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Capossela: ecco chi era il mio Don Mangas

Il cantautore ricorda il prete genovese con una nota sul suo profilo Facebook. Mi diceva, «non ti sentirai mica a posto perché lavori per Amnesty, o per la croce rossa, o hai fatto una buona canzone? Qui c'è il mondo da cambiare»

di Vinicio Capossela

«Don Gallo era partigiano, cristiano e comunista, non perché diceva di esserlo, ma perché lo praticava ogni giorno come meglio non avrebbe potuto nessun vero partigiano, cristiano o comunista». Me l'ha scritto Franco Bassi ieri notte. Gli dò ragione e voglio aggiungere un ricordo personale dell'occasione in cui lo abbiamo incontrato, il 18 aprile scorso, per il concerto alla sala chiamata del porto di Genova, organizzato con i ragazzi della sua comunità.

Continuava a ringraziare noi, quando eravamo noi che ringraziavamo lui. Esprimeva molta forza, sembrava una sinfonia in movimento in un corpo ossuto. Siccome era vestito di nero, e aveva un cappello nero, i musicisti greci lo battezzarono subito “don Mangas”, titolo che nel rebetiko (una musica di strada) è il più grosso complimento. Continuava a ripetere «abbiamo così lottato per vedere nascere la democrazia… Ora me ne dovrò forse andare vedendola morire?! Sta a voi, a tutti voi tenerla viva. Non contentatevi. Tu», diceva rivolgendosi a ognuno, «non ti sentirai mica a posto perché lavori per Amnesty, o per la croce rossa, o hai fatto una buona canzone? Qui c'è il mondo da cambiare».

Mi ha colpito la fermezza con la quale trattava i ragazzi della comunità, che pure erano sempre nei suoi pensieri. Ma non era morbido con loro. Non accomodante. Era una carità militante la sua. Che non faceva sconti, che non tollerava scuse. Le scuse del resto, hanno ucciso la coscienza.

Ad un amico che gli aveva domandato la benedizione, disse: «benedire vuole dire “dico bene di te”… E come potrei non dire bene di te, dopo questa serata?»

Era felice, non dava a vedere il disagio della malattia. Anche quando pareva non avere più forze, se c'era da prendere la parola, si animava nel discorso, spandeva energia, un'energia esaltante. Ha voluto ricordare la figura di Vittorio Arrigoni, e poi tutti i suoi ragazzi, le associazioni. Si preoccupava e allo stesso tempo spingeva l'aria. Un’accoglienza festosa. Calorosa. Umile. Forte.

Siamo soli, sulla faccia della terra, di fronte alla morte. E da oggi siamo tutti un po’ più soli. È mancata una persona che è stata un esempio. Non a parole, ma per la conduzione della vita. Aveva a cuore gli ultimi. Gli ultimi sono sempre abbandonati e sono sempre di più. Si allarga il bisogno e diminuiscono le persone che se ne occupano. Ha dato vicinanza anche a chi non aveva nessuna dignità. Non solo a parole, ma sporcandosi le mani. Ora, che c'è né uno in meno, abbiamo tutti un motivo in più per fare qualcosa.

Quella sera dopo il concerto, a tavola, ha raccontato molte cose. Apprezzava papa Francesco. Poi ha aggiunto sorridendo: «quando sono stato ordinato prete, il vescovo me l'ha detto: tu non diventerai mai papa. Un “Papa Gallo” farebbe ridere tutti. Papa non ti faranno mai». Non ne ha avuto bisogno.

Il messaggio cristiano è stato la più grande rivoluzione della storia. Papa Gallo l'ha portato nelle strade, riuscendo ad unire laici e cattolici. Non per umanizzare Dio, ma per divinizzare gli uomini. Avendo cura del divino che c'è in ognuno: la dignità.

Un abbraccio a tutti e in particolare alla comunità San Benedetto al Porto.


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