Economia

L’impresa sociale cerchi innovazione, non capitali

Intervista a Gianfranco Marocchi, presidente di Idee in Rete dopo l'inchiesta pubblicata sul numero in edicola: «Il confronto con i giovani start-up è fondamentale sul piano delle idee e della tecnologia, ma attenzione: la vera occupazione la creano le "vecchie" cooperative sociali»

di Stefano Arduini

Dopo l’uscita del servizio sulle famiglie dell’impresa sociale pubblicato sul numero in edicola del mensile e ripreso nell'infografica nelle correlate che ha riaperto il dibattito anche sui social network, vita.it oggi ospita le riflessioni di Gianfranco Marocchi, cooperatore sociale di lungo corso, presidente del consorzio nazionale Idee in rete. Che domani a Roma insieme a Marco Crescenzi aprirà i lavori del convegno Start up sociale innovativo. Dove e Come?”

 

 


Un appuntamento che vi vende affiancare realtà come Asvi Social Change e Social Innovation Lab. Come nasce questa collaborazione?
Nasce dall’esigenza che io – nella mia veste di cooperatore sociale che sento mia e nella quale continuo a riconoscermi pienamente – sento di confrontarmi con le nuove generazioni di innovatori sociali che oggi spesso si ritrovano intorno allo sviluppo di start-up a forte vocazione sociale. È un bisogno di contaminazione che penso possa fare bene a me e alla generazione di cooperatori sociali che oggi viaggia fra i 40 e i 50 anni. Anche perché dai bandi per la coesione sociale dell’ex ministro Barca in poi il tema è sempre più all’ordine del giorno. Tanto più che il nostro Consorzio ormai da anni è socio di Asvi.

Quando parla di contaminazione cosa intende in concreto?
Detto della necessità di un’apertura generazionale le farò un esempio concreto. Molto spesso i giovani startupper hanno una forte vocazione tecnologica, che talvolta manca al nostro mondo e che invece in progetti legati alle domotica piuttosto che alla telemedicina possono essere molto utili nello sviluppo dei servizi domiciliari per anziani.

Il confronto fra cooperatori sociali e nuovi innovatori sociali spesso si interrompe quando si accenna alla possibilità di far entrare capitali di rischio nella gestione della cooperative. Qual è la sua opinione?
Io dico pensiamoci. Ma la riflessione non deve essere malata di nuovismo. Sento parlare di grandi idee, di migliaia di start-up e di altrettanti incubatori, ma poi se andiamo a vedere i posti di lavoro creati sono davvero pochi. La “vecchia” cooperazione sociale invece, lo dice il Censis, negli ultimi tre anni di crisi ha fatto segnare un +17% di occupati pur con margini azzerati o negativi. Io mi chiedo un investitore anche di lungo periodo cosa avrebbe fatto al nostro posto? Sarebbe rimasto o avrebbe chiesto indietro la sua quota nel più breve tempo possibile? Nessuno preconcetto, ma queste analisi vanno fatte. Si possono trovare delle mediazioni interessanti.

Quali?
Noi in Sicilia per esempio abbiamo creato delle joint-venture con realtà profit su progetti specifici. Col profit bisogna confrontarsi senza però assumerne le logiche. Ecco: quando io parlo di contaminazione penso a una contaminazione positiva.  
 


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