Cultura

Alle radici della violenza

Antropologie di deserti e umane solitudini in tre bei film in concorso a Venezia: "Las niñas Quispe" di Sebastián Sepúlveda,"Miss Violence", di Alexandros Avranas e "Siddhart" di Richie Metha

di Redazione

La stupenda fotografia chiaroscurale, ricca di ombre e controluci, fa da controltare al silenzio ed alla desolazione del paesaggio ne "Las niñas Quispe" , il bel film del cileno Sebastián Sepúlveda basato su un fatto di cronaca, divenuto leggenda nell' immaginario popolare, occorso poco dopo la presa del potere da parte del dittatore Pinochet nel 1973. Le tre sorelle Quispe, native Coya e dalla tempra fortissima, vivono allevando capre a 4000 metri di altitudine ai confini con l' Argentina , in  un arido paesaggio desertico di montagna ed  un isolamento pressoché totale ed a suo modo felice ed ascetico. L' ottusità del regime militare giunge però a minacciare persino loro, in un crescendo di tensione sopratutto interiore, con evocazioni e rimandi alle sospensioni spazio temporali di Zabriskie Point e Picnic at Hanging Rock. Il silenzio la fa da padrone e giudice, anche quando le tre sorelle vengono ritrovate impiccate assieme al loro cane, per disperazione e solitudine, unite a quella ferrea volontà di resistenza che rende grandi e vinti delle persone dignitose.

Lo stesso silenzio e la stessa solitudine del greco "Miss Violence", di Alexandros Avranas, in Concorso, un film forte seppur irrisolto stilisticamente, in cui un nonno-orco inchioda tutti i suoi familiari al dolore ed alla desolazione in un crescendo di situazioni scabrose ed orribili di violenza familiari. Come il film cileno si chiudeva con un suicidio, il film greco registra un suicidio in apertura,  improvviso ed apparentemente incomprensibile , la cui motivazione appare sempre piu' evidente con lo scorrere dei minuti. Più che la violenza (enorme, sottile, dolorosa) richiamata nel film sin dal titolo, è anche qui la solitudine ed il silenzio (delle vittime), l' incapacità di comunicare, il deserto interiore che accompagna la violenza che appaiono i temi domina

"Un vero uomo deve viaggiare da solo, ogni tanto", è la frase di un padre che si mette dolorosamente alla ricerca del figlio dodicenne nell' India contemporanea del lavoro minorile e dell' industrializzazione forzata, nel bel film "Siddhart", di Richie Metha, presentato nelle Giornate degli Autori. Un' India che assume la forma di una megalopoli incandescente e caotica, in cui un piccolo bambino è costretto a lavorare come operaio meccanico lontano dalla famiglia e dalla legge, ed in cui, in un crescendo di tensione irrisolta e cinematograficamente felice, un padre lo cerca senza trovarlo come cerca trova la sua disperazione di essere umano travolto dagli eventi.

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