni scorsi.

C’era una possibile via d’uscita?
Sì, se la Consulta veniva chiamata a discutere in materia. Invece non siamo stati assolutamente presi in considerazione nonostante avessimo dalla nostra parte una grossa esperienza e una capacità di dialogo tra enti e attori della società civile che poteva superare le difficoltà. Per esempio, il ricorso dell’anno scorso del giovane straniero che poi ha bloccato il bando per varie settimane proveniva comunque da un’anima legata agli enti presenti in Consulta, e un accordo sarebbe stato possibile. Invece noi stessi, componenti di tale organo, non sappiamo cosa sarà scritto in materia nel bando, vi sembra possibile una cosa del genere? È così, purtroppo.

In Provincia di Trento stanno sperimentando il primo modello di Servizio civile universale. Come giudica l’idea di un servizio aperto a tutti i richiedenti?
È una tesi da sostenere. I giovani oggi sanno cosa vuol dire fare servizio civile, quindi escludere gli interessati è in un certo senso far loro un torto. Certo è che però un servizio civile del genere a livello nazionale va pensato bene a tavolino, in particolare per un tema non secondario che è quello dell’idoneità: alcuni giovani, già in questi anni, non sono stati selezionati dagli enti perché ritenuti inadatti allo scopo per vari motivi, ed è giusto che una scrematura rimanga, perché non tutti possono prestare servizio con responsabilità verso gli altri, se pensiamo soprattutto a chi ha già problemi personali e avrebbe bisogno di essere rieducato socialmente. Per questo dico sì a un servizio per tutti, ma con una progettualità molto dettagliata e criteri di ammissione legati all’idoneità della singola persona, per evitare che il servizio perda efficacia e risulti controproducente.

Tra i cambiamenti possibili, legati anche alla questione dei fondi, c’è anche quello di una durata diversa dagli attuali 12 mesi?
Sì, credo che sia il momento di rendere il Servizio civile nazionale più elastico, sul modello dello Sve, Servizio volontario europeo, che prevede esperienze da due mesi a un anno e in un’ottica europea ricalca le finalità del nostro Scn, il quale però ha come ulteriore valore aggiunto la difesa della patria. Pensiamo alle scuole e ai progetti legati ad esse: l’estate sono chiuse, necessariamente non possono prevedere 12 mesi di impiego dei giovani. Così come le piccole associazioni, che non hanno fondi e struttura per tenere aperte le sedi tutto l’anno ma che spesso rappresentano un’ulteriore valida possibilità di esperienza di servizio civile.

L’Anci, o meglio vari Comuni italiani, si propongono per cofinanziare in futuro progetti di Scn. È una strada che vede percorribile?
Perché no. Il cofinanziamento, così come l’intero finanziamento da parte dello Stato, o addirittura l’autofinanziamento, dopo naturalmente il beneplacito dell’Ufficio nazionale sull’ammissibilità del progetto, sono strade diverse fra loro ma tutte percorribili. Tra l’altro ciò è in pratica già previsto, nel senso che se un ente, privato o pubblico, aggiunge propri emolumenti al Fondo nazionale per il servizio civile, di certo l’Ufficio ne tiene conto ed è possibile un raccordo con lo stesso ente. Quello che si potrebbe fare, come propone Longoni dell’Anci, è disciplinare tale atto, che di sicuro stimolerebbe la compartecipazione. In merito alla coprogettazione, comunque, ho un’altra idea in merito, che però significherebbe una rivoluzione nei tempi di lavoro del Scn.

Quale idea ha in mente?
Perché non ammettiamo la possibilità che un ente, una volta preso atto che il proprio progetto viene valutato idoneo dall’Unsc ma poi non viene finanziato per mancanza di fondi (ovvero rimane al di sotto della soglia di punteggio minimo che viene decisa di anno in anno, ndr), trovi da sé i fondi e lo faccia partire comunque? È chiaro che ci sarebbe bisogno di tempo per reperire nuove risorse, e quindi la mia proposta è quella di almeno sdoppiare il bando annuale, perché con una sola uscita, di solito a settembre, molti enti che spesso pianificano solo a fine anno non riuscirebbero a programmare l’attività di reperimento fondi. Con un ulteriore bando, invece sarebbe più alla portata.

Tale doppio bando non porterebbe più lavoro all’Ufficio nazionale?
Di certo c’è da considerare il fatto che con la ristrutturazione dell’Unsc si è passati da 100 a 70 dipendenti, se non sbaglio. Ma non si tratterebbe di una mole eccessiva di impegno in più, perché già oggi il 46 per cento del lavoro relativo a un bando viene fatto dai dipendenti di Regioni e Provincie autonome referenti per il Scn, che oggi sono almeno uno o due per ciascun ente. E comunque l’Ufficio nazionale potrebbe chiedere ad altre amministrazioni pubbliche il personale in esubero per il tempo necessario, non gravando così sulle casse dello Stato.  

 

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