Cultura

L’idea di denaro di Papa Francesco aiuta a capire le radici della crisi

Mauro Magatti commenta gli interventi del pontefici che con acceti forti è arrivato a denunciare il «feticismo del denaro» e il rischio di una «dittatura di un'economia senza volto né scopo»

di Mauro Magatti

Negli ultimi giorni, papa Francesco ha più volte espresso valutazioni severe sullo stato dell'economia globale, sottolineando in particolare la diffusa sofferenza umana che mette a repentaglio la vita di tanti. Gli interventi hanno avuto accenti forti, arrivando a denunciare il «feticismo del denaro» e il rischio di una «dittatura di un'economia senza volto né scopo». Nel suo stile, Bergoglio, partendo dai risvolti quotidiani delle difficoltà che viviamo, ha auspicato una riforma della finanza capace di riportarla al servizio dell'economia reale. Sul tema, la linea di Francesco è la stessa di Benedetto: l'economia è uno strumento al servizio dell'uomo. Ma quando il rapporto si inverte, un bene si trasforma in male.

Nel prendere questa posizione, la Chiesa Cattolica fa il suo mestiere. Che non è quello di occuparsi della crescita economica. E tuttavia, dalla sua prospettiva, il discorso religioso riesce a cogliere aspetti che, dall'interno della logica economica, rischiano di essere persi per strada. Per questo, come in altri passaggi storici delicati, anche oggi il dialogo tra l'economia e la religione può rivelarsi proficuo per entrambe.

La prima può vantare i suoi indubbi successi, ma deve nel contempo meditare sui suoi fallimenti: la crisi non è certamente solo congiunturale e mostra i pericoli a cui si espone l'ambizioso progetto di intrecciare, su scala planetaria, sistema tecnico e sistema economico. La seconda, che rimane un punto di riferimento per larga parte dell'umanità, è chiamata a rinnovarsi, trovando modi più incisivi per parlare a società in cui il sentimento religioso si infiacchisce, quasi che il modello di vita ipermoderno tendesse a non lasciare spazio per Dio. Che prima di tutto significa farsi compagna di strada di una umanità in cammino, impegnandosi a dare il proprio contributo alla soluzione dei problemi comuni.

L'uscita dalla crisi tarda ad arrivare perché siamo alla fine di un lungo ciclo storico che si è aperto nei primi anni 80. Per rilanciare la crescita, i pur necessari interventi tecnici non basteranno. Ciò di cui abbiamo bisogno è una nuova riflessione antropologica attorno alle idee di ricchezza e ai suoi usi; di sistema tecnico e dei modi di una sua regolazione; di libertà personale e di una sua valorizzazione che non si limiti al consumo; di giustizia sociale e delle forme istituzionali utili per realizzarla.

In realtà, anche tra gli economisti si ammette che un'eccessiva concentrazione della ricchezza è un problema per la stessa crescita economica; che l'investimento nella educazione è la migliore premessa per un solido sviluppo; che la regolazione dei mercati finanziari presuppone criteri e attori non solo economici. Temi che le considerazioni di papa Francesco aiutano ad affrontare proprio perché si sviluppano a partire da uno sguardo esterno.

Se, con Weber, ammettiamo che lo sviluppo economico opera incanalando l'energia spirituale dell'essere umano, allora la contrazione in corso non va riduttivamente interpretata nei termini di una perdita di velocità della dinamica espansiva, ma piuttosto come il travaglio verso la costruzione di una nuova combinazione tra libertà individuale, infrastruttura tecnico-economica e legame politico. In questo difficile percorso, le risorse di matrice religiosa possono rivelarsi ancora una volta molto utili: fornendo una lettura della crisi che muove dall'esperienza umana invece che dall'efficienza dei sistemi. Se, come dice Habermas, le tradizioni religiose costituiscono «riserve di significato», allora diventa difficile ignorarle. Soprattutto se, per superare la crisi, si vuole rafforzare l'idea che il perseguimento del profitto – indicatore indispensabile della nostra efficienza – slegato da qualsiasi riferimento al senso e privato di un adeguato ancoraggio istituzionale, finisce per determinare esiti assurdi e socialmente inaccettabili.

L'utilità di un rinnovato dialogo tra la sfera economica e quella religiosa è confermata da quanto sta accadendo negli Stati Uniti dove Obama ha ampiamente fatto appello proprio ai valori di matrice religiosa radicati nella cultura americana per tracciare la sua idea di un benessere giusto e sostenibile e rilanciare il senso di una storia comune. E se la più importante economia del pianeta è fino a oggi riuscita ad attraversare in maniera compatta un difficilissimo passaggio storico, questo lo si deve anche all'audacia del suo presidente che ha (laicamente) ristabilito una relazione tra crescita economica, sviluppo sociale, partecipazione personale.

Grazie al suo formidabile successo, l'economia contemporanea plasma la vita di milioni di persone in tutto il pianeta. Il suo potenziale rimane enorme, anche se, come questi anni difficili confermano, il sistema è ancora fragile ed esposto a rischi di implosione e degenerazione. Il dialogo con la religione, che continua a costituire una componente importante della nostra vita sociale, non solo è doveroso, ma reciprocamente utile per spingere verso la ricerca di una crescita che sia pienamente consapevole e rispettosa dell'esperienza umana. Nei suoi aspetti materiali e spirituali. Come la storia ci insegna, il dialogo tra economia e religione non sempre è facile. Ma, quando riesce, esso può costituire una chiave per umanizzare il futuro.

da Corriere.it

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