Economia

L’economia sociale francese alla prova delle riforme

Oltralpe ci si interroga sul rischio che corre l'economia sociale e solidale nel diventare più "grande". Mentre è allo studio una legge di riforma che permetterà a questa parte economica di entrare a pieno diritto nel mercato

di Antonietta Nembri

Diventando più grande l’economia sociale e solidale rischia di perdere la sua anima? È la domanda da cui parte un articolo pubblicato su terraeco.net, media francese dedicato all’ambiente, all’economia e ai temi sociali.

Una riflessione che prende le mosse dalla prospettiva di una nuova legge che, prevista per l’autunno, potrebbe far cambiare l’aspetto dei protagonisti dell’economia sociale e solidale (Ess). Anche Oltralpe ci si chiede che cosa sia esattamente un’impresa dell’economia sociale e solidale, assomiglia più a un’associazione o a un’impresa che si occupa di formare persone escluse dal mercato del lavoro o socialmente deboli? Per rimediare alla fluidità di una definizione come pure della legislazione è allo studio un progetto di legge, presentato dal ministro con delega all’Economia sociale e solidale e ai consumi Benoît Hamon, che sarà esaminato dal consiglio dei ministri il 24 luglio prossimo.
La riforma coinvolge un settore importante: in Francia in questo settore, che viene definito una nebulosa composta da associazioni, fondazioni, società di mutuo soccorso e cooperative, lavorano 2,3 milioni di persone, circa il 10% dei salariati francesi.

Se nel corso dell’estate la nuova legge verrà adottata i tradizionali attori dell’economia sociale e solidale potranno più facilmente ingrandirsi, fondendosi o creando dei gruppi. Il loro sviluppo sarà potenziato innanzitutto da un miglior accesso ai finanziamenti: le sovvenzioni necessarie alle associazioni saranno ridefinite e la Banca pubblica d’investimenti (Bpi) sbloccherà 500 milioni di euro per il settore. Meglio ancora, saranno garantiti degli sbocchi dal momento che una parte degli acquisti degli attori pubblici dovranno essere “socialmente responsabili”.

Se l’effetto moltiplicatore della legge funzionerà l’economia sociale potrà contare su protagonisti più grandi e attivi e potrà anche gonfiare i suoi ranghi. I dipendenti di un’impresa sana, ma non abbastanza redditizia per trovare un compratore saranno per esempio invitati a cambiarla in un società cooperativa di produzione, ricadendo così nel settore dell’economia sociale. Ma la grande novità sarà la possibilità per alcune società commerciali o società di capitale di essere riconosciute come imprese di economia sociale e solidale con i relativi vantaggi fiscali – riduzione dell’Isf (l’imposta sulla ricchezza) e dell’imposta sui redditi – e beneficiarne anche in termini di immagine.

Il dibattito
Dietro questa evidente spinta al settore il Consiglio nazionale dell’economia sociale (Cnecres) vede in questa apertura un forte messaggio. «L’adozione di questo testo va a riconoscere che un’altra forma di economia rispetto al capitalismo è possibile», sottolinea il presidente del Cnecres, Jean-Louis Cabrespines. «Aprendosi alle società commerciali, la legge riconosce uno stato di fatto, l’esistenza di un’imprenditoria che ha altri obiettivi rispetto al profitto» rincara il professore emerito nell’area di ricerca economica di Nantes Henri Noguès.

Per le start-up di sviluppo sostenibile o di azione sociale, l’etichetta di “impresa solidale di utilità sociale” confermerà la loro buona volontà. Ed è proprio tra i loro ranghi che i consensi sono maggiori «con l’inclusione delle società commerciali, la famiglia dell’economia sociale e solidale sarà infine riunita» si felicita Emmanuel Verny, presidente del Ceges (il consiglio delle imprese, lavoratori e gruppi di economia sociale). C’è però il rischio che l’adozione di questa nuova normativa vada a svantaggio dei pionieri del settore. «Non è escluso che ci siano associazioni che subiranno la concorrenza di questi nuovi attori» ammette il professor Henry Noguès «anche perché esse sono meno attrezzate»

Altri economisti però sono scettici «Si sta andando verso un’economia sociale di mercato» osserva Pascal Glémain, ricercatore e docente al Centro di valutazione e ricerca sull’economia sociale e solidale (Ceress). Per lui, il marchio “Ess” rischia di conoscere lo stesso destino dei bollini “commercio equo” o “bio”: «Cambiando misura, potrebbe perdere in sostanza e banalizzarsi»
Il ricercatore teme anche degli effetti inaspettati e negativi sul fronte del trattamento dei lavoratori più deboli. Per evitare comportamenti di «social-washing» la legge prevede delle protezioni: un’impresa di Ess ha l’obbligo di reinvestire  oltre la metà dei suoi utili nella sua attività e le sue riserve obbligatorie non sono distribuibili.

Pascal Glémain resta scettico: abbiamo bruciato delle tappe prima di redigere questa legge avremmo dovuto pensare a strumenti che permettano di applicarla. Per verificare che i criteri di attribuzione della definizione siano rispettato il ricercatore raccomanda la realizzazione di controlli indipendenti il suo ruolo sarà quello di assicurarsi il ritorno sociale degli investimenti prevalga sul ritorno fiscale
«Creare questa struttura sarà come cancellare una mosca con un carro armato» commenta invece Emmanuel Verny per il quale gli abusi resteranno marginali. L’imprenditore ricorda che le società non hanno atteso l’apertura alle società commerciali per esistere. «I grandi attori storici dell’Ess, mutue e cooperative hanno la tendenza ad assomigliare sempre più a imprese di mercato» riconosce Pascal Glémain «e questa legge ricorderà loro le loro specificità»

Non resta che vedere che cosa sopravvivrà del testo dopo il passaggio in parlamento. Il Cncres è in allerta «le lobby faranno di tutto per assopire le regole, occorrerà impedirglielo» sospira Jean-Louis Grabespines
 


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